L'Ombra di Caravaggio al cinema dal 3 novembre
Michele Placido racconta il suo Caravaggio, il "regista" solitario che cercava la verità nella pittura
Michele Placido interpreta il cardinal Del Monte nel film L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Samantha De Martin
31/10/2022
All’ombra della statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, alimentate dal vento del Sessantotto che consegnava al cinema di Pasolini il mondo autentico delle borgate, le vicende del frate filosofo disegnavano nella mente di un giovane Michele Placido sogni di progetti futuri che avevano come cornice quella Roma in fermento teatro del mondo.
Tre secoli prima, in quella stessa Roma di rivolte e rivoluzioni, anche Caravaggio, contemporaneo di Giordano Bruno, aveva cercato il suo spazio nel mondo trovandolo nella Suburra, tra prostitute, ladri, vagabondi, trasfigurati sulla tela in santi e madonne immortali.
“Mi fa molto sorridere il fatto che Caravaggio nei suoi quadri sia riuscito a trasformare uomini e donne della Suburra in santi e madonne ancora oggi venerati nelle chiese" afferma Michele Placido, il regista di L’Ombra di Caravaggio. "Molti di coloro che ammirano i suoi capolavori non sanno che non si trovano di fronte a personaggi di fantasia, ma a uomini e donne realmente esistiti. Sei anni fa con l’amico sceneggiatore Sandro Petraglia, con il quale avevamo già scritto Romanzo Criminale e altri lavori, abbiamo deciso di affrontare questo sogno impossibile”.
Michele Placido, Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Louis Garrel (l'Ombra) ne L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Il sogno impossibile del quale Michele Placido parla, mentre lo raggiungiamo al telefono in una delle località dove è impegnato a promuovere il suo film, si chiama L’Ombra di Caravaggio, una co-produzione italo-francese siglata da Goldenart Production con Rai Cinema e per la Francia Charlot, Le Pacte e Mact Production che arriverà nelle sale il 3 novembre. Il film, scevro di patine scolastiche o accademiche, è un viaggio insolito nell’intricata esistenza di Michelangelo Merisi, raccontato nelle sue profonde contraddizioni e nelle oscurità del suo impenetrabile tormento.
Se fosse un nostro contemporaneo oggi questo Caravaggio sarebbe probabilmente un artista pop di base a New York o a Londra, i pantaloni aderenti come un paio di jeans, le scarpe infangate, una camicia sporca di ogni vernice. E lui stesso sarebbe una tela, colore incrostato sulle mani, sotto le unghie, tra la barba, lo sguardo alle donne della sua vita: una marchesa, una delle prostitute più famose di Roma, e un’altra pronta a prestare il volto a uno dei suoi più grandi capolavori.
Dal suo laboratorio contemporaneo proiettato nel futuro, il Caravaggio 2.0 sarebbe un uomo ossessionato dalla voglia di raccontare attraverso la sua pittura una visione religiosa rivoluzionaria, che si origina nella strada, in una sorta di neorealismo ante litteram.
Mentre parla del suo film Placido ci coinvolge nella danza che dal grande schermo conduce al "suo" teatro, come quando interpreta, dall’altra parte del filo, alcune pagine di Yannick Haenel o quando ripropone qualche battuta del Cardinal del Monte. Seguire la genesi del film diventa così un piacere doppio.
L’ombra di Caravaggio arriva dopo cinquant'anni di carriera e vede la luce dopo quattro anni di studio. Come nasce l’idea di questo film? “Sono arrivato a Roma da un paesino molto piccolo che non aveva né un cinema né un teatro. Nasco come parolaio, ero affascinato dalla parola, nel senso più bello del termine, sognavo di diventare attore. La voglia, il piacere la passione di far conoscere Caravaggio ha origini lontanissime. Quando ero ancora allievo dell’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" correva il 1968, un anno rivoluzionario un po’ dappertutto. Si percepiva il fermento dei giovani figli che volevano cambiare il mondo, diventando protagonisti e non più succubi dei padri. Furono a mio avviso anni straordinari. Volevamo essere protagonisti, andavamo nelle piazze, partecipavamo alle manifestazioni. In questo clima attecchisce la mia educazione culturale. I miei compagni di viaggio all’Accademia erano scenografi, attori, e molte notti bivaccavamo a piazza Campo de’ Fiori dove c’era la statua di Giordano Bruno...”
