Il 17 maggio 1510 si spegneva a Firenze Sandro Botticelli

510 anni fa moriva Botticelli, il pittore che amava gli scherzi e le lettere

Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1483-1485, Tempera su tela, 172.5 x 278.9 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
 

Samantha De Martin

14/05/2020

Giorgio Vasari lo descrisse come un “cervello stravagante e sempre inquieto”, ma soprattutto come una “persona molto piacevole”, che “fece molte burle ai suoi discepoli et amici”. Mentre il suo illustre mecenate, Lorenzo il Magnifico, lo includeva nella lista di grandi bevitori fiorentini. “Botticel la cui fama non è fosca, Botticel dico; Botticello ingordo ch'e più impronto e più ghiotto ch'una mosca” scriveva il signore di Firenze nel suo poema scherzoso intitolato Simposio.

Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, in arte Botticelli - forse dalla professione del fratello Antonio, orefice di mestiere e quindi battiloro o 'battigello' - era insomma un uomo dalla battuta facile, ma anche amante del lusso - come si evince anche dalla ricca veste con la quale si ritrae nel suo probabile autoritratto nell'Adorazione dei Magi degli Uffizi.


Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475 circa, Tempera su pannello, 111 x 134 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

Anche Vasari lo descrive incline al lusso (“per avere poco governo e per trascuratagine, mandò male”) e soprattutto “persona sofistica”, grande appassionato di letteratura, specie di Dante, le cui illustrazione, a detta dell’autore delle Vite, portarono via molto tempo all’artista.

I disegni per la Divina Commedia (1490-1496)
L'esempio più rappresentativo è offerto dai disegni per la Divina Commedia, realizzati su pergamena tra il 1490 e il 1496 per Lorenzo il Popolano e oggi dispersi tra la Biblioteca Apostolica Vaticana e il Kupferstichkabinett di Berlino.


Il Paradiso della Divina Commedia in un'illustrazione di Sandro Botticelli, 1490-1496

La passione per la letteratura nella serie di Nastagio degli Onesti (1483)
Ma la passione per le lettere si coglie soprattutto nelle Storie di Nastagio degli Onesti, tratte da una novella del Decameron di Boccaccio e commissionate nel 1483, forse direttamente da Lorenzo il Magnifico, per ornare quattro pannelli da cassone e come regalo di matrimonio per Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini. Tre quadri si trovano oggi al Museo del Prado di Madrid, il quarto è invece custodito a Palazzo Pucci, a Firenze. In quest’ultimo, oltre ai dettagli relativi a tutti gli elementi presenti sui tavolini, ai personaggi che animano la scena, spicca la grandezza dell’architettura. Sullo sfondo scorgiamo un arco di trionfo, che ricorda molto quelli presenti a Roma, visti da Botticelli per il suo lavoro all’interno della Cappella Sistina.
L’anno prima, infatti, l’artista si era visto commissionare per la Sistina tre affreschi eseguiti con aiuti: le Prove di Mosè, le Prove di Cristo e la Punizione di Qorah, Dathan e Abiram, oltre ad alcune figure di papi ai lati delle finestre, oggi molto deteriorate e ridipinte.

Grazie alla trama della novella, intrisa di elementi soprannaturali, il pittore ebbe l’opportunità di fondere la vivacità narrativa della storia con un registro fantastico a lui non consueto che ebbe come risultato un'opera tra le più originali della sua produzione artistica.


Sandro Botticelli, Storie di Nastagio degli Onesti, 2483 circa, Tempera su pannello, 83 x 138 cm, Madrid, Museo del Prado

“Finalmente condottosi vecchio e disutile, e caminando con due mazze, perché non si reggeva ritto, si morì essendo infermo e decrepito d’anni settantotto; et in Ogni Santi di Firenze fu sepolto l’anno 1515”.

Il 17 maggio 1510, come testimonia Vasari, Sandro Botticelli si spegneva a Firenze. A 510 anni dalla morte del Maestro - che seppe fondere le fisionomie eleganti apprese dal suo mentore Filippo Lippi con la linea dinamica, fortemente energica, del Pollaiolo e con le forme solenni e monumentali, i fini giochi luministici, del Verrocchio per ricavarne uno stile autonomo e originale, il mondo non smette di incantarsi dinnanzi alla sublime armonia della Primavera o della Nascita di Venere. Non è chiaro se i due più grandi capolavori del pittore, il primo su tavola, il secondo su tela, facessero pendant, come li vide Vasari intorno il 1550 nella villa medicea di Castello.

La Primavera (1477-82)
La Primavera sarebbe stata commissionata da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di secondo grado del Magnifico. I personaggi mitologici, al centro della narrazione, sottintendono varie teorie dell'Accademia neoplatonica della quale Botticelli sposò pienamente il pensiero riuscendo a tradurre quella bellezza da loro teorizzata, in una interpretazione personalissima dal carattere malinconico e contemplativo. I neoplatonici avevano riproposto con forza le "virtù degli antichi come modello etico" della vita civile, giungendo a conciliare gli ideali cristiani con quelli della cultura classica, traendo ispirazione da Platone ed esaltando i temi della bellezza e dell'amore.


