Alla scoperta di Three Gates of In-Perfection

Dialogo Infinito: sulla Via Francigena l’arte di Giancarlo Neri

Giancarlo Neri, Cinquanta sfumature di Neri, 2011 | Courtesy of Giancarlo Neri
 

Francesca Grego

25/01/2019

Roma - Ha la voce profonda e la risata sincera. Davanti a un caffè Giancarlo Neri è capace di schiuderti un mondo. O più d’uno: dall’atmosfera entusiasmante di New York alla fine degli anni Settanta, dove è maturato come artista, all’Italsider di Bagnoli, dove ha lasciato un pezzo di cuore e un Totem alto dieci metri. Per arrivare alle Vie Francigene del Lazio, teatro del progetto Three Gates of In-Perfection, promosso e supportato da ARTE.it, di cui Giancarlo è protagonista insieme ad Angelo Cricchi, Davide Dormino e Goldschmied & Chiari.
 
Nato come pittore, Neri ha trovato nell’arte pubblica la sua dimensione elettiva: se nella Grande Mela ha realizzato installazioni memorabili come Still Night (1989) e Holy Tunnel (1991), se più recentemente ha conquistato Lisbona e Rio de Janeiro con Mistério Napolitano, Glòria! e Barroco Elétrico, è ben noto al pubblico italiano per il tappeto di globi luminosi al Circo Massimo (Massimo Silenzio, 2007), per l’immensa sedia con scrivania di Lo Scrittore (2003, nel Parco romano di Villa Ada, poi a Londra e ora definitivamente a Monza) e AudioGhost68, “opera per luci e suoni” creata nel 2015 sul Cretto di Burri a Gibellina con Robert Del Naja dei Massive Attack. Senza contare i numerosi interventi concepiti intorno a Napoli, sua città d’origine: dalla suggestiva 180 Sedie a Capri (1991) a Luna & Laltra (2008) a Castel Sant’Elmo.
Luce, metalli, sedie riciclate o nuove di zecca, cavalli a dondolo e sculture gigantesche sono solo alcuni degli ingredienti della sua arte. Si può essere innamorati del proprio lavoro dopo 35 anni? Ad ascoltarlo si direbbe di sì: se Neri non le manda a dire è per schiettezza, ma soprattutto per passione.


Giancarlo Neri, Vincere si deve la sorte, 2010, Cretto di Burri, Gibellina (TP), Particolare | Courtesy of Giancarlo Neri

Proviamo a saperne di più, a partire da Dialogo Infinito, il grande arco in acciaio Corten “con due sedie obbligate a guardarsi per sempre” che presto raggiungerà la Valle del Sorbo, sulla Via Francigena tra Formello e Campagnano (Roma).
“Non è facile raccontare un’opera con le parole” dice Giancarlo: “Sono a mio agio nel mondo delle immagini, è il mio linguaggio, dove infilo tutto quello che desidero esprimere e soprattutto tolgo ciò che non è essenziale, lavorando principalmente per sottrazione. Nel caso di Dialogo infinito quelle del titolo sono le uniche due parole necessarie, è tutto lì nella sua immediatezza. Sarà un’opera da guardare più che da spiegare. In caso contrario rischierei di banalizzarne e limitarne il senso”.
 
Vuoi raccontarci come è nata?
“Difficile risalire al momento esatto in cui ho deciso quale forma avrebbe avuto. Quando ho saputo che avrei dovuto lavorare sulle Vie Francigene del Lazio, il primo passo è stato una perlustrazione su Google Maps: già da questa ricerca la Valle del Sorbo si preannunciava un posto fantastico. Poi durante i sopralluoghi effettuati con Angelo Cricchi e Davide Dormino ha vinto a mani basse su tutti gli altri. Sembrava incredibile che nessun altro dei partecipanti al progetto ci avesse pensato: un luogo bellissimo e così vicino a Roma! Visto che nella mia storia di artista ho avuto una certa consuetudine con le sedie, ho trovato stimolante declinare il tema in questo nuovo paesaggio”.
 
Quanto è importante il luogo nel tuo lavoro?
“Il luogo è l’opera o almeno è una parte fondamentale, anche se a prima vista non è facilissimo da comprendere. Io mi considero un pittore, è così che ho iniziato a New York 35 anni fa, e quello che faccio oggi è una sorta di evoluzione della pittura. Per esempio un giorno ho pensato di realizzare un cavallo a dondolo galleggiante alto 10 metri da collocare nel mare di Napoli davanti a Castel dell’Ovo. Tutti hanno pensato che l’opera fosse il cavallo, come se dietro non ci fossero stati un castello, il mare, l’orizzonte, Capri, che in realtà erano i fondali: il cavallo serviva a far vedere tutte queste cose. Che non le ho fatte io è vero, ma fanno parte dell’opera, l’opera è tutto l’insieme”.