E poi cos'è successo? “Giordano Bruno è stato per me una sorta di ponte per arrivare all’arte e a pittori come Caravaggio. Oltre ad aver scardinato in ambito scientifico il sistema astronomico aristotelico fu uno scrittore di opere teatrali. Mi affascinava. E poi sempre in quegli anni, su suggerimento di amici più colti di me nel campo della pittura e della scultura, abbiamo cominciato a visitare le chiese romane. E il pittore che più ci trasmetteva emozioni proprio per il periodo storico era Caravaggio che, a suo modo, è stato anche un pittore politico, magari inconsciamente”.
Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Isabelle Huppert (Costanza Colonna) nel film L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Con una trovata accattivante ricorre alla figura dell’Ombra, interpretata nel film da Louis Garrel. Si tratta dell’unico personaggio di fantasia nel film, ma con una plausibilità storica riconducibile all’Inquisizione. Questo enigmatico investigatore avrà in mano il potere assoluto, di vita o di morte, sul destino di Caravaggio. L’ombra è, assieme alla luce, una componente fondamentale nell’arte di Caravaggio. Ed è curioso come questa stessa ombra che avvolge parte della vita di questo artista cerchi di far luce sulla sua esistenza. Chi è l’Ombra? L’Inquisizione, la Chiesa, la censura…O forse tutti noi? "(Ride) Forse sì, siamo tutti noi. Mi chiedo quanti di coloro che oggi apprezzano Caravaggio, a quei tempi sarebbero stati d’accordo con la sua scelta di trasformare gli ultimi in santi e madonne ancora oggi venerati”.
Nel film incontriamo diversi outsider oltre a Caravaggio. Tra questi Filippo Neri, interpretato da Moni Ovadia. La Chiesa di Santa Maria in Vallicella, legata a questa figura, è stata, con i suoi derelitti, una fucina per l’arte di Merisi. Qui si concentravano le figure abiette che, come dice lo stesso Caravaggio “diventano il suo dio”. Che ruolo hanno avuto Filippo Neri e la Vallicella per il pittore? “Caravaggio cerca una luce nuova e, come il film racconta, la trova alla Vallicella. È lì che lui trova la sua strada. Filippo Neri era una grande personalità e rappresentava all’epoca un’altra chiesa che andava verso gli umili e non verso i nobili. Caravaggio credo fosse un grande mistico che, specie all’inizio, ha vissuto molto la solitudine, ed è forse per questo che ha trovato in Filippo Neri la persona giusta per andare avanti in questa sua prospettiva artistica”.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma
Insomma Caravaggio la affascina... “Sto leggendo un bellissimo libro di Yannick Haenel intitolato Solitudine Caravaggio. Ho iniziato a leggerlo durante il montaggio, non quando lo abbiamo girato. Dice l'autore...(subentra Placido attore ndr) Contrariamente a quello che può aver detto Poussin Caravaggio non è venuto al mondo per distruggere la pittura, ma Caravaggio non amava altro che la pittura. E ancora...Caravaggio si è forse impegnato per battere strade più serene della sua arte? La saggezza sembra estranea all’emozione di Caravaggio...Mai nessun artista si è tanto logorato i nervi nel tentativo di cogliere la verità in pittura. Mi piace”.
Oltre a firmare la regia lei interpreta il Cardinal del Monte, grande mecenate e collezionista, ma soprattutto il più grande sostenitore di Caravaggio. Nel film vediamo il cardinale in una veste insolita, nel bel mezzo di una festa spettacolare girata a Villa Aldobrandini. Che cosa ha scoperto di questo personaggio? “Quando l’Ombra gli domanda come giudichi Caravaggio essendo un uomo di chiesa il cardinal Del Monte risponde: Sì, sono un uomo di chiesa, ma sono anche un uomo che ama l’arte. E questo la dice lunga sul suo percorso. In fondo il suo sogno era quello di diventare papa. Frequentava anche lui la Suburra, di notte partecipava spesso a festini, ma soprattutto all’interno di Palazzo Madama c’era una vera e propria scuola d’arte di pittura e scultura. Lui fu il primo, tramite rappresentazioni teatrali, a inventarsi l’opera cantata dai castrati, voci straordinarie. Era un po’ fuori dal percorso ecclesiastico e in molti scrivono che fosse omosessuale. Tutto questo gli impedì di diventare papa e l’aver scoperto Caravaggio fu anche la sua condanna”.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Museo del Louvre
Che cos’è che più la accomuna a Caravaggio oltre al nome? A quale quadro si sente più legato? “Credo che il quadro che più mi rappresenta sia La morte della Vergine. Venendo io dal teatro credo che Caravaggio sia stato un grande regista”.
