Una selezione dei marmi Santarelli in mostra a Roma dal 12 aprile
Ai Musei Capitolini la storia di Roma tra marmo e colore
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
Samantha De Martin
12/04/2022
Roma - C’è l’alabastro marino dell’Algeria e il Nero antico dalla Grecia, il Porfido rosso dall’Egitto e la Breccia di Aleppo tra la varietà di marmi dal mondo che ha trasformato Roma nella colorata wunderkammer di linguaggi artistici e architettonici diversi.
E non è un caso che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia si soffermasse sull’enorme transumanza di pietre policrome giunte fino alla città eterna, criticando l’abitudine di alterare la natura “per giacere fra le tonalità delle pietre”.
A partire da oggi, e per i prossimi dieci anni, un corteo policromo di marmi preziosi di età imperiale sfilerà in due sale di Palazzo Clementino ai Musei Capitolini. Appartiene alla preziosa selezione di oltre 660 marmi provenienti dalla collezione capitolina e dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli grazie ad un comodato gratuito decennale.
Dentro le forme, i colori, le fantasie di pietre importate a Roma da paesi come la Grecia, la Turchia, la Francia, la Tunisia è racchiusa la sfarzosa storia millenaria della capitale con le sue vicende artistiche e socioculturali, ma anche con la sua economia e politica.
L’uso dei marmi policromi caratterizzò in modo determinante l’architettura romana di età imperiale. Ben lo dimostra l’allestimento della mostra dal titolo I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, a cura di Vittoria Bonifati, che racconta la stretta connessione tra la presenza di materiali non autoctoni alla città di Roma e l’espansione politica, economica e geografica dell’antico Impero Romano, tracciando territori e reti geografiche attraverso lo strale della storia e della memoria.
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
E siccome le grandi strade dell’impero partono dal cuore della città antica, il posizionamento dei marmi, nelle quattro pareti della sala espositiva, rispecchia le cardinali da cui giunsero a Roma. La notevole differenza numerica di marmi tra le pareti Sud ed Est e quelle Nord ed Ovest è indicativa delle civiltà più sviluppate sia dal punto di vista della ricchezza geologica del sottosuolo che dello sviluppo delle arti presenti nelle province conquistate o acquisite dai romani durante l’età imperiale, come l’odierna Grecia, l’Egitto e la Turchia, dalle quali provengono la maggior parte dei marmi colorati.
“Roma è una città costruita su tufo, travertino e peperino - spiega Vittoria Bonifati -. I marmi colorati sono stati importati dai Romani da ogni parte dell’Impero, a formare una geologia artificiale che è divenuta il simbolo della città. Dischi, riquadri di porfido, di serpentino, sezioni di colonne, riposizionate a vivere in altre forme e altri corpi, in una continua transumanza da Roma a Costantinopoli ed oltre. Le pietre si muovono, da un edificio all’altro, da una città all’altra, rinascono, non invecchiano e non muoiono mai”.
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
Così in questo tripudio di frammenti policromi, formelle, strumenti per la lavorazione del marmo provenienti dalla bottega Fiorentini - picconi, mazzette, trapani a violino, picchiarelli, che fino al Novecento hanno animato con il loro tintinnio le botteghe dei marmorari di Roma - spicca l’unica scultura presente in mostra. Si tratta di una straordinaria testa di Dioniso montata su busto non pertinente femminile, forse il torso di una Nike, composta da otto tipologie di marmi differenti.
Un documentario, a cura di Adriano Aymonino e Silvia Davoli, proiettato in loop, ripercorre la storia di queste materie arrivate a Roma di pari passo con la politica di espansione dell’impero. L’impiego di alcuni marmi colorati, come il duro serpentino verde, risale al Neolitico o alla tarda età del bronzo. Il percorso espositivo ci riporta all’Egitto dove i faraoni sfruttarono qualità diverse e dove la dinastia dei Tolomei allargò il repertorio con porfidi e alabastri dei quali Roma sarebbe andata ghiotta. Nella città eterna bisognerà attendere il periodo repubblicano per ammirare l’utilizzo di alcuni marmi colorati come il giallo antico e il pavonazzetto, mentre la loro piena diffusione si avrà soltanto con l’imperatore Augusto. Più assortiti furono senza dubbio i marmi a colori dei Flavi, mentre con gli Antonini molte cave imperiali andarono ad affiancare i giacimenti extra italici.