Giancarlo Neri, Dialogo Infinito, Collage di studio | Courtesy of Giancarlo Neri

In che modo Dialogo Infinito entra in relazione con il paesaggio della Via Francigena?
“La Valle del Sorbo è uno spettacolo della natura, con boschi, campi e prati attraversati da un sentiero. In alto c’è un santuario e sul fondo della valle un corso d’acqua. Noi siamo in una posizione intermedia, che permette di apprezzarne tutta la bellezza. Il fatto che il posto mi piaccia molto esteticamente è una gran cosa. Ho sempre cercato di farlo, ma questa volta sento ancora più forte il desiderio di inserirmi nell’ambiente.
Quello che più mi emoziona è che ci siano anche mucche e cavalli che pascolano liberi, elementi casuali che potranno entrare a far parte dell’opera come in un tableau vivant. Lo stesso vale per la gente del posto, la pioggia e il sole, i pellegrini e i camminatori che percorrono la Via Francigena con il bastone.
Lavorare qui si avvicina molto alla mia idea di fare arte che stia dentro la vita”.
 
Come immagini il rapporto che le persone instaureranno con la tua opera?
“Non mi piace il concetto di interattività fine a se stesso, anzi credo che alcune esperienze artistiche recenti siano state penalizzate da quella che è diventata una moda. Nel 2007 molti sono voluti entrare nell’installazione Massimo Silenzio che ho creato a Roma, come se questo potesse portare a chissà quali scoperte. Che senso ha, quando hai da guardare i 30 mila metri quadri del Circo Massimo coperti di globi luminosi?
Probabilmente questa volta qualcuno si arrampicherà sulla mia scultura per prendere posto sulle sedute e farsi fotografare. Ma non è quello che vorrei. Sedersi su Dialogo Infinito è un sedersi figurato. Al massimo mi piacerebbe se due persone si mettessero di fronte a guardarsi in silenzio per un quarto d’ora.
Ma soprattutto sarei felice se la presenza di queste opere potesse trasformare i passanti in osservatori. È interessante il legame del progetto con la spiritualità, così come l’improvviso apparire delle installazioni a qualcuno che sta camminando. Il fatto che la Via Francigena si percorra anche con intenti contemplativi potrebbe aiutarci, tuttavia non possiamo saperlo in anticipo. Il nostro è un invito, un tentativo, una scommessa. Vedremo se funzionerà”.


Giancarlo Neri, Massimo Silenzio, 2007, Roma, Circo Massimo, Particolare | Courtesy of Giancarlo Neri 

Three Gates of In-Perfection è una piccola collettiva. Qual è il legame di Dialogo Infinito con le altre opere del progetto?
“Il rischio delle collettive è che siano messe insieme ‘con lo scotch’: per fortuna non è questo il caso. Per esempio con Davide Dormino, la cui scultura sarà collocata poco distante dalla mia, abbiamo capito subito di avere una sensibilità comune. Le nostre opere condividono il desiderio di ‘guardare attraverso’. Nonostante ci fossimo appena conosciuti, è stata una bella esperienza fare insieme i sopralluoghi, condividere un posto, un obiettivo, tant’è vero che dopo un po’ lui cercava soluzioni adatte a me e io per lui. Sono rimasto affascinato dalla sua opera, Atlante: è bellissima e sono contento che le nostre installazioni saranno vicine. Il marmo, che lui lavora, mi affascina proprio perché non mi appartiene: mi intriga l’idea della lotta fisica con la materia.
Angelo documenterà il progetto con le sue fotografie, mentre per il momento so poco del lavoro del duo Goldschmied & Chiari, che sarà collocato nel Santuario della Madonna del Sorbo.
Ma non è affatto necessario trovare ora un nesso che leghi tra loro tutte le opere, se ci sarà lo scopriremo quando le vedremo insieme”.
 
Sedie e sedute sono un marchio di fabbrica di Giancarlo Neri. Come mai?
“Perché le sedie? Me l’hanno chiesto una volta due fidanzatini a Capri, mentre stavo preparando un’installazione di 180 sedie con lampadine lungo tutto il percorso della Via Krupp. Dissi che quella era l’unica domanda a cui non potevo rispondere: la sedia è essa stessa una domanda.
Posso raccontarti come ho iniziato. Era il 1988 e pensai di fare un intervento sui tetti del centro storico di Napoli visibile dalla terrazza del bellissimo Palazzo Marigliano. Cominciai a raccogliere oggetti dalla spazzatura e le sedie abbondavano, in particolare quelle senza seduta. In città venivano spesso utilizzate dai parcheggiatori abusivi o dagli abitanti dei bassi per tenere libero un posto macchina. Un messaggio preciso quindi. Per me invece una sedia vuota evoca la presenza, l’assenza, il tempo, perché ha senso solo in rapporto a un essere umano che la usa. È un tempo sospeso: non sappiamo se qualcosa è successo prima, succederà o non succederà nulla. Quello che mi piace di più è proprio il senso della possibilità.
Anche Lo Scrittore (creato nel 2003 per il Parco di Villa Ada a Roma, trasferito a Londra nel Parco di Hampstead Heath nel 2005 e poi collocato definitivamente nella Villa Reale di Monza, n.d.r.) è fatto di una sedia e di uno scrittoio di 11 metri per 6.50. La cosa incredibile è che nella mente delle persone lo scrittoio è stato cancellato: per tutti io sono diventato l’autore della ‘sedia gigante’!”.