In che senso regista? “Sono convinto che nel suo studio, che si trovava nel quartiere Campo Marzio, avesse una vera e propria succursale della chiesa della Vallicella. Per preparare un quadro impiegava giorni e giorni, non tanto per la ricerca della luce, ma perché amava “provare” quegli attori. Questo avviene anche in teatro. Sono stato a lezione da Strehler e anche lui faceva le prove della messa in scena e solo dopo trovava la luce a seconda della costruzione drammaturgica del quadro. Questo era possibile perché Caravaggio aveva una conoscenza non solo della grande pittura italiana di quel periodo, ma anche del Vangelo. A teatro si cerca di rivelare la verità della vita e la drammaticità del percorso umano. Ecco perché, da questo punto di vista, mi sento molto legato alla Morte della Vergine”.
Uno dei momenti più intensi del film è quello in cui le figure si fanno tela e La morte della Vergine diventa un vero e proprio allestimento teatrale. Ci racconta come è stata costruita questa scena?
“Durante la preparazione del film siamo andati in una piccola chiesa vicino Roma e abbiamo provato per giorni per cercare di capire come rappresentare quel momento in cui Caravaggio è arrivato al quadro. È una messa in scena molto contemporanea, moderna, scarna, affatto opulenta”.
Parliamo del finale, molto coraggioso, dove lei si prende qualche licenza artistica...Cosa c’è dietro questa fine apparentemente antistorica? (No spoiler)
“Su questo abbiamo riflettuto molto con gli sceneggiatori. Storicamente ci sono varie supposizioni sulla fine di Caravaggio. Molti dicono sia morto di malaria, altri di consunzione, qualcun altro ritiene sia stato assassinato con il taglio della testa. Ma il suo corpo non si è mai trovato. Ma soprattutto su di lui pesava una condanna a morte i cui mandanti potevano essere in molti, dalla famiglia dei due Tomassoni ai nemici all’interno della chiesa”.
Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1595-1598, Olio su tela, 60 × 55 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
Dove avete girato? Nelle chiese di Roma avete trovato le porte chiuse...
“La Curia romana non ci ha dato la disponibilità di girare nelle chiese di Roma, o meglio nelle Cappelle che custodiscono i quadri più famosi di Caravaggio. Abbiamo mandato alla Curia il nostro copione e loro lo hanno rispedito al mittente dicendo che non potevano collaborare. Tuttavia, conoscendo molto bene Napoli , dove ci sono chiese similari a quelle barocche romane, abbiamo chiesto consiglio alla Curia napoletana e ci sono state segnalate alcune chiese affidate ad associazioni culturali napoletane che si occupano del decoro di questi luoghi non più attivi spiritualmente. Sempre a Napoli il Museo di Capodimonte ci ha dato una mano. Nei sotterranei di Napoli abbiamo inoltre ambientato la scena con Giordano Bruno”.
E a Roma?
“Il comune di Roma ci ha concesso la disponibilità dei sotterranei di Castel Sant’Angelo. Grazie allo scenografo Tonino Zera abbiamo ricostruito a Cinecittà la Suburra romana, ma anche la bottega di Costantino, la bottega del Cavalier D’Arpino dove Caravaggio mosse i primi passi nel periodo romano, la Casa di Lena e lo studio di Caravaggio”.
Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita di Pasolini, anche lui, come Caravaggio un outsider, ma della penna. Che cos’è che accomuna Pasolini al suo Caravaggio?
“Sono due artisti che sono venuti a Roma e che a Roma hanno trovato il palcoscenico ideale, la Suburra, ma anche gli splendori della città. Come Caravaggio Pasolini ha frequentato i grandi palazzi della cultura romana, ma alla fine la sua ispirazione spirazione l’ha trovata tra la gente delle borgate”.
