Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been
Dal 29 Ottobre 2022 al 30 Gennaio 2023
Napoli
Luogo: Museo MADRE
Indirizzo: Via Settembrini 19
Curatori: Teresa Grandas
E-Mail info: info@madrenapoli.it
Sito ufficiale: http://www.madrenapoli.it
La mostra Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been, a cura di Teresa Grandas, affronta il lavoro di quest’artista attraverso una serie di performance, fotografie, installazioni e dipinti. La sua riflessione sulla natura e sull’artificio non si limita a sovvertire le convenzioni del nostro rapporto con l’ambiente in cui viviamo e in cui ci sviluppiamo come individui, ma ci invita anche a ripensare a ciò che intendiamo per arte, ai valori che sono alla base dell’arte e a ciò che le dà significato. La mostra non segue un ordine cronologico, ma si concentra su una serie di opere che sono centrali nella struttura della pratica di Miralles. Si tratta di opere che mettono in discussione concetti come l’appartenenza, l’autorità, il potere e l’ordine stabilito, nonché ciò che conferisce loro valore, invertendo costantemente le nozioni di arte, artista e spettatore. Il potenziale critico – persino denaturalizzante – e le differenze e i conflitti evidenziati da queste opere dimostrano che l’immagine poetica può diventare anche politica.
Mostra organizzata da MACBA Museu d’Art Contemporani de Barcelona e Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee
In collaborazione con Index and Marabouparken, Stockholm
Con il supporto di Institut Ramon Llull.
E la collaborazione di Museu d’Art de Sabadell.
Fina Miralles intende la pratica artistica come potenziale immaginativo, come pratica critica che non si svolge sul piano dell’articolazione mentale o concettuale, ma nel luogo delle cose, dei gesti e degli affetti.
I gesti a cui Fina Miralles ci sottopone e con cui ci mette a confronto nelle sue opere, non vogliono creare antagonismo tra artista e spettatore, ma ci mostrano una concezione di arte strettamente legata alla vita. “Essere un artista non è una vocazione, né una devozione, né una professione; tu non lo sai, ma tutto ti spinge e ti porta a essere ciò che sei”, dice.
Le operazioni artistiche con cui Fina Miralles ci mette a confronto si basano su traslazioni, su relazioni apparentemente logiche tra elementi naturali, ma che l’evoluzione della società, una società capitalista, dittatoriale e cattolica in partenza, allontana ideologicamente e materialmente. In questo modo, un semplice gesto di trasposizione di elementi naturali ci appare, oltre che audace, insostenibile perché rompe l’ordine artificiale delle cose. Anche in questo caso, la dualità natura/artificio acquista un senso più ampio e paradossale. Perché la pratica di Fina rompe l’ordine delle cose che la società impone. La sua ricerca si spinge ancora oltre: è il gesto semplice ma clamoroso di spostare l’erba verso il mare o la sabbia verso un prato. Questo gesto non solo porta con sé una carica critica, ma da vita anche a nuovi possibili immaginari.
Fina Miralles non accetta le esigenze della società o dell’arte. Le azioni “Imatges del zoo” o “Petjades” mettono in chiaro la sua posizione come parte della sua stessa opera, contravvenendo ai ruoli stabiliti e accettati da un sistema che esige la sottomissione a determinate condizioni di esistenza e sostenibilità, non accettando segni di dissenso o di frattura. Il gesto non lascia spazio a dubbi. L’ordine delle cose è semplicemente diverso .
Un ordine altro in cui si colloca come artista e come essere umano, e che riposiziona inesorabilmente anche noi. Non solo ci interroga, ma ci ricolloca non come semplici spettatori, ma come parte di quelle operazioni di trasformazione o traslazione che permeano il suo lavoro. Traslazioni della natura, della nostra vita quotidiana e, quindi, della società. Traslazioni dei generi della pittura, degli ordini dell’arte e dei linguaggi.
L’opera di Fina Miralles costituisce un processo di trasformazione esistenziale e artistica che crea un immaginario poetico-politico di enorme bellezza e forza. Senza condiscendenza, trascende radicalmente ciò che la società capitalista consolida. I suoi gesti si alterano e virano verso altri immaginari che emergono da piccole dislocazioni. Senza rumore, ma in forma melodiosa.
Non solo ci interroga, ma ci fa riconoscere nelle sue azioni. Ogni gesto, ogni opera, genera interruzioni del sapere e riformula lo sguardo: di fronte al mondo, altri modi di fare, di esistere e di creare. L’opera di Fina Miralles dà origine ad altri modi di generare significato, di esistere e di concepire l’arte.
Attraverso un saggio fotografico, ci racconta le azioni quotidiane che compie, stabilendo un’operazione politica nella routine, in cui i modi di fare mostrano il loro potenziale trasformativo ed emancipatorio. Si lava, mangia, guarda, respira, tocca, beve, fuma… ma il suo racconto non sancisce un mero decalogo dell’esercizio di queste attività, quanto uno spostamento verso altri modi di operare, verso una costruzione radicalmente diversa della conoscenza, dei nostri modi di pensare e di vivere.
In Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been, l’artista si mostra nella sua complessità e diversità, in tutti i sé che è stata come persona e come artista – che si fondono in un’unica entità – e che la costituiscono come essere, e che scatenano le interpretazioni a cui ci sottopone, a cui vuole che ci sottoponiamo. L’operazione di essere più di un solo sé come operazione di consolidamento di rinnovati immaginari che ci permettono di definirci in base a parametri di altri possibili ordini.
Mostra organizzata da MACBA Museu d’Art Contemporani de Barcelona e Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee
In collaborazione con Index and Marabouparken, Stockholm
Con il supporto di Institut Ramon Llull.
E la collaborazione di Museu d’Art de Sabadell.
Fina Miralles intende la pratica artistica come potenziale immaginativo, come pratica critica che non si svolge sul piano dell’articolazione mentale o concettuale, ma nel luogo delle cose, dei gesti e degli affetti.
I gesti a cui Fina Miralles ci sottopone e con cui ci mette a confronto nelle sue opere, non vogliono creare antagonismo tra artista e spettatore, ma ci mostrano una concezione di arte strettamente legata alla vita. “Essere un artista non è una vocazione, né una devozione, né una professione; tu non lo sai, ma tutto ti spinge e ti porta a essere ciò che sei”, dice.
Le operazioni artistiche con cui Fina Miralles ci mette a confronto si basano su traslazioni, su relazioni apparentemente logiche tra elementi naturali, ma che l’evoluzione della società, una società capitalista, dittatoriale e cattolica in partenza, allontana ideologicamente e materialmente. In questo modo, un semplice gesto di trasposizione di elementi naturali ci appare, oltre che audace, insostenibile perché rompe l’ordine artificiale delle cose. Anche in questo caso, la dualità natura/artificio acquista un senso più ampio e paradossale. Perché la pratica di Fina rompe l’ordine delle cose che la società impone. La sua ricerca si spinge ancora oltre: è il gesto semplice ma clamoroso di spostare l’erba verso il mare o la sabbia verso un prato. Questo gesto non solo porta con sé una carica critica, ma da vita anche a nuovi possibili immaginari.
Fina Miralles non accetta le esigenze della società o dell’arte. Le azioni “Imatges del zoo” o “Petjades” mettono in chiaro la sua posizione come parte della sua stessa opera, contravvenendo ai ruoli stabiliti e accettati da un sistema che esige la sottomissione a determinate condizioni di esistenza e sostenibilità, non accettando segni di dissenso o di frattura. Il gesto non lascia spazio a dubbi. L’ordine delle cose è semplicemente diverso .
Un ordine altro in cui si colloca come artista e come essere umano, e che riposiziona inesorabilmente anche noi. Non solo ci interroga, ma ci ricolloca non come semplici spettatori, ma come parte di quelle operazioni di trasformazione o traslazione che permeano il suo lavoro. Traslazioni della natura, della nostra vita quotidiana e, quindi, della società. Traslazioni dei generi della pittura, degli ordini dell’arte e dei linguaggi.
L’opera di Fina Miralles costituisce un processo di trasformazione esistenziale e artistica che crea un immaginario poetico-politico di enorme bellezza e forza. Senza condiscendenza, trascende radicalmente ciò che la società capitalista consolida. I suoi gesti si alterano e virano verso altri immaginari che emergono da piccole dislocazioni. Senza rumore, ma in forma melodiosa.
Non solo ci interroga, ma ci fa riconoscere nelle sue azioni. Ogni gesto, ogni opera, genera interruzioni del sapere e riformula lo sguardo: di fronte al mondo, altri modi di fare, di esistere e di creare. L’opera di Fina Miralles dà origine ad altri modi di generare significato, di esistere e di concepire l’arte.
Attraverso un saggio fotografico, ci racconta le azioni quotidiane che compie, stabilendo un’operazione politica nella routine, in cui i modi di fare mostrano il loro potenziale trasformativo ed emancipatorio. Si lava, mangia, guarda, respira, tocca, beve, fuma… ma il suo racconto non sancisce un mero decalogo dell’esercizio di queste attività, quanto uno spostamento verso altri modi di operare, verso una costruzione radicalmente diversa della conoscenza, dei nostri modi di pensare e di vivere.
In Fina Miralles. I Am All the Selves that I Have Been, l’artista si mostra nella sua complessità e diversità, in tutti i sé che è stata come persona e come artista – che si fondono in un’unica entità – e che la costituiscono come essere, e che scatenano le interpretazioni a cui ci sottopone, a cui vuole che ci sottoponiamo. L’operazione di essere più di un solo sé come operazione di consolidamento di rinnovati immaginari che ci permettono di definirci in base a parametri di altri possibili ordini.
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