Due mostre a Londra e Los Anglese per celebrarne il mito
La leggenda di Marilyn Monroe

Marilyn Monroe, by Cecil Beaton, 22 February 1956, NPG x40269, © Cecil Beaton Archive / Condé Nast
Paolo Mastazza
14/09/2025
Mondo - Cento anni di domande, di interrogativi. Che cosa rimane di Marilyn Monroe a un secolo dalla nascita? La risposta non è semplice, perché la sua immagine sfugge, si moltiplica, si reinventa. La National Portrait Gallery di Londra, in occasione dei cento anni dalla nascita (Norma Jeane Mortenson nasce a Los Angeles il 6 giugno del 1926), le dedicherà dal 4 giugno al 6 settembre 2026 la mostra Marilyn Monroe: A Portrait, trasformando il mito in un campo di indagine più che in una celebrazione nostalgica. Fotografi e artisti che l’hanno ritratta, da Richard Avedon a Eve Arnold, da Cecil Beaton a Bert Stern, da Andy Warhol a Pauline Boty, compongono un mosaico di sguardi che non restituisce mai un volto univoco, ma un continuo gioco di specchi. Marilyn non è mai solo Marilyn: è proiezione, desiderio, costruzione culturale.
La fotografia ha avuto un ruolo decisivo nella sua ascesa. Avedon ha visto in lei un personaggio inventato, un doppio che prende vita davanti all’obiettivo. Eve Arnold ha cercato la donna dietro l’icona, seguendola sul set e lontano dalle luci, cogliendone esitazioni e fragilità. Bert Stern, con la celebre serie The Last Sitting, ha fissato l’ambiguità finale di un corpo esibito e insieme ferito, mentre Douglas Kirkland ha accentuato la teatralità, l’esagerazione del glamour. La pittura, invece, ha amplificato il mito: Warhol l’ha trasformata in icona seriale, macchina di riproduzione infinita, mentre Pauline Boty e Richard Hamilton hanno piegato la sua immagine a riflessioni sulla femminilità, sull’oggettificazione e sul consumismo.

Andy Warhol, Shot Sage Blue Marilyn (1964), inchiostro acrilico e serigrafico su lino, 101,6 x 101,6 cm. | Courtesy of Christie's
Il cinema resta il luogo in cui Marilyn si è fatta leggenda. In Niagara appare magnetica e minacciosa, in Gentlemen Prefer Blondes la sequenza Diamonds Are a Girl’s Best Friend diventa manifesto di un’epoca, in How to Marry a Millionaire si misura con l’ironia accanto a Lauren Bacall e Betty Grable. The Seven Year Itch consegna al mondo la scena della gonna bianca sollevata dal vento della metropolitana, una delle immagini più riprodotte della storia del cinema. In Bus Stop cerca di emanciparsi dai ruoli stereotipati, in Some Like It Hot conquista con tempi comici perfetti, mentre The Misfits, il suo ultimo film, lascia trasparire una tensione tragica che coincide con la sua parabola personale.
Perché Marilyn continua a esercitare fascino? Perché non è mai stata una figura uniforme o prevedibile. È l’attrice che cerca di essere presa sul serio e la diva che gioca con la propria immagine, la donna fragile che legge Joyce e l’icona pop consumata dai media, la star che sorride ai flash e la ragazza che non trova pace. La sua morte precoce ha congelato tutto questo in un mito tragico, ma le riproduzioni infinite hanno impedito che diventasse reliquia: Marilyn vive ancora perché non cessa di generare interpretazioni.
La mostra londinese non si limita a riunire fotografie e dipinti: mette in scena anche oggetti personali, abiti, copioni, libri che le appartenevano. Materiali apparentemente ordinari che acquisiscono un peso diverso, perché raccontano un’altra Marilyn, quella che leggeva, studiava, annotava. È un contrappunto al glamour: non soltanto icona, ma donna con desideri e ambizioni intellettuali.
E nel 2026 non sarà soltanto Londra a interrogarsi sul mito. Anche Los Angeles, città simbolo della sua carriera, ospiterà una grande retrospettiva: l’Academy Museum of Motion Pictures celebrerà Marilyn Monroe con la mostra Hollywood Icon, riunendo costumi originali, oggetti personali e materiali d’archivio. Un percorso che ripercorre la sua parabola cinematografica proprio dove è nata, rafforzando l’idea di un centenario vissuto come occasione globale per ripensare la sua eredità. Londra e Los Angeles diventano così due poli complementari: l’una esplora Marilyn come icona visiva attraverso ritratti e arte contemporanea, l’altra la restituisce nel cuore del cinema che l’ha resa leggenda.
Rivedere Marilyn oggi significa misurarsi con le contraddizioni del nostro tempo. La cultura dell’immagine che lei ha incarnato è diventata la nostra quotidianità: costruzione di sé, esposizione pubblica, fragilità nascosta. Forse è per questo che non smettiamo di guardarla, perché in quel volto riconosciamo ancora i nodi irrisolti della celebrità e del desiderio. Marilyn è stata molte cose, e tutte insieme: attrice, corpo, mito, tragedia, opera d’arte. Un secolo dopo, continua a sfuggirci. Ed è proprio in questa inafferrabilità che si annida la sua immortalità.

