A Roma dal 12 ottobre al 14 gennaio
Paesaggi, cortigiane e animali fantastici. Il seducente universo di Hokusai conquista l'Ara Pacis
Katsushika Hokusai, Veduta del tramonto presso il ponte Ryogoku dalla sponda del pontile di Onmaya, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832, Silografia policroma, Kawasaki Isago no Sato Museum
Samantha De Martin
11/10/2017
Roma - Solo quando, a fine Ottocento, le riproduzioni delle sue stampe vennero scoperte ed apprezzate essendo utilizzate come carta da imballaggio per gli oggetti preziosi spediti dal Giappone, Katsushika Hokusai, l’artista della Grande Onda, il padre del manga moderno e dei fantastici mondi fluttuanti, imboccò la strada di quell’iniziazione artistica che lo avrebbe consacrato come uno dei pittori più riprodotti ed apprezzati al mondo.
La raffinatezza dei suoi paesaggi, la dolcezza delle cortigiane con i loro preziosi kimono, la bellezza degli animali e degli esseri semileggendari non lasciò indifferenti nemmeno gli artisti parigini di fine Ottocento, che, da Monet a Toulouse Lautrec, rimasero attratti dall’indiscusso maestro dell’ukiyoe (“immagini del Mondo Fluttuante”).
«Quello che invidio ai Giapponesi - scriveva van Gogh, anch’egli profondamente devoto al fenomeno del japonisme - è l’estrema limpidezza che ogni elemento ha nelle loro opere. Opere semplici come un respiro, che riescono a creare una figura con pochi, ma decisi tratti, con la stessa facilità con la quale ci abbottoniamo il gilet».
Ed è anche per questa fortuna, per questo suo tentativo perfettamente riuscito di ispirare ed entusiasmare l’arte e la cultura europea, che la presenza di Katsushika Hokusai al Museo dell’Ara Pacis - insieme agli artisti che, come Keisai Eisen, Katsushika Hokumei, Teisai Hokuba, Ryūryūkyo Shinsai, ne seguirono le illustri orme - assume ancora più fascino.
Eppure la grande novità di questa mostra, in calendario dal 12 ottobre al 14 gennaio, non è da ricercare soltanto, come spiega anche il curatore Rossella Menegazzo, nella presenza dei celebri mondi fluttuanti del maestro di Edo, quanto piuttosto «nell’unicità delle opere presentate, in quell’inedito confronto tra le due grandi Onde e le due vedute del vulcano Fuji realizzate da Hokusai e dal suo allievo Totoya Hokkei». «La grande sfida di questa esposizione - continua Menegazzo - è quella di mettere Hokusai in relazione con i tanti artisti che si sono confrontati con lui, illustrando la produzione del maestro in fecondo confronto con quella di alcuni tra gli allievi che, seguendo le sue orme, generarono nuove forme, linee, equilibri di colore all’interno del tradizionale filone dell’ukiyoe. L’esposizione approfondisce inoltre il rapporto tra l’opera pittorica e quella silografica, senza trascurare l’epoca e il contesto nei quali questi artisti operarono».
L’appuntamento romano con il grande maestro di Edo sarà anche un’occasione per presentare, per la prima volta in Italia, la figura artistica di Keisai Eisen, artista apprezzato per i suoi delicati ritratti di beltà che furono presi a modello anche da van Gogh, come l’imponente cortigiana a figura intera con kimono nero, che il pittore olandese inserì anche come parte della composizione di stampe ukiyoe che fanno da sfondo al Ritratto di père Tanguy.
Accanto alla poliedrica carriera di Hokusai, artista, autore di manuali didattici, maestro di disegno, fattorino, illustratore di libri gialli e autore di racconti per le donne, ripercorsa attraverso numerose opere - che saranno esposte in due rotazioni per motivi conservativi legati alla fragilità dei materiali - ci sono anche diversi dipinti su rotolo di alcuni suoi illustri allievi, per un totale di 200 lavori.
Nelle cinque sezioni della mostra, in un percorso che travolge e che qualche volta disorienta facendo smarrire il filo narrativo dell’allestimento, ci sono boschi di bambù e notti di luna, ponti e cortigiane ritratte in situazioni intime, private, di grande bellezza. Alcune, avvolte da splendidi kimono, contemplano la luna piena, altre raccolgono conchiglie sulla spiaggia. Ci sono poi donne annoiate, dalle acconciature arricchite da pettini e spilloni, e quelle la cui sensualità si esplica nella delicatezza di un piede che fuoriesce dai sandali, per raggiungere il culmine nell’erotico incrocio di corpi e volti di amanti, tra la pregiata ridondanza dei tessuti.
