Alla Fondazione Memmo dal 4 maggio all'11 novembre

L'artigianato incontra l'arte contemporanea tra le "rovine" di Kerstin Brätsch

Kerstin Brätsch, Dino Runes_Towards an Alphabet, Digital Print (Detail), 2018 | © Daniele Molajoli
 

Samantha De Martin

04/05/2018

Roma - Nell’oscurità di una “caverna”, sotto il bagliore delle lampade, alcune teste di calciatori - tra i quali si distinguono anche Balotelli e Messi - alcuni David in miniatura e piccoli Pinocchio giacciono infilzati come protagonisti di un rito sacrificale che, sfuggendo alla condizione umana, sfocia nella barbarie, in un regno animale fatto di rituali e trasgressioni.
Dinnanzi a questo sovvertimento estetico cui fanno da cornice specchi in plexiglas, una via di mezzo tra amplificatori e generatori di suoni, lontano da qualsiasi edulcorazione, la sensazione che il visitatore prova è quella di un forte spaesamento. Forse per la violenta collisione tra scultura e pittura, la stessa che tesse il processo creativo dell’artista tedesca Kerstin Brätsch e dello scultore Debo Eilers, artefici del progetto collaborativo KAYA, collettivo ibrido che si sottrae alle tradizionali categorizzazioni.
Ad ospitare fino al prossimo 11 novembre la mostra Ruine / KAYA_KOVO, a cura di Francesco Stocchi, saranno le Scuderie di Palazzo Ruspoli, sede della Fondazione Memmo, nata nel 1990 con l’intento di avvicinare il mondo dell’arte a un vasto pubblico attraverso la conoscenza diretta dei capolavori di tutti i tempi.
«Attraverso un duplice piano d’azione - spiegano dalla Fondazione - che si articola in un programma di mostre monografiche e una serie di mostre collettive dedicate ad artisti, italiani e stranieri, temporaneamente presenti nel territorio di Roma, la Fondazione afferma il proprio legame con la città, offrendosi come punto di incontro della rete di relazioni composta dalle realtà internazionali nella capitale e promuovendo l’interazione tra gli artisti, gli artigiani romani e il tessuto cittadino».

Nel caso della mostra di Kerstin Brätsch, l’artigiano romano che ha collaborato al progetto si chiama Walter Cipriani, da oltre vent’anni attivo nel campo delle decorazioni e del restauro. Con l’artista tedesca ha creato una serie di lavori in stuccomarmo, che si affiancano al corpo inedito di marbling paintings della serie Unstable Talismanic, realizzata con Dirk Lange, maestro tedesco della marmorizzazione.

Le opere in stuccomarmo caratterizzano il “Foro”, lo spazio principale del percorso espositivo, all’interno della Casa, cui si accede attraverso un’anticamera nella quale spicca un blu intenso che l’artista chiama Ave Giotto.
«La tecnica dello stuccomarmo - spiega il curatore Francesco Stocchi - sperimentata per la prima volta da Kerstin in vista dell’esposizione romana, risale al tardo Medioevo. Verso la fine del XIII secolo, infatti, a causa di una penuria di marmi, un artigiano anonimo capì che, grazie all’aggiunta di colla di coniglio all’acqua e al gesso, sarebbe stato possibile modellare un materiale capace poi di solidificarsi».

Sempre in questa sala le opere dal titolo Fossil Psychic, con i colori vivaci degli stucchi, evocano mostri prescientifici. Frammenti di serie passate e future si dividono in ossa, parti del corpo e amuleti rituali, pur resistendo all’erosione, come rocce.

Il corpo inedito di nove marbling paintings (Psychopompo) occupa invece la “Cripta”.
Per realizzare questi lavori - creati a New York appositamente per la mostra - Brätsch ha utilizzato un procedimento che consiste nel far gocciolare inchiostri e solventi su una superficie liquida per craere un motivo, che successivamente si deposita su un foglio di carta. Il lavoro è il risultato di una collaborazione a quattro mani - quelle dell’artigiano e quelle di Kerstin - che si avvale della forza di gravità, della repulsione, dell’adesione, mescolando la volontà della pittrice al fattore “caso” determinato dagli agenti esterni, come ad esempio l’umidità.
Ciascuna marmorizzazione funziona come un talismano, una macro-proiezione sulla meccanica dell’ignoto. Ogni modulo, in questa sorta di cripta futuristica, è incorniciato da quattro neon di tre tipologie, caldo, medio e freddo.

Aggirandosi tra le opere, il visitatore riflette sul titolo della mostra - mutuato dall’espressione tedesca Ruine, “rovina” - mettendo a fuoco la volontà di Brätsch di espandere e destabilizzare il linguaggio pittorico attraverso un approccio che la induce a continue collaborazioni con artigiani, al fine di interrogare e mettere in crisi la nozione di soggettività, storicamente attribuita alla figura del pittore.

La seconda sezione dell’esposizione - KOVO, “covo” in italiano, termine utilizzato anche per indicare un ibrido uomo-mucca - occupa invece lo spazio più raccolto della Stalla, proponendo il lavoro di KAYA, il progetto collaborativo di Brätsch ed Eilers.
Questo è lo spazio in cui le teste dei calciatori - simboli evidenti della cultura pop, acquistati dall’artista in un negozio romano di souvenir - penzolano su uno strato di pelle animale in un gioco evocativo che oscilla tra una ritualità contemporanea, e insieme futuristica, e un’espressività classica che si sprigiona attraverso rimandi a riti sacrificali e miti cosmogonici, in una complessa stratificazione temporale che vuole essere soprattutto un appassionato - e affatto scontato - omaggio a Roma.

I dipinti di KAYA, per metà umani, evocano spettri di animismo e fantascienza.
Per il progetto KOVO, Brätsch ed Eilers sono affiancati dal sound artist e musicista Nicolas An Xedro che rivolge la propria ricerca agli strati preverbali di coscienza e materia nelle loro fasi simultanee di composizione/decomposizione.


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• Giuseppe Gabellone

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