Nelle sale il 7 e l'8 novembre

Il giardino dei sogni. Al cinema la grande "commedia umana" di Bosch

Il compositore Ludovico Einaudi davanti al trittico Il Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch. Courtesy of Nexo Digital
 

Samantha De Martin

03/11/2017

Se la parola fantasia fa rima con apparizione, ma anche con “inganno del demonio”, l’immensa commedia umana descritta da Hieronymus Bosch nelle sue tele è il trionfo della potenza immaginativa dell’anima, capace di oscillare tra misticismo, dolore, piacere con quella ipnotica malìa intrisa di mostruoso e demoniaco, sprigionata con potenza del legno e del colore.
Conigli e giraffe, pesci con mani e becco d’anatra, uccelli a tre teste, demoni spietati, rocce antropomorfe, fragole e conchiglie, una scrofa con il velo da suora, protagonisti di questa immensa danza teatrale diretta magistralmente da Jeroen Anthoniszoon van Aken - noto anche come El Bosco o Bosco, in arte Hieronymus Bosch - escono dal trittico del Museo del Prado di Madrid per raggiungere il grande schermo.
Il 7 e l'8 novembre, infatti, sarà nelle sale, nell’ambito del progetto della Grande Arte al Cinema - distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Sky Arte HD e Mymovies.it - Bosch. Il giardino dei sogni.

Il documentario si sofferma sull’opera di uno dei pittori più visionari della storia, l’artista che più di ogni altro è riuscito a fondere la cultura figurativa fantastica ed esotica del Medioevo con le nuove istanze del rinascimento fiammingo. Questa doppia anima dell’autore de Il Giardino delle Delizie Terrene, del quale si conosce con precisione solo la data di morte, il 1516, è anche il filo conduttore del film evento diretto da José Luís López Linares.

Il viaggio alla scoperta di questo artista misterioso, presentato ora come alchimista, come membro di una setta esoterica, ora come artista raffinato capace da includere nelle sue opere messaggi complessi e giochi di parole visivi basati sui testi biblici e della tradizione, inizia nelle sale del Museo del Prado quando il trittico si schiude sciorinando tutta la sua teatralità intrepida. Come un saggio acrobata, capace di mescolare macabro e mostruoso, fantasia, simbolismo e rimandi biblici, Bosch incatena il pubblico alle sue tele, generando un senso di caos, dolore, paura. E il documentario, a breve nelle sale, trasferisce allo spettatore queste sensazioni attraverso il contributo della musica, gli sguardi meravigliati e sognanti dei visitatori, la testimonianza di artisti, scrittori, filosofi, musicisti e scienziati sui significati personali, storici e artistici dell’opera, che ripropongono ai giorni nostri quella “conversatio” che iniziò 500 anni fa presso la corte dei duchi di Nassau a Bruxelles, quando l’opera fu commissionata a Bosch.
Così le parole di scrittori come Salman Rushdie, Orhan Pamuk e Cees Nooteboom, dell’artista Miquel Barceló, di drammaturgi, illustratori, neuroscienziati e storici dell’arte come Pilar Silva - curatore della mostra Bosch, l’esposizione cinquecentenaria al Museo Nazionale del Prado - e Xavier Salomon, ma anche il pensiero del musicista Ludovico Einaudi, danno vita a un canto corale che penetra le visioni, a volte simili ad allucinazioni, di Bosch, nel tentativo di estrarne significati. Ma si tratta di un’indagine complessa, dal momento che ancora molti misteri ruotano intorno al trittico delle delizie, nonostante alcuni elementi - i colori brillanti, un’azione complessa, l’incontro tra commedia e tragedia, e ancora un intreccio di vita, peccato, suspense, morte e, forse, anche redenzione - rimangano inequivocabili.

Il documentario non vuole essere una risposta ai tanti interrogativi che ruotano intorno al criptico artista olandese, ma piuttosto una riflessione sui misteri di un dipinto che cattura, coinvolge, si fa indagare, pur nella consapevolezza che non si arriverà mai completamente a comprenderlo.

In questa giostra visionaria popolata da visioni surreali dai contorni onirici, ma nella quale lo spettatore vede riflessi, come in uno specchio, vizi e peccati del mondo, si ritrovano simboli derivanti dal folclore e dall’astrologia, ma anche dal subcoscio.
In quest’opera che ha indubbiamente lasciato tracce nelle opere di diversi artisti, da Il trionfo della morte di Brueghel il Vecchio a Tiziano, da Goya a Magritte, ci sono rimandi alla Genesi e alla lussuria, al peccato, all’amore.
Quello che è certo è che le tele di Bosch - mai datate e solo alcune firmate dall’artista - sono un’appassionata celebrazione del colore, capace di generare incredibili giochi di luce che, a contatto con la natura, danno vita a un universo nel quale tutto è possibile.
Forse è anche per questo che il re Filippo II di Spagna è stato un appassionato collezionista dei suoi lavori, dopo la morte del pittore. Ed è anche grazie a questa passione che la Spagna è oggi il paese che vanta in assoluto - dal Museo del Prado al Monastero dell’Escorial - il maggior numero di opere di questo geniale artista di gusto rinascimentale, “creatore di diavoli”, come è stato definito, nato e cresciuto in una famiglia di pittori.
E la sua immensa danza teatrale, adesso anche sul grande schermo, è un’occasione da non perdere per tentare di squarciare, in compagnia di “guide” illustri, quell’affascinante universo popolato da rimandi onirici e macabre visioni.

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