Marilyn Monroe, Photograph by Sam Shaw, courtesy Shaw Family Archives - Academy Museum of Motion Pictures, Los Angeles
La fotografia ha avuto un ruolo decisivo nella sua ascesa. Avedon ha visto in lei un personaggio inventato, un doppio che prende vita davanti all’obiettivo. Eve Arnold ha cercato la donna dietro l’icona, seguendola sul set e lontano dalle luci, cogliendone esitazioni e fragilità. Bert Stern, con la celebre serie The Last Sitting, ha fissato l’ambiguità finale di un corpo esibito e insieme ferito, mentre Douglas Kirkland ha accentuato la teatralità, l’esagerazione del glamour. La pittura, invece, ha amplificato il mito: Warhol l’ha trasformata in icona seriale, macchina di riproduzione infinita, mentre Pauline Boty e Richard Hamilton hanno piegato la sua immagine a riflessioni sulla femminilità, sull’oggettificazione e sul consumismo.

Andy Warhol, Shot Sage Blue Marilyn (1964), inchiostro acrilico e serigrafico su lino, 101,6 x 101,6 cm. | Courtesy of Christie's
Il cinema resta il luogo in cui Marilyn si è fatta leggenda. In Niagara appare magnetica e minacciosa, in Gentlemen Prefer Blondes la sequenza Diamonds Are a Girl’s Best Friend diventa manifesto di un’epoca, in How to Marry a Millionaire si misura con l’ironia accanto a Lauren Bacall e Betty Grable. The Seven Year Itch consegna al mondo la scena della gonna bianca sollevata dal vento della metropolitana, una delle immagini più riprodotte della storia del cinema. In Bus Stop cerca di emanciparsi dai ruoli stereotipati, in Some Like It Hot conquista con tempi comici perfetti, mentre The Misfits, il suo ultimo film, lascia trasparire una tensione tragica che coincide con la sua parabola personale.
Perché Marilyn continua a esercitare fascino? Perché non è mai stata una figura uniforme o prevedibile. È l’attrice che cerca di essere presa sul serio e la diva che gioca con la propria immagine, la donna fragile che legge Joyce e l’icona pop consumata dai media, la star che sorride ai flash e la ragazza che non trova pace. La sua morte precoce ha congelato tutto questo in un mito tragico, ma le riproduzioni infinite hanno impedito che diventasse reliquia: Marilyn vive ancora perché non cessa di generare interpretazioni.
La mostra londinese non si limita a riunire fotografie e dipinti: mette in scena anche oggetti personali, abiti, copioni, libri che le appartenevano. Materiali apparentemente ordinari che acquisiscono un peso diverso, perché raccontano un’altra Marilyn, quella che leggeva, studiava, annotava. È un contrappunto al glamour: non soltanto icona, ma donna con desideri e ambizioni intellettuali.
E nel 2026 non sarà soltanto Londra a interrogarsi sul mito. Anche Los Angeles, città simbolo della sua carriera, ospiterà una grande retrospettiva: l’Academy Museum of Motion Pictures celebrerà Marilyn Monroe con la mostra Hollywood Icon, riunendo costumi originali, oggetti personali e materiali d’archivio. Un percorso che ripercorre la sua parabola cinematografica proprio dove è nata, rafforzando l’idea di un centenario vissuto come occasione globale per ripensare la sua eredità. Londra e Los Angeles diventano così due poli complementari: l’una esplora Marilyn come icona visiva attraverso ritratti e arte contemporanea, l’altra la restituisce nel cuore del cinema che l’ha resa leggenda.
Rivedere Marilyn oggi significa misurarsi con le contraddizioni del nostro tempo. La cultura dell’immagine che lei ha incarnato è diventata la nostra quotidianità: costruzione di sé, esposizione pubblica, fragilità nascosta. Forse è per questo che non smettiamo di guardarla, perché in quel volto riconosciamo ancora i nodi irrisolti della celebrità e del desiderio. Marilyn è stata molte cose, e tutte insieme: attrice, corpo, mito, tragedia, opera d’arte. Un secolo dopo, continua a sfuggirci. Ed è proprio in questa inafferrabilità che si annida la sua immortalità.

Marilyn Monroe, Photograph by Sam Shaw, courtesy Shaw Family Archives - Academy Museum of Motion Pictures, Los Angeles
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