Francesco Cito. Wide Gaze (Un ampio sguardo)
Dal 09 Settembre 2021 al 09 Ottobre 2021
Palau | Olbia-Tempio
Luogo: Centro di Documentazione del territorio di Palau
Indirizzo: Via Nazionale 5
Enti promotori:
- Patrocinio di EFFE Label 2019-2020 e ISRE - Istituto Superiore Regionale Etnografico
Costo del biglietto: ingresso gratuito, numero limitato, prenotazione obbligatoria
Telefono per informazioni: +39 377 0878191
E-Mail info: infoisole@tiscali.it
Sito ufficiale: http://www.isolecheparlano.it
La sezione dedicata alla fotografia del Festival Internazionale Isole che Parlano diretto da Paolo e Nanni Angeli - la cui XXV edizione si svolgerà dal 5 al 12 settembre nel nord della Sardegna, tra Palau, Arzachena, Luogosanto e La Maddalena - sarà quest’anno dedicata a Francesco Cito, vincitore di due World Press Photo e considerato oggi uno dei più importanti reporter italiani a livello internazionale.
La mostra ospitata a Isole che Parlano di fotografia - dal titolo Wide Gaze (Un ampio sguardo) - sarà un progetto originale che presenterà una selezione di oltre settanta immagini che racconteranno un viaggio lungo trent’anni, dal 1978 al 2009, e festeggerà il ritorno di Cito al Festival di Palau a distanza di quattordici anni dalla sua mostra Frammenti di Guerra. Il percorso espositivo, prevalentemente bianco e nero ma con un’appendice a colori, si presenterà con un ampio sguardo composto da circa quaranta immagini tratte da alcuni tra i reportage più importanti nella carriera del fotografo e tre focus monotematici: Coma, Palio di Siena e Sardegna.
L'esposizione, ospitata presso il Centro di Documentazione del territorio di Palau (SS), inaugurerà giovedì 9 settembre e resterà aperta al pubblico fino al 9 ottobre 2021.
Il titolo della mostra - Wide Gaze - assume un triplo valore. Uno strettamente tecnico legato alle ottiche grandangolari con cui Cito è solito lavorare, uno legato all’ampio arco temporale e tematico che le foto in mostra copriranno, e il terzo, il più importante, legato all’autorialità, alla profondità e alla forza delle immagini che ci restituiscono lo sguardo del fotografo sulla realtà del mondo. Uno sguardo che spazia tra società (di cui documenta rilevanti aspetti), malavita organizzata, guerre (con reportage in Afghanistan, Libano, Palestina, Golfo Persico, Balcani, etc.) e costume. Una mostra pensata ad hoc per il Festival, con un importante focus sulla Sardegna, terra che Francesco Cito frequenta da moltissimi anni, documentando aspetti legati al sociale, alle tradizioni e al lavoro, evitando gli itinerari turistici.
Il percorso si apre con un ampio sguardo e gli scatti più lontani nel tempo, 1978 e 1979, prevalentemente a colori, foto di punk e minatori (a Londra e nel Galles), di mattanza di tonni a Favignana. Dal mare rosso di sangue si passa al bianco/nero per il “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro a Napoli, città natale di Cito, presente anche in altri scatti, realizzati tra l’87 e il ’93, che ci raccontano di sfarzosi matrimoni, fotografati con grande ironia in contesti molto differenti, con la città a fare da sfondo (da “Neapolitan Wedding story" nel 1995, premio Day in the Life del World Press Photo), di corse clandestine di cavalli a Scampia, di criminalità organizzata, di interni del palazzo della questura, ma anche del monumentale Palazzo Spagnuolo al centro del quartiere sanità. Seguono altri palazzi, Buckingham Palace, dove Papa Wojtyla passeggia con la Regina Elisabetta nel 1982, e un altro palazzo reale dove, 8 anni dopo, un marine posa mimetizzato su uno sfarzoso divano, davanti ai ritratti dei dignitari sauditi.