Nella prima sezione, intitolata MEISHŌ, ‘mete da non perdere’, tra le tante opere emergono i due rotoli dipinti con il Monte Fuji protagonista, messi a confronto per la prima volta. Il Monte Fuji all’alba, del 1843 - con il riverbero rosato delle luci dell’aurora sul monte e sui campi ai suoi piedi - si affianca a Veduta del monte Fuji nel piccolo sesto mese realizzato nel 1837 da Totoya Hokkei, l’allievo di Hokusai, che raffigura l’altura avvolta da un cerchio nebuloso biancastro con la cima coperta dal cappuccio di neve. Spicca in questa sezione anche un album di Hokusai che raffigura le 53 stazioni del Tōkaidō, abbinate ad attività quotidiane e a mestieri tipici, stampate con minuzia di particolari e pochi vivacissimi colori.
La visita prosegue, nella seconda sezione, con Beltà alla moda, una sorta di “catalogo Vogue” dell’Ottocento che snocciola un repertorio di immagini legate al mondo della seduzione. Raffinati dipinti su carta o su seta nel formato del rotolo verticale, firmati da Hokusai, da Eisen Teisai Hokuba, Katsushika Hokumei, Ryūryūkyo Shinsai, Gessai Utamasa si affiancano alle più popolari silografie, policrome o con il solo colore blu, nelle quali Eisen eccelle. Non passano inosservate le “immagini pericolose” - abunae - di Eisen, così chiamate perché ritraevano scene amorose talvolta oggetto di censura, come Piovre e pescatrici di awabi che solo l’abile mano e la profonda ironia di Hokusai potevano rendere tanto sensuale e del tutto priva di cattivo gusto.
Non mancano, nella terza sezione, intitolata Fortuna e buon augurio, i surimono, biglietti, calendari, inviti a raduni, selezionati per il loro valore simbolico e benaugurale legato a un preciso momento dell’anno o alle credenze popolari in generale.
Dalla quarta sezione - Catturare l’essenza della natura - che mette a confronto due dipinti di Hokusai che hanno per soggetto la tigre e il bambù, uno del 1818 e uno del 1839 - il percorso prosegue verso l’ultima parte dell’esposizione, intitolata Manga e manuali per imparare, dove oltre ai famosissimi manuali - concepiti dal maestro Hokusai come veri e propri libri di disegno per pittori professionisti e dilettanti - si possono apprezzare alcune pagine del Libro illustrato, una raccolta di motivi decorativi per artigiani.
Le opere in mostra sono frutto di importanti prestiti che vedono coinvolti il Chiba City Museum of Art, la collezione Uragami Mitsuru e il Kawasaki Isago no Sato Museum, oltre che il Museo d’Arte orientale Edoardo Chiossone di Genova.
È soprattutto grazie a questi prestiti che le preziose tracce di Hokusai, insieme a quelle dei suoi illustri allievi e seguaci, restano impresse nel visitatore, regalando a Roma, anche se per soli tre mesi, un universo profondo, estremamente fecondo e dinamico, una cultura preziosa e magnetica che va oltre la travolgente potenza della celebre Onda.
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La raffinatezza dei suoi paesaggi, la dolcezza delle cortigiane con i loro preziosi kimono, la bellezza degli animali e degli esseri semileggendari non lasciò indifferenti nemmeno gli artisti parigini di fine Ottocento, che, da Monet a Toulouse Lautrec, rimasero attratti dall’indiscusso maestro dell’ukiyoe (“immagini del Mondo Fluttuante”).
«Quello che invidio ai Giapponesi - scriveva van Gogh, anch’egli profondamente devoto al fenomeno del japonisme - è l’estrema limpidezza che ogni elemento ha nelle loro opere. Opere semplici come un respiro, che riescono a creare una figura con pochi, ma decisi tratti, con la stessa facilità con la quale ci abbottoniamo il gilet».
Ed è anche per questa fortuna, per questo suo tentativo perfettamente riuscito di ispirare ed entusiasmare l’arte e la cultura europea, che la presenza di Katsushika Hokusai al Museo dell’Ara Pacis - insieme agli artisti che, come Keisai Eisen, Katsushika Hokumei, Teisai Hokuba, Ryūryūkyo Shinsai, ne seguirono le illustri orme - assume ancora più fascino.
Eppure la grande novità di questa mostra, in calendario dal 12 ottobre al 14 gennaio, non è da ricercare soltanto, come spiega anche il curatore Rossella Menegazzo, nella presenza dei celebri mondi fluttuanti del maestro di Edo, quanto piuttosto «nell’unicità delle opere presentate, in quell’inedito confronto tra le due grandi Onde e le due vedute del vulcano Fuji realizzate da Hokusai e dal suo allievo Totoya Hokkei». «La grande sfida di questa esposizione - continua Menegazzo - è quella di mettere Hokusai in relazione con i tanti artisti che si sono confrontati con lui, illustrando la produzione del maestro in fecondo confronto con quella di alcuni tra gli allievi che, seguendo le sue orme, generarono nuove forme, linee, equilibri di colore all’interno del tradizionale filone dell’ukiyoe. L’esposizione approfondisce inoltre il rapporto tra l’opera pittorica e quella silografica, senza trascurare l’epoca e il contesto nei quali questi artisti operarono».