Giancarlo Neri, The Writer, 2005, Londra, Hampstead Heath | Courtesy of Giancarlo Neri
Perché per Dialogo Infinito hai scelto l’acciaio Corten?
“Ho un passato ‘siderurgico’ di sculture fatte con ferro e ghisa. Mentre smantellavano l’Italsider di Bagnoli ho lavorato per due anni insieme agli operai con i rottami della fabbrica: lunghe giornate, pasti in comune e un numero infinito di caffè, mentre le esplosioni delle ciminiere decretavano la fine di quello che era stato il posto di lavoro di quattro o cinque generazioni. I frutti di questa esperienza li abbiamo portati a Palazzo Reale in una mostra, mentre a Bagnoli è rimasto Pasquale, un totem alto dieci metri con otto tonnellate di capelli, dedicato alla tribù in estinzione degli operai dell’Ilva. Pasquale sta lentamente cambiando: il ferro si ossida a meno che non si intervenga spesso per fermare il processo.
Il Corten al contrario viene fatto arrugginire in partenza in modo controllato e poi resta stabile. Mi è sembrata la scelta ideale per un’opera da collocare all’aperto, esposta agli agenti atmosferici. E il ruggine è un bel colore”.
 
Come sei arrivato a occuparti di arte pubblica?
“Quando mi sono trasferito a New York nel 1978 facevo il calciatore professionista, ma un anno dopo decisi di iscrivermi alla Art Students League. Una scuola libera, senza esami, voti e diplomi, da cui sono passati personaggi come Pollock, Rauschenberg, Warhol. Iniziai a dipingere seguendo i corsi di nudo dal vero. Mi sentivo a casa. Poco dopo con un colpo di fortuna trovai un lavoro in una galleria a due isolati dalla scuola: sarebbe diventata la mia galleria, con la direzione della grande Jill Kornblee.
Ma il mondo dei critici e delle gallerie mi stava già un po’ stretto. Nel 1982 avevo affittato un minuscolo studio in Union Square: una cella lunga e stretta che però - caso raro a New York - godeva di un bellissimo panorama sui grattacieli di Manhattan. Avendo poco spazio all’interno, pensai di posizionare dei pannelli dipinti sui tetti vicini e di invitare il pubblico a vederli dalla mia finestra. Convincere i proprietari dei terrazzi fu un’impresa, ma alla fine ci riuscii. Per qualche anno sono rimasto in bilico tra la pittura e l’arte ambientale, poi ho scelto, complice anche la chiusura della Kornblee Gallery nel 1985: mi piaceva far uscire l’arte dalla finestra in tutti i sensi, rendermi indipendente dalle gallerie, entrare in rapporto diretto con la città.
La vita del pittore certo continua a piacermi: dopo averla abbandonata per 28 anni, nel 2014 sono tornato a esporre dei dipinti a Roma con la mostra Parole parole”.
 
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
“Ho un progetto per Piazza della Signoria a Firenze: 30 lune che la circondano a 360 gradi arrampicandosi anche sulla Torre. In Italia i tempi sono lunghi, ci vuole tenacia e pazienza, ma se penso a Christo che ha impiegato 24 anni per impacchettare il Reichstag di Berlino riesco a non perdermi d’animo!
Nel frattempo, sempre a proposito di lune, nel 2017 ho avuto la soddisfazione di installarne 60 sui tetti di Spoleto, una per ogni anno del Festival dei Due Mondi. E poi non mi dispiacerebbe tornare a Milano, dove ho esposto i miei dipinti negli anni Ottanta: una città dove tutto è in movimento e c’è spazio per nuovi progetti.
Infine c’è un progetto al quale tengo particolarmente: la realizzazione di un documentario sul mio lavoro che sarà pronto nel 2020 in occasione dei miei 'primi' quarant'anni di carriera".


Giancarlo Neri, Lune, Particolare, Festival di Spoleto 2017 | Courtesy of  Giancarlo Neri

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• FOTO: Three Gates of In-Perfection



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