Passiamo così ai teatri di guerra che Cito ha documentato in prima linea per vari decenni (rischiando spesso la vita): dall’Afghanistan (1980) con i ritratti di guerriglieri, alla guerra del Libano, qui raccontata con alcuni scatti (1982/1983) a colori che ritraggono bambini che giocano con mitragliatori, Hezbollah armati, la distruzione a Beirut ovest dopo un attentato e un Arafat poco più che cinquantenne abbracciato da una donna in lacrime. Si passa quindi a uno dei temi che Francesco ha seguito, nel tempo, con particolare dedizione e trasporto, il conflitto e la questione palestinese, presente con tre scatti (1986, 1988 e 2002), e poi ancora a un soldato irakeno morto sulla strada per Bassora e i pozzi petroliferi in fiamme nella guerra del Golfo del 1991. A chiudere idealmente la sezione in un gioco di rimandi, una foto dell’Afghanistan (del 1989 ma tristemente attuale) in cui un Mullah mostra il Corano circondato da guerriglieri armati, un’immagine di Peshawar del 2008 con alcuni giovani intenti nello studio del Corano in una Madrassa, e una di Serra San Bruno in Calabria (1989) con un gruppo di frati certosini inginocchiati in preghiera.
A rompere questa lunga serie, riflesso nello specchietto, lo sguardo di un autista di pullman su un villaggio dell’Iran (2001), e ancora una donna di Peshawar col burqa che sembra essere parte integrante di un minaccioso murale alle sue spalle. Nel mentre un’anziana signora si asciuga su una spiaggia di Rimini, nel 1987, e nello stesso anno, sotto un cielo cupo uomini magrissimi che passeggiano nel cortile del manicomio di Reggio Calabria. Le fotografie di esseri umani lasciano spazio al paesaggio in una foto delle terre senesi (un omaggio a Giacomelli?), e agli animali con un gatto che gioca tra i tubi delle Terme di Petriolo e alcune candide oche in fila e marziali.
Si arriva così in Russia con tre scatti (2007/2009), in cui una statuaria incombente ci porta direttamente a segni resistenti del socialismo reale, e in Bosnia nel ’93, con un bambino che guarda dal finestrino di un pulmino malridotto, con uno sguardo troppo grande per la sua età. A chiudere la prima serie di immagini un tuffo, sospeso, immortalato a Corigliano Calabro.
Quasi un rimando alla situazione raccontata in Coma (foto dal 1990 al 2008), in cui la sospensione e l’immobilità sono presenti in ognuno dei nove scatti in mostra, negli impressionanti occhi sbarrati di giovani figli: un reportage affatto spettacolare di lungo periodo e di rara intensità umana, in cui Cito, come sempre senza pietismo, fotografa e racconta questi giovani e le loro famiglie, accendendo la luce su una situazione diffusa ma che non suscita l'attenzione che meriterebbe.
Immobilità e sospensione sono concetti che vengono, invece, completamente rovesciati nelle tredici immagini del Palio di Siena (1988/1998), dove passione e fede, umanità e istintività, reale e surreale si susseguono senza soluzione di continuità in immagini particolarmente “dinamiche” e cariche di tensione. La sequenza racconta, il Palio della contrada del Nicchio, e seppure in realtà la sequenza sembri narrare di un solo giorno, le foto sono state scattate in anni diversi, durante la lunga frequentazione di Cito a Siena (che nel 1996 valse al fotografo il primo premio al World Press Photo).
Così, al termine di questo percorso, si arriva in Sardegna (1989/2003). Sono immagini di un’Isola raccontata all’interno, lontano dalla costa, un’isola di modi e riti arcaici, in cui il cavallo è ancora una presenza importante e in cui a carnevale, nonostante rari angioletti chiari, il colore dominante è il nero. Una serie di immagini di momenti rituali, sempre in bilico tra sacro e profano, e di situazioni stranianti: una donna che imbraccia un fucile a pompa per festeggiare S’incontru, le maschere di carnevale che rimandano alle bestie della vita quotidiana, i pesanti campanacci appesi alla schiena di un Mamuthone a riposo, i funerali di fantocci. Invece ridono tre anziane ovoddesi alla finestra, durante la follia dell arcaico carnevale, e ridono anche gli Intintos di Olzai e un uomo di Orgosolo con soli tre denti così simile al murale alle sue spalle. Vola un chierichetto mentre suona le campane per S’Ardia al santuario di Santu Antinu, e poco dopo riparte la sfrenata “giostra” equestre. Poi tutto a un tratto tutto si ferma e si fa di nuovo austero, come la coppia a San Francesco di Lula, col Supramonte alle spalle, che guarda lontano, lontano ma non troppo (come tutto in Sardegna), o il pastore che conduce il suo gregge, sotto un cielo carico, in una piana che sembra amplissima: sintesi dell’ampio sguardo di un grandissimo fotoreporter.
