Dal 16 gennaio al 10 febbraio 2024 alla Galleria Michela Rizzo di Venezia
Fatalitàlia o la leggerezza della coincidenza come antidoto al caos
Luca Clabot, Incontro luce, Dettaglio, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: © ARTE.it
Luca Muscarà
14/01/2024
Venezia - Se a Venezia l’espressione "fatalità" rimarca il fortuito coincidere di eventi e traiettorie apparentemente slegati tra loro, lasciando emergere logiche inattese che articolano inediti collegamenti, essa costituisce anche l’ineludibile cifra con cui avvicinarsi all’opera di Luca Clabot. La crasi di tale espressione con "Italia", FATALITÀLIA, titolo della sua ultima personale veneziana inaugurata ieri alla Galleria Michela Rizzo alla Giudecca, trascende così la mera assonanza fonetica, per riecheggiare la frase di Massimo D’Azeglio "Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani", che per oltre un secolo rappresentò l’invito programmatico a costruire un’unità non solo geopolitica, ma di una popolazione che fosse in grado di oltrepassare le proprie diversità e divisioni interne riunendosi in un comune sforzo condiviso.
Tale richiamo storico appare evidenziato dal successivo accostamento tra l’invocazione romantica di Garibaldi "o si fa l’Italia o si muore" e il contrasto con il suo anagramma d’artista "e sia, muoio fra l’alitosi", a misurare la distanza tra l’ideale risorgimentale e la pestifera realtà circostante. Se l’unità degli italiani pare oggi raggiunta soprattutto nelle cattive abitudini (non solo alimentari), non resta che invocare ("e sia") la tragica alternativa, trasfigurando l’originale promessa di una morte eroica nell’ingloriosa fine per i fetenti olezzi. Insomma, lo stesso respiro che per gli Antichi era il sacro alito della vita, è oggi soffocato dalle pervasive conseguenze di un nutrimento spirituale sbagliato.
Luca Clabot, Viaggio in Italia tra 500 e 600, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Tale concetto è ampiamente declinato nella serie di sapienti accostamenti tra pagine tratte da Gli amici di Topolino e incessanti notizie di casi giudiziari celati dietro un’apparente normalità, o ancora nel Viaggio in Italia tra 500 e 600, dove il calembour tra antico e moderno prende la forma di un’intera sala di cartoline anni sessanta e settanta, raccolte e messe in sequenza dall’artista a documentare le innumerevoli bellezze storiche e paesaggistiche di un Paese che, uscendo dalla rovinosa miseria della Seconda Guerra Mondiale, si affacciava speranzoso alla nuova libertà automobilistica promessa a tutti dalle utilitarie Fiat.
Cosa è avvenuto delle speranze e delle promesse di libertà di quel secondo dopoguerra che mediavano le aspirazioni della generazione silenziosa emersa dalle rovine del conflitto (insieme alla nuova generazione dei loro figli, allora bambini) con l’austera antichità di contesti urbani sui quali iniziavano ad affacciarsi la speculazione edilizia e gli albori del consumismo?
Come è potuto accadere che quegli stessi bambini lettori del fumetto americano negli anni del miracolo economico siano divenuti i protagonisti di tanti episodi di corruzione e violenza in un’infamante quanto ripetitiva cronaca alla quale siamo ormai assuefatti?
La risposta è forse nella superlativa coincidenza individuata da Clabot, Incontro Luce, l’opera più emblematica e impressionante dell’intera esposizione. Una pagina d’enciclopedia fine anni sessanta mostra un’esplosione nucleare che, vista appunto in controluce, risulta tragicamente sovrapporsi all’Assunzione di Maria del Tiziano (custodita nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia) della pagina seguente, come se la Vergine Assunta emergesse dallo stesso fungo atomico insieme alla nuvola dei cherubini. Uranium Titianum (Incontro luce) sottolinea Clabot che, anche nel presentare le opere, non perde occasione per rivelare, attraverso coincidenze fonetiche e verbali, nuove possibilità di un senso compiuto. Traslando suoni, parole e numeri, anche le date delle due ricorrenze qui evocate (rispettivamente il 6 e il 15 agosto), sono permutate in un "quindi-ci-sei" ad affermare l’inquietante correlazione tra trascendenza e ordine geopolitico post-nucleare.