L'Ombra di Caravaggio I Courtesy of 01 Distribution
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• Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film L'Ombra di Caravaggio
• L'Ombra di Caravaggio
• Riccardo Scamarcio è Caravaggio nel nuovo film di Michele Placido
Tre secoli prima, in quella stessa Roma di rivolte e rivoluzioni, anche Caravaggio, contemporaneo di Giordano Bruno, aveva cercato il suo spazio nel mondo trovandolo nella Suburra, tra prostitute, ladri, vagabondi, trasfigurati sulla tela in santi e madonne immortali.
“Mi fa molto sorridere il fatto che Caravaggio nei suoi quadri sia riuscito a trasformare uomini e donne della Suburra in santi e madonne ancora oggi venerati nelle chiese" afferma Michele Placido, il regista di L’Ombra di Caravaggio. "Molti di coloro che ammirano i suoi capolavori non sanno che non si trovano di fronte a personaggi di fantasia, ma a uomini e donne realmente esistiti. Sei anni fa con l’amico sceneggiatore Sandro Petraglia, con il quale avevamo già scritto Romanzo Criminale e altri lavori, abbiamo deciso di affrontare questo sogno impossibile”.
Michele Placido, Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Louis Garrel (l'Ombra) ne L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Il sogno impossibile del quale Michele Placido parla, mentre lo raggiungiamo al telefono in una delle località dove è impegnato a promuovere il suo film, si chiama L’Ombra di Caravaggio, una co-produzione italo-francese siglata da Goldenart Production con Rai Cinema e per la Francia Charlot, Le Pacte e Mact Production che arriverà nelle sale il 3 novembre. Il film, scevro di patine scolastiche o accademiche, è un viaggio insolito nell’intricata esistenza di Michelangelo Merisi, raccontato nelle sue profonde contraddizioni e nelle oscurità del suo impenetrabile tormento.
Se fosse un nostro contemporaneo oggi questo Caravaggio sarebbe probabilmente un artista pop di base a New York o a Londra, i pantaloni aderenti come un paio di jeans, le scarpe infangate, una camicia sporca di ogni vernice. E lui stesso sarebbe una tela, colore incrostato sulle mani, sotto le unghie, tra la barba, lo sguardo alle donne della sua vita: una marchesa, una delle prostitute più famose di Roma, e un’altra pronta a prestare il volto a uno dei suoi più grandi capolavori.
Dal suo laboratorio contemporaneo proiettato nel futuro, il Caravaggio 2.0 sarebbe un uomo ossessionato dalla voglia di raccontare attraverso la sua pittura una visione religiosa rivoluzionaria, che si origina nella strada, in una sorta di neorealismo ante litteram.
Mentre parla del suo film Placido ci coinvolge nella danza che dal grande schermo conduce al "suo" teatro, come quando interpreta, dall’altra parte del filo, alcune pagine di Yannick Haenel o quando ripropone qualche battuta del Cardinal del Monte. Seguire la genesi del film diventa così un piacere doppio.
L’ombra di Caravaggio arriva dopo cinquant'anni di carriera e vede la luce dopo quattro anni di studio. Come nasce l’idea di questo film? “Sono arrivato a Roma da un paesino molto piccolo che non aveva né un cinema né un teatro. Nasco come parolaio, ero affascinato dalla parola, nel senso più bello del termine, sognavo di diventare attore. La voglia, il piacere la passione di far conoscere Caravaggio ha origini lontanissime. Quando ero ancora allievo dell’Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" correva il 1968, un anno rivoluzionario un po’ dappertutto. Si percepiva il fermento dei giovani figli che volevano cambiare il mondo, diventando protagonisti e non più succubi dei padri. Furono a mio avviso anni straordinari. Volevamo essere protagonisti, andavamo nelle piazze, partecipavamo alle manifestazioni. In questo clima attecchisce la mia educazione culturale. I miei compagni di viaggio all’Accademia erano scenografi, attori, e molte notti bivaccavamo a piazza Campo de’ Fiori dove c’era la statua di Giordano Bruno...”
