A Roma dal 25 gennaio al 30 giugno
Alla Galleria Corsini il Vasari ritrovato: il Cristo portacroce esposto al pubblico per la prima volta

Giorgio Vasari, Cristo portacroce, 1553, olio su tavola, 71 x 90,8 cm. Collezione privata
Samantha De Martin
24/01/2019
Roma - Il volto sognante, illuminato da un’avvenenza quasi classica, estatico nella sua posa di profilo, incorniciato da fluenti riccioli rame, leggermente reclinato come a significare l’accettazione pacificata della croce.
È una bellezza sorprendente e poetica quella profusa dal Cristo portacroce realizzato da Giorgio Vasari per il banchiere e collezionista Bindo Altoviti nel 1553 ed esposto per la prima volta al pubblico, dal 25 gennaio al 30 giugno, alla Galleria Corsini di via della Lungara.
Folgorante nel suo perfetto e calzante allestimento - nel corridoio della Galleria dotata di un nuovo impianto di illuminazione - questo Cristo “dal gusto retro”, con il suo braccio possente, gigantesco e fuoriscala, incarna uno dei vertici della produzione dell’artista aretino, oltre a costituire uno degli ultimi dipinti realizzati a Roma prima della sua partenza per Firenze.
A ritrovarlo è stato lo studioso ed esperto di pittura vasariana, Carlo Falciani, che lo ha riconosciuto nel quadro registrato dall’artista all’interno del proprio libro delle Ricordanze, dove sono indicati la data e il nome del prestigioso committente. “Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la croce che valeva scudi quindici d’oro” scriveva l’autore delle Vite.
Quello tra Falciani e la tavola - l’unica di Vasari di dimensioni abbastanza ridotte - è stato un incontro fortuito. Passato nel Seicento nelle collezioni Savoia, il dipinto era da tempo considerato perduto fino a quando non è stato identificato con questa tela recentemente comparsa ad un’asta a Hartford, in Connecticut. Grazie alla generosità dei proprietari - l’opera appartiene infatti a privati - il capolavoro vasariano sarà esposto proprio a Roma, città nella quale venne realizzato per il banchiere dedito alle arti, tanto stimato anche da Michelangelo che lo omaggiò di uno dei cartoni della volta della Sistina.
In questo Cristo è racchiuso soprattutto il rapporto tra l’artista e il committente per il quale aveva realizzato anche la celebre pala dell’Immacolata Concezione della Chiesa di Ognissanti a Firenze.
Nell’anno in cui l'opera fu compiuta, Vasari si trovava a Roma, ospite del “cordialissimo messer Bindo” nella cui residenza aveva affrescato anche la loggia con il Trionfo di Cerere, unica decorazione sopravvissuta alla distruzione del palazzo nel 1888.
È con questo capolavoro che il pittore si congeda dalla città eterna per far ritorno a Firenze ed entrare al servizio di Cosimo I de’ Medici, acerrimo nemico di Bindo Altoviti.
Leggi anche:
• Vasari per Bindo Altoviti. Il Cristo portacroce
• Guido Reni, i Barberini e i Corsini
• Il rilancio delle gallerie Barberini e Corsini
• Le memorie di Giorgio Vasari - La nostra recensione
È una bellezza sorprendente e poetica quella profusa dal Cristo portacroce realizzato da Giorgio Vasari per il banchiere e collezionista Bindo Altoviti nel 1553 ed esposto per la prima volta al pubblico, dal 25 gennaio al 30 giugno, alla Galleria Corsini di via della Lungara.
Folgorante nel suo perfetto e calzante allestimento - nel corridoio della Galleria dotata di un nuovo impianto di illuminazione - questo Cristo “dal gusto retro”, con il suo braccio possente, gigantesco e fuoriscala, incarna uno dei vertici della produzione dell’artista aretino, oltre a costituire uno degli ultimi dipinti realizzati a Roma prima della sua partenza per Firenze.
A ritrovarlo è stato lo studioso ed esperto di pittura vasariana, Carlo Falciani, che lo ha riconosciuto nel quadro registrato dall’artista all’interno del proprio libro delle Ricordanze, dove sono indicati la data e il nome del prestigioso committente. “Ricordo come a dì XX di maggio 1553 Messer Bindo Altoviti ebbe un quadro di braccia uno e mezzo drentovi una figura dal mezzo in su grande, un Cristo che portava la croce che valeva scudi quindici d’oro” scriveva l’autore delle Vite.
Quello tra Falciani e la tavola - l’unica di Vasari di dimensioni abbastanza ridotte - è stato un incontro fortuito. Passato nel Seicento nelle collezioni Savoia, il dipinto era da tempo considerato perduto fino a quando non è stato identificato con questa tela recentemente comparsa ad un’asta a Hartford, in Connecticut. Grazie alla generosità dei proprietari - l’opera appartiene infatti a privati - il capolavoro vasariano sarà esposto proprio a Roma, città nella quale venne realizzato per il banchiere dedito alle arti, tanto stimato anche da Michelangelo che lo omaggiò di uno dei cartoni della volta della Sistina.
In questo Cristo è racchiuso soprattutto il rapporto tra l’artista e il committente per il quale aveva realizzato anche la celebre pala dell’Immacolata Concezione della Chiesa di Ognissanti a Firenze.
Nell’anno in cui l'opera fu compiuta, Vasari si trovava a Roma, ospite del “cordialissimo messer Bindo” nella cui residenza aveva affrescato anche la loggia con il Trionfo di Cerere, unica decorazione sopravvissuta alla distruzione del palazzo nel 1888.
È con questo capolavoro che il pittore si congeda dalla città eterna per far ritorno a Firenze ed entrare al servizio di Cosimo I de’ Medici, acerrimo nemico di Bindo Altoviti.
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