Luca Clabot, Pagine bianche, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Pagine bianche richiama la nostra attenzione mediante una serie di pubblici avvisi alla popolazione italiana, dove l’artista ricostruisce le statistiche di diverse serie di selezionati cognomi, tra le quali spiccano quelli che corrispondono ad un numero con le relative occorrenze, facendoci osservare la curiosa frequenza che unisce nomi e numeri, o il Conto presentato al popolo italiano, in cui Clabot seleziona quei cognomi che coincidono con portate e pietanze di un abbondante pasto completo, o ancora quelle degli italiani il cui cognome coincide con le nazionalità di tanti migranti, principalmente extraeuropei, che hanno rimpolpato la crollante demografia italiana, identità oggi strumentalmente manipolate da "politici" populisti in senso nazionalistico.
A fronte di tanta alitosi, Clabot fa idealmente appello alla generazione dei baby boomer, suoi contemporanei, invitandoci sommessamente a metterci in ascolto della realtà oltre il frastuono mediatico con un'intera parete tappezzata di padiglioni auricolari, riconoscendo anche nel rumore circostante la possibilità di ritrovare attraverso il gioco linguistico e l’archeologia documentale un senso poetico del mondo, insieme antico ed attuale, dotato di leggerezza e intelligenza, divertente senza rinunciare alla consapevolezza politica del presente.
Immagini, sculture, performance e calembour divengono così altrettante occasioni per rivelare le infinite coincidenze che costellano il caos, giocando attraverso i rimandi tra suoni e senso, tra parole e numeri, in ideale prosecuzione di quella linea di ricerca artistica che dal Movimento futilista, convissuto insieme all’amico Lucio Spinozzi, rinvia al Movimento Oulipo e, ancor prima, al dadaista Le Cabaret Voltaire (anagrammato in Clabot era la verità), ampliandone poeticamente l’orizzonte storico politico.
Luca Clabot, Al Cabaret Voltaire Clabot era la verità, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Vedi anche:
• FATALITÀLIA di Luca Clabot
• Luca Clabot. Gli amici di Topolino
• L'ultimo viaggio di Lucio Spinozzi
• L'archeologia del caos: Lucio Spinozzi, PICTOR NATUS VENETIIS
Tale richiamo storico appare evidenziato dal successivo accostamento tra l’invocazione romantica di Garibaldi "o si fa l’Italia o si muore" e il contrasto con il suo anagramma d’artista "e sia, muoio fra l’alitosi", a misurare la distanza tra l’ideale risorgimentale e la pestifera realtà circostante. Se l’unità degli italiani pare oggi raggiunta soprattutto nelle cattive abitudini (non solo alimentari), non resta che invocare ("e sia") la tragica alternativa, trasfigurando l’originale promessa di una morte eroica nell’ingloriosa fine per i fetenti olezzi. Insomma, lo stesso respiro che per gli Antichi era il sacro alito della vita, è oggi soffocato dalle pervasive conseguenze di un nutrimento spirituale sbagliato.
Luca Clabot, Viaggio in Italia tra 500 e 600, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Tale concetto è ampiamente declinato nella serie di sapienti accostamenti tra pagine tratte da Gli amici di Topolino e incessanti notizie di casi giudiziari celati dietro un’apparente normalità, o ancora nel Viaggio in Italia tra 500 e 600, dove il calembour tra antico e moderno prende la forma di un’intera sala di cartoline anni sessanta e settanta, raccolte e messe in sequenza dall’artista a documentare le innumerevoli bellezze storiche e paesaggistiche di un Paese che, uscendo dalla rovinosa miseria della Seconda Guerra Mondiale, si affacciava speranzoso alla nuova libertà automobilistica promessa a tutti dalle utilitarie Fiat.
