Astrazione: le 5 vie
Dal 02 Dicembre 2021 al 04 Febbraio 2022
Milano
Luogo: MAAB Gallery
Indirizzo: Via Nerino 3
Orari: da lunedì a venerdì 10.30 - 18.00
E-Mail info: HELLO@MARTINACORBETTA.COM
La mostra raccoglie le opere di cinque artisti che, dal Modernismo fino ai nostri giorni, hanno lavorato e lavorano su un’idea di geometria compositiva, di chiarezza concettuale e di rigore espressivo, che ha evitato di chiudersi su stessa, ma ha invece tenuto insieme visione e illusione, ingegno e trasgressione, tradizione e innovazione.
Le opere di Bruno Munari, Imi Knobel, Nahum Tevet, Christian Megert e Winfred Gaul rappresentano il tentativo dell’arte di cambiare continuamente la visione di un mondo che, come ha testimoniato il “secolo breve”, cambia continuamente, sfidando le nostre abitudini percettive e aprendosi di volta in volta a nuove sfide conoscitive e a nuove costellazioni interpretative.
Gli artisti in mostra cercano un punto di ancoraggio nella linearità espressiva della geometria, che però va qui colta nel suo significato più ampio che arriva a superare la razionalità euclidea per accogliere visioni più eterodosse come la geometria frattalica e le geometrie dei poligoni iperbolici. Ne nascono cinque vie all’astrazione e cinque visioni di un mondo liquido e smaterializzato, la cui consistenza non assomiglia più a soltanto ad un solido ma anche all’evanescenza di una nuvola che si muove e muta le sue forme nel cielo.
Il percorso di Bruno Munari (Milano, 1907-1998) è poliedrico e seminale non solo nella varietà dei suoi riferimenti al mondo dell’arte e della cultura, ma perché è stato precocemente in grado di tenere insieme la scultura e l’industrial design, la pittura e il cinema, l’animazione e l’attività editoriale, la grafica e la didattica. Un costante rimando alla libertà creativa dell’infanzia e un uso sottile quanto spregiudicato dell’ironia in cui la geometria diviene un campo aperto di sperimentazione contro ogni forma di dogmatismo culturale e di rigidità mentale. Le sue forme colorate e combinate, mentre ammiccano alle composizioni di forme e di colori fondamentali delle Avanguardie Storiche, ricalibrano pesi e temperature cromatiche, pieni e vuoti, facendo emergere armonie e dissonanze.
Per Nahum Tevet (Israele, 1946) l’opera evidenzia una memoria che procede per frammenti e quasi si innesca a partire da una decostruzione degli oggetti, del loro senso così come della loro funzione. L’interazione tra forma, colore e spazio è anche il sintomo di una mentalità che è erede delle avanguardie storiche ma non ne è succube e il colore, qui e là, e il non-finito, servono ad alleggerire il senso di un progetto totale, a cancellare l’ideologismo attraverso la rimodulazione continua e il riadattamento. Le sue strutture tridimensionali sembrano il frutto di una deflagrazione compositiva che poi ritrova sempre un suo punto di riassemblamento in cui l’organizzazione degli elementi vive in un delicato equilibrio e in una fertile precarietà che testimonia del continuo processo di aggiustamento e riadattamento che anche l’essere umano si trova a dover compiere.
Tra i massimi artisti tedeschi della seconda metà del XX secolo, Imi Knoebel (Dessau, 1940), usa composizioni geometriche in combinazioni di due o tre colori, aggiungendo occasionalmente un effetto fosforescente che assorbe, immagazzina ed emette la luce circostante. Knoebel esplora i contrasti formali come il taglio netto con il morbido, il colorato con il neutro e l'opaco con l'effetto riflettente e vivido. Egli incorpora motivi architettonici in composizioni articolate, come sezioni di legno a forma di finestre o porte che includono parzialmente l'architettura dell’ambiente circostante nel loro campo pittorico. In altre opere, la pittura viene espansa su scala architettonica, invitando lo spettatore a entrare nella sua zona di colore puro e risonante e restituendo una versione “umanistica” dell’astrazione che si porta più vicino al mondo del pensiero che a quello della pura forma astratta.
Christian Megert (Berna, 1936) usa la luce e il riflesso luminoso come un laser che segmenta, taglia e scompone lo spazio del quadro, allargandosi all’ambiente e alle dinamiche percettive dello spettatore. Lo specchio diviene la via per nuove e continue ipotesi di modulazione spaziale e l’opera è costruita con perizia e nitore mediante un intreccio che alterna fasi geometriche con altre tese a destabilizzare le aspettative. Il risultato è la definizione di un confine instabile della rappresentazione che slitta di continuo tra diverse dimensioni spaziali e temporali. In questo modo Megert ci ricorda quanto l’arte oggi rifletta la vita e non l’ideale di vita: l’arte attraverso l’astrazione e la scomposizione geometrica assume su di sé la caoticità che ci circonda per la necessità di uno sguardo trasparente sul mondo, non più un atto di fede nella natura cartesiana delle cose ma un atto di testimonianza nei confronti di quanto v’è di frammentario, parziale e eminentemente poetico nel mondo.
La serie "Verkehrszeichen & Signale" (Segnali stradali e segnali) di Winfred Gaul (Düsseldorf, 1928 - Kaiser-swerth, 2003) si compone di tele dai colori brillanti e dall’impianto geometrico che hanno costituito quasi la totalità della pratica dell’artista dagli anni Settanta ai primi anni Novanta. Sono opere a cui Gaul si dedica da prima del suo viaggio a New York, con cui rompe definitivamente con il periodo informale per dirigersi verso la pittura analitica, parallelamente alla Post-painterly Abstraction americana. Subì forse anche, come Mondrian, l’impatto dell'energia incessante e del traffico casuale delle strade di Manhattan, che lo ispirarono nelle composizioni di queste potenti icone urbane giocate su colori sorprendenti. La sensibilità giocosa di Gaul crea un senso di libertà, poiché le sue forme - che sono diventate sinonimo di movimento e di energia – si liberano attraverso il colore e la vibrazione.