Sandro Botticelli, Primavera, 1477-1482, Tempera su tavola, 319 x 207 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

Venere, sensuale e peccaminosa dea Olimpo pagano fu reinterpretata dai filosofi neoplatonici per diventare uno dei soggetti raffigurati più frequentemente dagli artisti secondo una duplice tipologia: la Venere celeste, esempio di quell’amore spirituale che innalzava l’uomo, e la Venere terrena, simbolo dell'istintualità e della passione che lo ricacciavano verso il basso.
Il gruppo di destra della Primavera potrebbe essere proprio un’allusione all’amore carnale istintivo capace di innescare la trasformazione in Flora-Primavera per sublimarsi, purificato dallo sguardo di Venere e di Eros, al centro, nell’amore perfetto incarnato dalle Grazie. Mercurio, intanto, spazza via le nubi col caduceo, a salvaguardia di una primavera senza fine.

La Nascita di Venere (1477-1485)
In un periodo immediatamente successivo alla Primavera, tra il 1477 e il 1485, Botticelli regalò al mondo una delle opere più celebri e rappresentative del Rinascimento italiano.
L’intera scena rappresenterebbe il momento appena precedente a quello della Primavera, ovvero quello dell'approdo della dea, nata dalla spuma del mare e rappresentata nella posa di Venus pudica, alle coste dell'Isola di Cipro, sospinta dal soffio dei venti Zefiro e Aura, accolta da una delle Ore con un festoso mantello puntellato di fiori primaverili.


Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1483-1485, Tempera su tela, 172.5 x 278.9 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

La Nascita di Venere - gioiello della Galleria degli Uffizi - tradurrebbe nell’armonia sinuosa sprigionata dalle onde, appena increspate, dalle vesti, gonfie al soffio del vento, dal fluire dei capelli della dea, la venuta alla luce dell'Humanitas, intesa come allegoria dell'amore quale forza motrice della natura. La figura della dea incarna la Venere celeste, simbolo di purezza e bellezza dell'anima, secondo uno dei concetti fondamentali dell'umanesimo neoplatonico. La piatta spazialità dello sfondo immortala le figure in un’atmosfera sospesa. Eppure in questo capolavoro l'armonia serena che caratterizzava la Primavera è assente e lascia il posto a una vaga irrequietezza appena accennata con linee contrastanti.

Venere e Marte (1482-1483)
Ritroviamo Venere nell’ allegoria raffigurante Venere e Marte, distesi su un prato e circondati da un gruppetto di satiri burloni. Nel realizzare questo dipinto, conservato oggi alla National Gallery di Londra, Botticelli aveva forse in mente il Symposium di Ficino, nel quale si metteva in luce la superiorità della dea, simbolo di amore e di concordia, sul Dio Marte.

I satiri disturbano il sonno del dio della guerra, ignorando la dea, mentre assume concretezza, dietro la consistenza del colore, l'armonia dei contrari, costituita dal dualismo Marte-Venere, altro ideale cardine del pensiero neoplatonico. L'opera potrebbe essere un omaggio per le nozze di un membro della famiglia Vespucci, protettrice dei Filipepi e l’iconografia potrebbe simboleggiare un augurio nei confronti della sposa.


Sandro Botticelli (1445 - 1510), Venere e Marte, 1483 circa, Tempera su pannello, 69 x 173.5 cm, Londra, National Gallery

Il naturalismo classico incontra lo spiritualismo cristiano: la Madonna del Magnificat (1483-1485)
Secondo André Chastel è nel tondo con la Madonna del Magnificat che Botticelli cerca di coniugare il naturalismo classico con lo spiritualismo cristiano. La Venere è questa volta sostituita da una Vergine vestita con stoffe preziose, i lunghi capelli biondi che si intrecciano con la sciarpa annodata sul petto. Il nome del dipinto deriva dalla parola "Magnificat" che compare su un libro retto da due angeli, simili a paggi che porgono il calamaio alla Madonna, mentre il Bambino afferra con la mano una melagrana, simbolo della resurrezione.

Questo frutto ritorna nella Madonna della melagrana, un tondo realizzato per la sala delle Udienze della Magistratura dei Massai di Camera in Palazzo Vecchio, una delle poche opere databili della produzione matura del pittore.