Le tinte erano ravvivate da levigature, grassi o cere e dovevano correlarsi a dipinti e decorazioni, andati quasi tutti perduti.
Serpentino focato, Grecia, Frammento di colonnina tortile | I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini | Courtesy Zètema
Il viaggio dei marmi aveva termine nella capitale dell'Impero dopo un itinerario complesso, dall’estrazione al trasporto - che necessitava di moltissimi addetti bene addestrati e disciplinati - fino ai depositi di ricezione e smistamento di Ostia e Roma. L’editto di Diocleziano del 301 d.C. fornisce addirittura i prezzi e valori di scambio dei marmi lavorati nell’antichità.
È probabile che Augusto e i successori abbiano voluto deliberatamente finanziare queste attività anche per favorire l’amalgama etnico e sociale all’interno del vasto impero e coinvolgere economicamente i popoli conquistati.
I costi che portarono fino a Roma questi preziosi marmi erano equiparabili a quelli delle campagne militari, anche se il motivo del loro utilizzo non è del tutto chiaro, forse la smania di lusso o un pretesto per rappresentare simbolicamente l’estensione imperiale. Se, nell’Alto Medioevo, la progressiva dissoluzione militare, politica, amministrativa ed economica occidentale coincise con la chiusura della maggior parte delle cave e con la forte tendenza al riuso di materiali antichi, col tempo prese piede un’arte nuova che avrebbe sfruttato in modo originale i marmi colorati. Roma si vestì di pavimenti con lastre reimpiegate intere o sminuzzate, a formare motivi geometrici. A segnare un’inversione di tendenza sarà il Rinascimento che provvederà a sbiadire o a reinventare le vivaci tinte di Roma. Erano ormai considerate eccessive soprattutto se paragonate alla misurata semplicità del mondo greco.
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
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• I colori dell'antico. I marmi Santarelli ai Musei Capitolini
E non è un caso che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia si soffermasse sull’enorme transumanza di pietre policrome giunte fino alla città eterna, criticando l’abitudine di alterare la natura “per giacere fra le tonalità delle pietre”.
A partire da oggi, e per i prossimi dieci anni, un corteo policromo di marmi preziosi di età imperiale sfilerà in due sale di Palazzo Clementino ai Musei Capitolini. Appartiene alla preziosa selezione di oltre 660 marmi provenienti dalla collezione capitolina e dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli grazie ad un comodato gratuito decennale.
Dentro le forme, i colori, le fantasie di pietre importate a Roma da paesi come la Grecia, la Turchia, la Francia, la Tunisia è racchiusa la sfarzosa storia millenaria della capitale con le sue vicende artistiche e socioculturali, ma anche con la sua economia e politica.
L’uso dei marmi policromi caratterizzò in modo determinante l’architettura romana di età imperiale. Ben lo dimostra l’allestimento della mostra dal titolo I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, a cura di Vittoria Bonifati, che racconta la stretta connessione tra la presenza di materiali non autoctoni alla città di Roma e l’espansione politica, economica e geografica dell’antico Impero Romano, tracciando territori e reti geografiche attraverso lo strale della storia e della memoria.
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
E siccome le grandi strade dell’impero partono dal cuore della città antica, il posizionamento dei marmi, nelle quattro pareti della sala espositiva, rispecchia le cardinali da cui giunsero a Roma. La notevole differenza numerica di marmi tra le pareti Sud ed Est e quelle Nord ed Ovest è indicativa delle civiltà più sviluppate sia dal punto di vista della ricchezza geologica del sottosuolo che dello sviluppo delle arti presenti nelle province conquistate o acquisite dai romani durante l’età imperiale, come l’odierna Grecia, l’Egitto e la Turchia, dalle quali provengono la maggior parte dei marmi colorati.