Le opere di Bruno Munari, Imi Knobel, Nahum Tevet, Christian Megert e Winfred Gaul rappresentano il tentativo dell’arte di cambiare continuamente la visione di un mondo che, come ha testimoniato il “secolo breve”, cambia continuamente, sfidando le nostre abitudini percettive e aprendosi di volta in volta a nuove sfide conoscitive e a nuove costellazioni interpretative.
Gli artisti in mostra cercano un punto di ancoraggio nella linearità espressiva della geometria, che però va qui colta nel suo significato più ampio che arriva a superare la razionalità euclidea per accogliere visioni più eterodosse come la geometria frattalica e le geometrie dei poligoni iperbolici. Ne nascono cinque vie all’astrazione e cinque visioni di un mondo liquido e smaterializzato, la cui consistenza non assomiglia più a soltanto ad un solido ma anche all’evanescenza di una nuvola che si muove e muta le sue forme nel cielo.
Il percorso di Bruno Munari (Milano, 1907-1998) è poliedrico e seminale non solo nella varietà dei suoi riferimenti al mondo dell’arte e della cultura, ma perché è stato precocemente in grado di tenere insieme la scultura e l’industrial design, la pittura e il cinema, l’animazione e l’attività editoriale, la grafica e la didattica. Un costante rimando alla libertà creativa dell’infanzia e un uso sottile quanto spregiudicato dell’ironia in cui la geometria diviene un campo aperto di sperimentazione contro ogni forma di dogmatismo culturale e di rigidità mentale. Le sue forme colorate e combinate, mentre ammiccano alle composizioni di forme e di colori fondamentali delle Avanguardie Storiche, ricalibrano pesi e temperature cromatiche, pieni e vuoti, facendo emergere armonie e dissonanze.
Per Nahum Tevet (Israele, 1946) l’opera evidenzia una memoria che procede per frammenti e quasi si innesca a partire da una decostruzione degli oggetti, del loro senso così come della loro funzione. L’interazione tra forma, colore e spazio è anche il sintomo di una mentalità che è erede delle avanguardie storiche ma non ne è succube e il colore, qui e là, e il non-finito, servono ad alleggerire il senso di un progetto totale, a cancellare l’ideologismo attraverso la rimodulazione continua e il riadattamento. Le sue strutture tridimensionali sembrano il frutto di una deflagrazione compositiva che poi ritrova sempre un suo punto di riassemblamento in cui l’organizzazione degli elementi vive in un delicato equilibrio e in una fertile precarietà che testimonia del continuo processo di aggiustamento e riadattamento che anche l’essere umano si trova a dover compiere.
Tra i massimi artisti tedeschi della seconda metà del XX secolo, Imi Knoebel (Dessau, 1940), usa composizioni geometriche in combinazioni di due o tre colori, aggiungendo occasionalmente un effetto fosforescente che assorbe, immagazzina ed emette la luce circostante. Knoebel esplora i contrasti formali come il taglio netto con il morbido, il colorato con il neutro e l'opaco con l'effetto riflettente e vivido. Egli incorpora motivi architettonici in composizioni articolate, come sezioni di legno a forma di finestre o porte che includono parzialmente l'architettura dell’ambiente circostante nel loro campo pittorico. In altre opere, la pittura viene espansa su scala architettonica, invitando lo spettatore a entrare nella sua zona di colore puro e risonante e restituendo una versione “umanistica” dell’astrazione che si porta più vicino al mondo del pensiero che a quello della pura forma astratta.
Christian Megert (Berna, 1936) usa la luce e il riflesso luminoso come un laser che segmenta, taglia e scompone lo spazio del quadro, allargandosi all’ambiente e alle dinamiche percettive dello spettatore. Lo specchio diviene la via per nuove e continue ipotesi di modulazione spaziale e l’opera è costruita con perizia e nitore mediante un intreccio che alterna fasi geometriche con altre tese a destabilizzare le aspettative. Il risultato è la definizione di un confine instabile della rappresentazione che slitta di continuo tra diverse dimensioni spaziali e temporali. In questo modo Megert ci ricorda quanto l’arte oggi rifletta la vita e non l’ideale di vita: l’arte attraverso l’astrazione e la scomposizione geometrica assume su di sé la caoticità che ci circonda per la necessità di uno sguardo trasparente sul mondo, non più un atto di fede nella natura cartesiana delle cose ma un atto di testimonianza nei confronti di quanto v’è di frammentario, parziale e eminentemente poetico nel mondo.
La serie "Verkehrszeichen & Signale" (Segnali stradali e segnali) di Winfred Gaul (Düsseldorf, 1928 - Kaiser-swerth, 2003) si compone di tele dai colori brillanti e dall’impianto geometrico che hanno costituito quasi la totalità della pratica dell’artista dagli anni Settanta ai primi anni Novanta. Sono opere a cui Gaul si dedica da prima del suo viaggio a New York, con cui rompe definitivamente con il periodo informale per dirigersi verso la pittura analitica, parallelamente alla Post-painterly Abstraction americana. Subì forse anche, come Mondrian, l’impatto dell'energia incessante e del traffico casuale delle strade di Manhattan, che lo ispirarono nelle composizioni di queste potenti icone urbane giocate su colori sorprendenti. La sensibilità giocosa di Gaul crea un senso di libertà, poiché le sue forme - che sono diventate sinonimo di movimento e di energia – si liberano attraverso il colore e la vibrazione.
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