Un incontro in India
L'opera "Spirale warli" di Richard Long
30/03/2004
L’idea di questa mostra risale al periodo in cui vivevo in India, tra il 1996 e il 1999, durante numerosi viaggi fatti con lo scopo di scoprire e studiare l’arte della tribù warli nello stato del Maharastra, circa 90 miglia a nord di Mumbai (Bombay). Ognuno di questi viaggi era un’occasione per camminare per ore da un villaggio all’altro. Per me, il paesaggio nella sua elementare bellezza, ma ancora di più tutti i dettagli delle attività umane nella natura, richiamavano impercettibilmente la Land Art e nello specifico il lavoro dell’artista inglese Richard Long – lavoro anche caratterizzato da una bellezza elementare.
Con queste parole Harvé Perdriolle, racconta la genesi della mostra da lui curata al Kunst Palast di Düsseldorf e attualmente riproposta al Pac di Milano, in cui accosta i lavori di Jivya Soma Mashe, maestro dell’arte tradizionale della tribù dei Warli, ai lavori di Richard Long, uno dei maestri della Land Art inglese, celebre per le sue camminate nella natura.
Nel febbraio 2003 Richard Long, su invito di Perdriolle, ha soggiornato nello stato di Maharastra conoscendo l’artista Jyvia Soma Mashe e la tribù warli, famosa per le sue pitture murali tradizionalmente create dalle donne in occasioni speciali, come la celebrazione di un matrimonio o la festa del raccolto, direttamente sulle pareti di terracotta delle capanne. Il dialogo nato da questa esperienza tra Long e Soma Mashe è stato in primo luogo artistico, dal momento che l’artista indiano parla solo il suo dialetto, di cui non esiste alcuna forma scritta. É emersa una comune propensione per l’uso di materiali naturali, forme geometriche archetipiche come il cerchio, la spirale e il quadrato, una semplicità e accuratezza di fondo che trova nella natura la fonte prima di ispirazione.
Negli anni Settanta Jivya Soma Mashe è stato il primo uomo a uscire dai confini della pratica rituale, dipingendo quotidianamente con fini anche commerciali e utilizzando come supporto la tela sporcata di sterco su cui interviene con colori acrilici. Vera protagonista delle sue opere è la vita quotidiana nel villaggio con una grande varietà di attività che coinvolgono umani, animali e la vegetazione.Molto bella è, ad esempio, la tela esposta al Pac che ritrae una scena di pesca.
Sia all’interno dello spazio espositivo che all’esterno, le installazioni di Long sono sempre realizzate con materiali naturali trovato sul posto: a Milano, oltre a alcune tavole con fango e impronte, e una serie di fotografie che documentano il suo lavoro prodotto durante la permanenza in india ospite della tribù warli, presenta una spirale fatta con i sanpietrini tipici della pavimentazione cittadina.
Fra le cose più interessanti, il film/documentario Stones and Flies. Richard long in the Sahara girato nel 1988 dal regista Philippe Haas, in cui emerge chiaramente la pratica del camminare come metafora del tempo e la fascinazione di Long per le filosofie Zen, soprattutto nel riconoscere la natura umana come un tutt’uno con la natura oggettiva.
Spunto positivo che lascia la mostra è la volontà di presentare un artista contemporaneo indiano non da un punto di vista antropologico ma con un approccio propriamente artistico, anche se l’incontro riamane piuttosto superficiale, forse proprio per l’impossibilità di comunicare verbalmente.
RICHARD LONG - JIVYA SOMA MASHE.
Un incontro in India
Fino al 6 giugno 2004
PAC Padiglione Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 - 20121 Milano
Info 02 760 090 85
www.pac-milano.org
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