Due gli appuntamenti in programma per giovedì 9: alle 21:00 con il momento dedicato all’apertura ufficiale della mostra (3 turni di 30’ a partire dalle 21 in presenza del fotografo) e alle 22:30 con Riflessioni sull'etica di un mestiere un momento di incontro-racconto con il fotografo che si terrà all’Arena Effetto Notte di Palau.
In chiusura di giornata, infine, Isole che Parlano darà il benvenuto al pubblico di questa XXV edizione, con il primo dei momenti dedicati ai sapori e ai saperi del territorio: Momenti DiVini, una degustazione speciale di vini di piccoli produttori sardi.
Nato a Napoli nel 1949, Francesco Cito è arrivato relativamente tardi alla fotografia, nel 1972 quando si trasferisce a Londra iniziando a lavorare per un settimanale di musica pop-rock prima e successivamente The Sunday Times. Eclettico e testimone degli eventi in molti luoghi caldi, con “l'istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l'essenziale delle cose”, Cito è considerato oggi uno dei fotoreporter più importanti a livello internazionale. Nel corso degli anni Ottanta è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, realizza a Napoli un reportage sulla camorra pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche italiane ed estere, è inviato di Epoca sul fronte Libanese dove è l'unico foto-giornalista a documentare la caduta del campo profughi di Beddawi, l’ultima roccaforte di Arafat in Libano, e si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica dove racconta la ritirata sovietica, mentre l’anno successivo è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" con il primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell'Islam dal Pakistan al Marocco e negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici. In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena - che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 - e altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 il suo interesse si concentra anche sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni e nel 2001 il Leica Oskar Barnak Award lo segnala con una Menzione d'Onore per il reportage "Sardegna". Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, e nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini "Van Cleef & Arpels" gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l'operosità attraverso le mani dei loro artigiani. Sue immagini sono apparse su Epoca, Il Venerdì di Repubblica, Panorama, Sette, Corriere della Sera, Specchio della Stampa, Sunday Times Magazine, Observer Magazine, Stern, Bunte, Zeit Magazine, Figaro Magazine, Paris Match, Life.
La mostra ospitata a Isole che Parlano di fotografia - dal titolo Wide Gaze (Un ampio sguardo) - sarà un progetto originale che presenterà una selezione di oltre settanta immagini che racconteranno un viaggio lungo trent’anni, dal 1978 al 2009, e festeggerà il ritorno di Cito al Festival di Palau a distanza di quattordici anni dalla sua mostra Frammenti di Guerra. Il percorso espositivo, prevalentemente bianco e nero ma con un’appendice a colori, si presenterà con un ampio sguardo composto da circa quaranta immagini tratte da alcuni tra i reportage più importanti nella carriera del fotografo e tre focus monotematici: Coma, Palio di Siena e Sardegna.
L'esposizione, ospitata presso il Centro di Documentazione del territorio di Palau (SS), inaugurerà giovedì 9 settembre e resterà aperta al pubblico fino al 9 ottobre 2021.
Il titolo della mostra - Wide Gaze - assume un triplo valore. Uno strettamente tecnico legato alle ottiche grandangolari con cui Cito è solito lavorare, uno legato all’ampio arco temporale e tematico che le foto in mostra copriranno, e il terzo, il più importante, legato all’autorialità, alla profondità e alla forza delle immagini che ci restituiscono lo sguardo del fotografo sulla realtà del mondo. Uno sguardo che spazia tra società (di cui documenta rilevanti aspetti), malavita organizzata, guerre (con reportage in Afghanistan, Libano, Palestina, Golfo Persico, Balcani, etc.) e costume. Una mostra pensata ad hoc per il Festival, con un importante focus sulla Sardegna, terra che Francesco Cito frequenta da moltissimi anni, documentando aspetti legati al sociale, alle tradizioni e al lavoro, evitando gli itinerari turistici.