Sandro Botticelli (1445 - 1510), Madonna del Magnificat, 1483 circa, Tempera su legno, Diametro 118 cm, Firenze, Uffizi

Le opere della “svolta”
Presto una crisi interiore, che culminerà in un esasperato misticismo, imprimerà una svolta nello stile del pittore, incentrato adesso su temi sacri. La comparsa sulla scena del predicatore ferrarese Savonarola determinerà infatti un profondo ripensamento della cultura precedente, attraverso l’aspra condanna dei temi mitologici e pagani e la libertà nei costumi. Alcune tematiche del frate domenicano faranno capolino in opere di Botticelli tarde come la Natività mistica e la Crocifissione simbolica.

Le Madonne assumono adesso una fisionomia più alta e longilinea, con lineamenti più affilati che conferiscono alle figure un carattere ascetico. In alcuni casi, come nella Pala di San Marco, l’artista arriva a ripristinare un fondo oro dal sapore arcaico.

Le Madonne del periodo “giovanile”
Sono lontane le Madonne dell’età giovanile, come la Madonna col Bambino degli Innocenti databile tra il 1465 e il 1467, omaggio alla Lippina degli Uffizi, o come la Madonna con il Bambino e due Angeli realizzata tra il 1468-1469 e conservata nel Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, o ancora la Madonna della Loggia, del 1467. In quest’ultima, lo slancio di Gesù Bambino verso la Madre che lo tiene in grembo, è di una bellezza che commuove.


Sandro Botticelli, Madonna della Loggia, 1467-70, Dipinto a tempera su tavola, 50 x 72 cm, Firenze, Gallerie degli Uffizi | © Gabinetto fotografico delle Gallerie degli Uffizi

L'impostazione della composizione, non riconosciuta unanimemente come opera di Botticelli, risente dell'influenza di Donatello filtrato da Filippo Lippi, dal quale deriva il panneggio vibrante, anche se le forme appaiono ormai più dolcemente fuse, con atteggiamenti più complessi delle opere del Lippi.

La Calunnia e il distacco dallo stile giovanile
Anche se è nella Calunnia, dipinta tra il 1490 e il 1495, che si riconosce il vero "spartiacque" nello stile di Botticelli. Questo dipinto allegorico, tratto da Luciano, alludeva alla falsa accusa rivolta da un rivale al pittore antico Apelle, di aver cospirato contro Tolomeo Filopatore. Il forte senso di drammaticità che caratterizza l’intera scena - una constatazione amara circa i limiti della saggezza umana e dei principi etici del classicismo - rende quest’opera molto distante dai dipinti giovanili dell’artista, nonostante si possa ancora riconoscere la lieve malinconia adagiata sui volti dei personaggi. Siamo lontani dall’Adorazione dei Magi, che aveva introdotto la visione frontale della scena, con le figure sacre al centro e gli altri personaggi disposti prospetticamente ai lati, così come si dissolvono ormai le influenze fiamminghe presenti ad esempio nel Ritratto di Giuliano de’ Medici.

Il Compianto su Cristo morto (1495-1500)
Le opere successive alla morte di Savonarola - giustiziato il 23 maggio 1498 - appaiono pervase da una fantasia visionaria, frutto di un misticismo particolarmente evidente nel Compianto sul Cristo morto del museo Poldi Pezzoli di Milano, praticamente contemporaneo alla Calunnia, dove le figure appaiono caratterizzate dai gesti patetici e la scena assume toni apocalittici.


Sandro Botticelli, Compianto sul Cristo morto, 1501-1505 circa, Tempera grassa su tavola, 71 x 106 cm, Milano, Museo Poldi Pezzoli 

Nel Compianto, Maria sorregge sulle gambe il figlio morto e sviene per il dolore, sorretta da Giovanni Evangelista. La accompagnano le tre Marie: una appoggia un sudario sul volto di Cristo, l’altra si copre il viso per il pianto e Maria Maddalena, infine, stringe a sé i piedi del Cristo.
Al vertice di questa piramide Botticelli pone Giuseppe d'Arimatea che innalza verso l’alto la corona di spine e i chiodi della crocifissione. Questa espressività estrema, l’impiego di tinte forti e contrastanti sono una prerogativa dell’ultima fase creativa dell’artista.

La grandiosa architettura della Calunnia si ritrova nelle Storie di Lucrezia, un dipinto a tempera su tavola realizzato dall'artista intorno al 1498 e conservato nell'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, che fa coppia con le Storie di Virginia dell'Accademia Carrara di Bergamo. Il tema dell'onore violato, ispirato al racconto di Tito Livio, vede protagonista Lucrezia, moglie di Collatino, ce decise di suicidarsi dopo aver subito le violenze sessuali del figlio di Tarquinio il Superbo.

Ormai anziano e scalzato dalla scena artistica dal già affermato Leonardo e dall’astro nascente di Michelangelo, Botticelli trascorrerà i suoi ultimi anni in un’isolata povertà. La gloria, tra i concittadini e i posteri, sarebbe arrivata poco dopo.


Sandro Botticelli, Storie di Virginia, 1498, Tempera su tavola, 86 x 165 cm, Bergamo, Accademia di Carrara

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