“Roma è una città costruita su tufo, travertino e peperino - spiega Vittoria Bonifati -. I marmi colorati sono stati importati dai Romani da ogni parte dell’Impero, a formare una geologia artificiale che è divenuta il simbolo della città. Dischi, riquadri di porfido, di serpentino, sezioni di colonne, riposizionate a vivere in altre forme e altri corpi, in una continua transumanza da Roma a Costantinopoli ed oltre. Le pietre si muovono, da un edificio all’altro, da una città all’altra, rinascono, non invecchiano e non muoiono mai”.
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, Allestimento | Courtesy Zètema
Così in questo tripudio di frammenti policromi, formelle, strumenti per la lavorazione del marmo provenienti dalla bottega Fiorentini - picconi, mazzette, trapani a violino, picchiarelli, che fino al Novecento hanno animato con il loro tintinnio le botteghe dei marmorari di Roma - spicca l’unica scultura presente in mostra. Si tratta di una straordinaria testa di Dioniso montata su busto non pertinente femminile, forse il torso di una Nike, composta da otto tipologie di marmi differenti.
Un documentario, a cura di Adriano Aymonino e Silvia Davoli, proiettato in loop, ripercorre la storia di queste materie arrivate a Roma di pari passo con la politica di espansione dell’impero. L’impiego di alcuni marmi colorati, come il duro serpentino verde, risale al Neolitico o alla tarda età del bronzo. Il percorso espositivo ci riporta all’Egitto dove i faraoni sfruttarono qualità diverse e dove la dinastia dei Tolomei allargò il repertorio con porfidi e alabastri dei quali Roma sarebbe andata ghiotta. Nella città eterna bisognerà attendere il periodo repubblicano per ammirare l’utilizzo di alcuni marmi colorati come il giallo antico e il pavonazzetto, mentre la loro piena diffusione si avrà soltanto con l’imperatore Augusto. Più assortiti furono senza dubbio i marmi a colori dei Flavi, mentre con gli Antonini molte cave imperiali andarono ad affiancare i giacimenti extra italici.
Le tinte erano ravvivate da levigature, grassi o cere e dovevano correlarsi a dipinti e decorazioni, andati quasi tutti perduti.
Serpentino focato, Grecia, Frammento di colonnina tortile | I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini | Courtesy Zètema
Il viaggio dei marmi aveva termine nella capitale dell'Impero dopo un itinerario complesso, dall’estrazione al trasporto - che necessitava di moltissimi addetti bene addestrati e disciplinati - fino ai depositi di ricezione e smistamento di Ostia e Roma. L’editto di Diocleziano del 301 d.C. fornisce addirittura i prezzi e valori di scambio dei marmi lavorati nell’antichità.
È probabile che Augusto e i successori abbiano voluto deliberatamente finanziare queste attività anche per favorire l’amalgama etnico e sociale all’interno del vasto impero e coinvolgere economicamente i popoli conquistati.
I costi che portarono fino a Roma questi preziosi marmi erano equiparabili a quelli delle campagne militari, anche se il motivo del loro utilizzo non è del tutto chiaro, forse la smania di lusso o un pretesto per rappresentare simbolicamente l’estensione imperiale. Se, nell’Alto Medioevo, la progressiva dissoluzione militare, politica, amministrativa ed economica occidentale coincise con la chiusura della maggior parte delle cave e con la forte tendenza al riuso di materiali antichi, col tempo prese piede un’arte nuova che avrebbe sfruttato in modo originale i marmi colorati. Roma si vestì di pavimenti con lastre reimpiegate intere o sminuzzate, a formare motivi geometrici. A segnare un’inversione di tendenza sarà il Rinascimento che provvederà a sbiadire o a reinventare le vivaci tinte di Roma. Erano ormai considerate eccessive soprattutto se paragonate alla misurata semplicità del mondo greco.
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