Il percorso si apre con un ampio sguardo e gli scatti più lontani nel tempo, 1978 e 1979, prevalentemente a colori, foto di punk e minatori (a Londra e nel Galles), di mattanza di tonni a Favignana. Dal mare rosso di sangue si passa al bianco/nero per il “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro a Napoli, città natale di Cito, presente anche in altri scatti, realizzati tra l’87 e il ’93, che ci raccontano di sfarzosi matrimoni, fotografati con grande ironia in contesti molto differenti, con la città a fare da sfondo (da “Neapolitan Wedding story" nel 1995, premio Day in the Life del World Press Photo), di corse clandestine di cavalli a Scampia, di criminalità organizzata, di interni del palazzo della questura, ma anche del monumentale Palazzo Spagnuolo al centro del quartiere sanità. Seguono altri palazzi, Buckingham Palace, dove Papa Wojtyla passeggia con la Regina Elisabetta nel 1982, e un altro palazzo reale dove, 8 anni dopo, un marine posa mimetizzato su uno sfarzoso divano, davanti ai ritratti dei dignitari sauditi.
Passiamo così ai teatri di guerra che Cito ha documentato in prima linea per vari decenni (rischiando spesso la vita): dall’Afghanistan (1980) con i ritratti di guerriglieri, alla guerra del Libano, qui raccontata con alcuni scatti (1982/1983) a colori che ritraggono bambini che giocano con mitragliatori, Hezbollah armati, la distruzione a Beirut ovest dopo un attentato e un Arafat poco più che cinquantenne abbracciato da una donna in lacrime. Si passa quindi a uno dei temi che Francesco ha seguito, nel tempo, con particolare dedizione e trasporto, il conflitto e la questione palestinese, presente con tre scatti (1986, 1988 e 2002), e poi ancora a un soldato irakeno morto sulla strada per Bassora e i pozzi petroliferi in fiamme nella guerra del Golfo del 1991. A chiudere idealmente la sezione in un gioco di rimandi, una foto dell’Afghanistan (del 1989 ma tristemente attuale) in cui un Mullah mostra il Corano circondato da guerriglieri armati, un’immagine di Peshawar del 2008 con alcuni giovani intenti nello studio del Corano in una Madrassa, e una di Serra San Bruno in Calabria (1989) con un gruppo di frati certosini inginocchiati in preghiera.
A rompere questa lunga serie, riflesso nello specchietto, lo sguardo di un autista di pullman su un villaggio dell’Iran (2001), e ancora una donna di Peshawar col burqa che sembra essere parte integrante di un minaccioso murale alle sue spalle. Nel mentre un’anziana signora si asciuga su una spiaggia di Rimini, nel 1987, e nello stesso anno, sotto un cielo cupo uomini magrissimi che passeggiano nel cortile del manicomio di Reggio Calabria. Le fotografie di esseri umani lasciano spazio al paesaggio in una foto delle terre senesi (un omaggio a Giacomelli?), e agli animali con un gatto che gioca tra i tubi delle Terme di Petriolo e alcune candide oche in fila e marziali.
Si arriva così in Russia con tre scatti (2007/2009), in cui una statuaria incombente ci porta direttamente a segni resistenti del socialismo reale, e in Bosnia nel ’93, con un bambino che guarda dal finestrino di un pulmino malridotto, con uno sguardo troppo grande per la sua età. A chiudere la prima serie di immagini un tuffo, sospeso, immortalato a Corigliano Calabro.
Quasi un rimando alla situazione raccontata in Coma (foto dal 1990 al 2008), in cui la sospensione e l’immobilità sono presenti in ognuno dei nove scatti in mostra, negli impressionanti occhi sbarrati di giovani figli: un reportage affatto spettacolare di lungo periodo e di rara intensità umana, in cui Cito, come sempre senza pietismo, fotografa e racconta questi giovani e le loro famiglie, accendendo la luce su una situazione diffusa ma che non suscita l'attenzione che meriterebbe.