Cosa è avvenuto delle speranze e delle promesse di libertà di quel secondo dopoguerra che mediavano le aspirazioni della generazione silenziosa emersa dalle rovine del conflitto (insieme alla nuova generazione dei loro figli, allora bambini) con l’austera antichità di contesti urbani sui quali iniziavano ad affacciarsi la speculazione edilizia e gli albori del consumismo?
Come è potuto accadere che quegli stessi bambini lettori del fumetto americano negli anni del miracolo economico siano divenuti i protagonisti di tanti episodi di corruzione e violenza in un’infamante quanto ripetitiva cronaca alla quale siamo ormai assuefatti?
La risposta è forse nella superlativa coincidenza individuata da Clabot, Incontro Luce, l’opera più emblematica e impressionante dell’intera esposizione. Una pagina d’enciclopedia fine anni sessanta mostra un’esplosione nucleare che, vista appunto in controluce, risulta tragicamente sovrapporsi all’Assunzione di Maria del Tiziano (custodita nella Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia) della pagina seguente, come se la Vergine Assunta emergesse dallo stesso fungo atomico insieme alla nuvola dei cherubini. Uranium Titianum (Incontro luce) sottolinea Clabot che, anche nel presentare le opere, non perde occasione per rivelare, attraverso coincidenze fonetiche e verbali, nuove possibilità di un senso compiuto. Traslando suoni, parole e numeri, anche le date delle due ricorrenze qui evocate (rispettivamente il 6 e il 15 agosto), sono permutate in un "quindi-ci-sei" ad affermare l’inquietante correlazione tra trascendenza e ordine geopolitico post-nucleare.
Luca Clabot, Pagine bianche, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Pagine bianche richiama la nostra attenzione mediante una serie di pubblici avvisi alla popolazione italiana, dove l’artista ricostruisce le statistiche di diverse serie di selezionati cognomi, tra le quali spiccano quelli che corrispondono ad un numero con le relative occorrenze, facendoci osservare la curiosa frequenza che unisce nomi e numeri, o il Conto presentato al popolo italiano, in cui Clabot seleziona quei cognomi che coincidono con portate e pietanze di un abbondante pasto completo, o ancora quelle degli italiani il cui cognome coincide con le nazionalità di tanti migranti, principalmente extraeuropei, che hanno rimpolpato la crollante demografia italiana, identità oggi strumentalmente manipolate da "politici" populisti in senso nazionalistico.
A fronte di tanta alitosi, Clabot fa idealmente appello alla generazione dei baby boomer, suoi contemporanei, invitandoci sommessamente a metterci in ascolto della realtà oltre il frastuono mediatico con un'intera parete tappezzata di padiglioni auricolari, riconoscendo anche nel rumore circostante la possibilità di ritrovare attraverso il gioco linguistico e l’archeologia documentale un senso poetico del mondo, insieme antico ed attuale, dotato di leggerezza e intelligenza, divertente senza rinunciare alla consapevolezza politica del presente.
Immagini, sculture, performance e calembour divengono così altrettante occasioni per rivelare le infinite coincidenze che costellano il caos, giocando attraverso i rimandi tra suoni e senso, tra parole e numeri, in ideale prosecuzione di quella linea di ricerca artistica che dal Movimento futilista, convissuto insieme all’amico Lucio Spinozzi, rinvia al Movimento Oulipo e, ancor prima, al dadaista Le Cabaret Voltaire (anagrammato in Clabot era la verità), ampliandone poeticamente l’orizzonte storico politico.
Luca Clabot, Al Cabaret Voltaire Clabot era la verità, Fatalitàlia, Galleria Michela Rizzo, Venezia | Foto: Laura Bellucci | © ARTE.it
Vedi anche:
• FATALITÀLIA di Luca Clabot
• Luca Clabot. Gli amici di Topolino
• L'ultimo viaggio di Lucio Spinozzi
• L'archeologia del caos: Lucio Spinozzi, PICTOR NATUS VENETIIS
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