L’appuntamento romano con il grande maestro di Edo sarà anche un’occasione per presentare, per la prima volta in Italia, la figura artistica di Keisai Eisen, artista apprezzato per i suoi delicati ritratti di beltà che furono presi a modello anche da van Gogh, come l’imponente cortigiana a figura intera con kimono nero, che il pittore olandese inserì anche come parte della composizione di stampe ukiyoe che fanno da sfondo al Ritratto di père Tanguy.
Accanto alla poliedrica carriera di Hokusai, artista, autore di manuali didattici, maestro di disegno, fattorino, illustratore di libri gialli e autore di racconti per le donne, ripercorsa attraverso numerose opere - che saranno esposte in due rotazioni per motivi conservativi legati alla fragilità dei materiali - ci sono anche diversi dipinti su rotolo di alcuni suoi illustri allievi, per un totale di 200 lavori.
Nelle cinque sezioni della mostra, in un percorso che travolge e che qualche volta disorienta facendo smarrire il filo narrativo dell’allestimento, ci sono boschi di bambù e notti di luna, ponti e cortigiane ritratte in situazioni intime, private, di grande bellezza. Alcune, avvolte da splendidi kimono, contemplano la luna piena, altre raccolgono conchiglie sulla spiaggia. Ci sono poi donne annoiate, dalle acconciature arricchite da pettini e spilloni, e quelle la cui sensualità si esplica nella delicatezza di un piede che fuoriesce dai sandali, per raggiungere il culmine nell’erotico incrocio di corpi e volti di amanti, tra la pregiata ridondanza dei tessuti.
Nella prima sezione, intitolata MEISHŌ, ‘mete da non perdere’, tra le tante opere emergono i due rotoli dipinti con il Monte Fuji protagonista, messi a confronto per la prima volta. Il Monte Fuji all’alba, del 1843 - con il riverbero rosato delle luci dell’aurora sul monte e sui campi ai suoi piedi - si affianca a Veduta del monte Fuji nel piccolo sesto mese realizzato nel 1837 da Totoya Hokkei, l’allievo di Hokusai, che raffigura l’altura avvolta da un cerchio nebuloso biancastro con la cima coperta dal cappuccio di neve. Spicca in questa sezione anche un album di Hokusai che raffigura le 53 stazioni del Tōkaidō, abbinate ad attività quotidiane e a mestieri tipici, stampate con minuzia di particolari e pochi vivacissimi colori.
La visita prosegue, nella seconda sezione, con Beltà alla moda, una sorta di “catalogo Vogue” dell’Ottocento che snocciola un repertorio di immagini legate al mondo della seduzione. Raffinati dipinti su carta o su seta nel formato del rotolo verticale, firmati da Hokusai, da Eisen Teisai Hokuba, Katsushika Hokumei, Ryūryūkyo Shinsai, Gessai Utamasa si affiancano alle più popolari silografie, policrome o con il solo colore blu, nelle quali Eisen eccelle. Non passano inosservate le “immagini pericolose” - abunae - di Eisen, così chiamate perché ritraevano scene amorose talvolta oggetto di censura, come Piovre e pescatrici di awabi che solo l’abile mano e la profonda ironia di Hokusai potevano rendere tanto sensuale e del tutto priva di cattivo gusto.
Non mancano, nella terza sezione, intitolata Fortuna e buon augurio, i surimono, biglietti, calendari, inviti a raduni, selezionati per il loro valore simbolico e benaugurale legato a un preciso momento dell’anno o alle credenze popolari in generale.
Dalla quarta sezione - Catturare l’essenza della natura - che mette a confronto due dipinti di Hokusai che hanno per soggetto la tigre e il bambù, uno del 1818 e uno del 1839 - il percorso prosegue verso l’ultima parte dell’esposizione, intitolata Manga e manuali per imparare, dove oltre ai famosissimi manuali - concepiti dal maestro Hokusai come veri e propri libri di disegno per pittori professionisti e dilettanti - si possono apprezzare alcune pagine del Libro illustrato, una raccolta di motivi decorativi per artigiani.
Le opere in mostra sono frutto di importanti prestiti che vedono coinvolti il Chiba City Museum of Art, la collezione Uragami Mitsuru e il Kawasaki Isago no Sato Museum, oltre che il Museo d’Arte orientale Edoardo Chiossone di Genova.
È soprattutto grazie a questi prestiti che le preziose tracce di Hokusai, insieme a quelle dei suoi illustri allievi e seguaci, restano impresse nel visitatore, regalando a Roma, anche se per soli tre mesi, un universo profondo, estremamente fecondo e dinamico, una cultura preziosa e magnetica che va oltre la travolgente potenza della celebre Onda.
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