Immobilità e sospensione sono concetti che vengono, invece, completamente rovesciati nelle tredici immagini del Palio di Siena (1988/1998), dove passione e fede, umanità e istintività, reale e surreale si susseguono senza soluzione di continuità in immagini particolarmente “dinamiche” e cariche di tensione. La sequenza racconta, il Palio della contrada del Nicchio, e seppure in realtà la sequenza sembri narrare di un solo giorno, le foto sono state scattate in anni diversi, durante la lunga frequentazione di Cito a Siena (che nel 1996 valse al fotografo il primo premio al World Press Photo).
Così, al termine di questo percorso, si arriva in Sardegna (1989/2003). Sono immagini di un’Isola raccontata all’interno, lontano dalla costa, un’isola di modi e riti arcaici, in cui il cavallo è ancora una presenza importante e in cui a carnevale, nonostante rari angioletti chiari, il colore dominante è il nero. Una serie di immagini di momenti rituali, sempre in bilico tra sacro e profano, e di situazioni stranianti: una donna che imbraccia un fucile a pompa per festeggiare S’incontru, le maschere di carnevale che rimandano alle bestie della vita quotidiana, i pesanti campanacci appesi alla schiena di un Mamuthone a riposo, i funerali di fantocci. Invece ridono tre anziane ovoddesi alla finestra, durante la follia dell arcaico carnevale, e ridono anche gli Intintos di Olzai e un uomo di Orgosolo con soli tre denti così simile al murale alle sue spalle. Vola un chierichetto mentre suona le campane per S’Ardia al santuario di Santu Antinu, e poco dopo riparte la sfrenata “giostra” equestre. Poi tutto a un tratto tutto si ferma e si fa di nuovo austero, come la coppia a San Francesco di Lula, col Supramonte alle spalle, che guarda lontano, lontano ma non troppo (come tutto in Sardegna), o il pastore che conduce il suo gregge, sotto un cielo carico, in una piana che sembra amplissima: sintesi dell’ampio sguardo di un grandissimo fotoreporter.
Due gli appuntamenti in programma per giovedì 9: alle 21:00 con il momento dedicato all’apertura ufficiale della mostra (3 turni di 30’ a partire dalle 21 in presenza del fotografo) e alle 22:30 con Riflessioni sull'etica di un mestiere un momento di incontro-racconto con il fotografo che si terrà all’Arena Effetto Notte di Palau.
In chiusura di giornata, infine, Isole che Parlano darà il benvenuto al pubblico di questa XXV edizione, con il primo dei momenti dedicati ai sapori e ai saperi del territorio: Momenti DiVini, una degustazione speciale di vini di piccoli produttori sardi.
Nato a Napoli nel 1949, Francesco Cito è arrivato relativamente tardi alla fotografia, nel 1972 quando si trasferisce a Londra iniziando a lavorare per un settimanale di musica pop-rock prima e successivamente The Sunday Times. Eclettico e testimone degli eventi in molti luoghi caldi, con “l'istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l'essenziale delle cose”, Cito è considerato oggi uno dei fotoreporter più importanti a livello internazionale. Nel corso degli anni Ottanta è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l'Afghanistan occupato con l'invasione dell'Armata Rossa, realizza a Napoli un reportage sulla camorra pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche italiane ed estere, è inviato di Epoca sul fronte Libanese dove è l'unico foto-giornalista a documentare la caduta del campo profughi di Beddawi, l’ultima roccaforte di Arafat in Libano, e si dedica alle condizioni del popolo palestinese all'interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica dove racconta la ritirata sovietica, mentre l’anno successivo è in Arabia Saudita nella prima "Gulf War" con il primo contingente di Marines americani dopo l'invasione irachena del Kuwait. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell'Islam dal Pakistan al Marocco e negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici. In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena - che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 - e altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 il suo interesse si concentra anche sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni e nel 2001 il Leica Oskar Barnak Award lo segnala con una Menzione d'Onore per il reportage "Sardegna". Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l'isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, e nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini "Van Cleef & Arpels" gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l'operosità attraverso le mani dei loro artigiani. Sue immagini sono apparse su Epoca, Il Venerdì di Repubblica, Panorama, Sette, Corriere della Sera, Specchio della Stampa, Sunday Times Magazine, Observer Magazine, Stern, Bunte, Zeit Magazine, Figaro Magazine, Paris Match, Life.
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