E poi cos'è successo? “Giordano Bruno è stato per me una sorta di ponte per arrivare all’arte e a pittori come Caravaggio. Oltre ad aver scardinato in ambito scientifico il sistema astronomico aristotelico fu uno scrittore di opere teatrali. Mi affascinava. E poi sempre in quegli anni, su suggerimento di amici più colti di me nel campo della pittura e della scultura, abbiamo cominciato a visitare le chiese romane. E il pittore che più ci trasmetteva emozioni proprio per il periodo storico era Caravaggio che, a suo modo, è stato anche un pittore politico, magari inconsciamente”.
Riccardo Scamarcio (Caravaggio) e Isabelle Huppert (Costanza Colonna) nel film L'Ombra di Caravaggio | Foto: © Luisa Carcavale
Con una trovata accattivante ricorre alla figura dell’Ombra, interpretata nel film da Louis Garrel. Si tratta dell’unico personaggio di fantasia nel film, ma con una plausibilità storica riconducibile all’Inquisizione. Questo enigmatico investigatore avrà in mano il potere assoluto, di vita o di morte, sul destino di Caravaggio. L’ombra è, assieme alla luce, una componente fondamentale nell’arte di Caravaggio. Ed è curioso come questa stessa ombra che avvolge parte della vita di questo artista cerchi di far luce sulla sua esistenza. Chi è l’Ombra? L’Inquisizione, la Chiesa, la censura…O forse tutti noi? "(Ride) Forse sì, siamo tutti noi. Mi chiedo quanti di coloro che oggi apprezzano Caravaggio, a quei tempi sarebbero stati d’accordo con la sua scelta di trasformare gli ultimi in santi e madonne ancora oggi venerati”.
Nel film incontriamo diversi outsider oltre a Caravaggio. Tra questi Filippo Neri, interpretato da Moni Ovadia. La Chiesa di Santa Maria in Vallicella, legata a questa figura, è stata, con i suoi derelitti, una fucina per l’arte di Merisi. Qui si concentravano le figure abiette che, come dice lo stesso Caravaggio “diventano il suo dio”. Che ruolo hanno avuto Filippo Neri e la Vallicella per il pittore? “Caravaggio cerca una luce nuova e, come il film racconta, la trova alla Vallicella. È lì che lui trova la sua strada. Filippo Neri era una grande personalità e rappresentava all’epoca un’altra chiesa che andava verso gli umili e non verso i nobili. Caravaggio credo fosse un grande mistico che, specie all’inizio, ha vissuto molto la solitudine, ed è forse per questo che ha trovato in Filippo Neri la persona giusta per andare avanti in questa sua prospettiva artistica”.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, Roma
Insomma Caravaggio la affascina... “Sto leggendo un bellissimo libro di Yannick Haenel intitolato Solitudine Caravaggio. Ho iniziato a leggerlo durante il montaggio, non quando lo abbiamo girato. Dice l'autore...(subentra Placido attore ndr) Contrariamente a quello che può aver detto Poussin Caravaggio non è venuto al mondo per distruggere la pittura, ma Caravaggio non amava altro che la pittura. E ancora...Caravaggio si è forse impegnato per battere strade più serene della sua arte? La saggezza sembra estranea all’emozione di Caravaggio...Mai nessun artista si è tanto logorato i nervi nel tentativo di cogliere la verità in pittura. Mi piace”.
Oltre a firmare la regia lei interpreta il Cardinal del Monte, grande mecenate e collezionista, ma soprattutto il più grande sostenitore di Caravaggio. Nel film vediamo il cardinale in una veste insolita, nel bel mezzo di una festa spettacolare girata a Villa Aldobrandini. Che cosa ha scoperto di questo personaggio? “Quando l’Ombra gli domanda come giudichi Caravaggio essendo un uomo di chiesa il cardinal Del Monte risponde: Sì, sono un uomo di chiesa, ma sono anche un uomo che ama l’arte. E questo la dice lunga sul suo percorso. In fondo il suo sogno era quello di diventare papa. Frequentava anche lui la Suburra, di notte partecipava spesso a festini, ma soprattutto all’interno di Palazzo Madama c’era una vera e propria scuola d’arte di pittura e scultura. Lui fu il primo, tramite rappresentazioni teatrali, a inventarsi l’opera cantata dai castrati, voci straordinarie. Era un po’ fuori dal percorso ecclesiastico e in molti scrivono che fosse omosessuale. Tutto questo gli impedì di diventare papa e l’aver scoperto Caravaggio fu anche la sua condanna”.
Caravaggio, Morte della Vergine, 1604-1606, Olio su tela, 245 x 369 cm, Parigi, Museo del Louvre
Che cos’è che più la accomuna a Caravaggio oltre al nome? A quale quadro si sente più legato? “Credo che il quadro che più mi rappresenta sia La morte della Vergine. Venendo io dal teatro credo che Caravaggio sia stato un grande regista”.
In che senso regista? “Sono convinto che nel suo studio, che si trovava nel quartiere Campo Marzio, avesse una vera e propria succursale della chiesa della Vallicella. Per preparare un quadro impiegava giorni e giorni, non tanto per la ricerca della luce, ma perché amava “provare” quegli attori. Questo avviene anche in teatro. Sono stato a lezione da Strehler e anche lui faceva le prove della messa in scena e solo dopo trovava la luce a seconda della costruzione drammaturgica del quadro. Questo era possibile perché Caravaggio aveva una conoscenza non solo della grande pittura italiana di quel periodo, ma anche del Vangelo. A teatro si cerca di rivelare la verità della vita e la drammaticità del percorso umano. Ecco perché, da questo punto di vista, mi sento molto legato alla Morte della Vergine”.
Uno dei momenti più intensi del film è quello in cui le figure si fanno tela e La morte della Vergine diventa un vero e proprio allestimento teatrale. Ci racconta come è stata costruita questa scena?
“Durante la preparazione del film siamo andati in una piccola chiesa vicino Roma e abbiamo provato per giorni per cercare di capire come rappresentare quel momento in cui Caravaggio è arrivato al quadro. È una messa in scena molto contemporanea, moderna, scarna, affatto opulenta”.
Parliamo del finale, molto coraggioso, dove lei si prende qualche licenza artistica...Cosa c’è dietro questa fine apparentemente antistorica? (No spoiler)
“Su questo abbiamo riflettuto molto con gli sceneggiatori. Storicamente ci sono varie supposizioni sulla fine di Caravaggio. Molti dicono sia morto di malaria, altri di consunzione, qualcun altro ritiene sia stato assassinato con il taglio della testa. Ma il suo corpo non si è mai trovato. Ma soprattutto su di lui pesava una condanna a morte i cui mandanti potevano essere in molti, dalla famiglia dei due Tomassoni ai nemici all’interno della chiesa”.
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“La Curia romana non ci ha dato la disponibilità di girare nelle chiese di Roma, o meglio nelle Cappelle che custodiscono i quadri più famosi di Caravaggio. Abbiamo mandato alla Curia il nostro copione e loro lo hanno rispedito al mittente dicendo che non potevano collaborare. Tuttavia, conoscendo molto bene Napoli , dove ci sono chiese similari a quelle barocche romane, abbiamo chiesto consiglio alla Curia napoletana e ci sono state segnalate alcune chiese affidate ad associazioni culturali napoletane che si occupano del decoro di questi luoghi non più attivi spiritualmente. Sempre a Napoli il Museo di Capodimonte ci ha dato una mano. Nei sotterranei di Napoli abbiamo inoltre ambientato la scena con Giordano Bruno”.
E a Roma?
“Il comune di Roma ci ha concesso la disponibilità dei sotterranei di Castel Sant’Angelo. Grazie allo scenografo Tonino Zera abbiamo ricostruito a Cinecittà la Suburra romana, ma anche la bottega di Costantino, la bottega del Cavalier D’Arpino dove Caravaggio mosse i primi passi nel periodo romano, la Casa di Lena e lo studio di Caravaggio”.
Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita di Pasolini, anche lui, come Caravaggio un outsider, ma della penna. Che cos’è che accomuna Pasolini al suo Caravaggio?
“Sono due artisti che sono venuti a Roma e che a Roma hanno trovato il palcoscenico ideale, la Suburra, ma anche gli splendori della città. Come Caravaggio Pasolini ha frequentato i grandi palazzi della cultura romana, ma alla fine la sua ispirazione spirazione l’ha trovata tra la gente delle borgate”.
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