Gli artisti in mostra
Dipinto sulla campagna romana
30/01/2002
La mostra romana, a cura di Pier Andrea De Rosa e Paolo Emilio Trastulli, presenta circa cento opere (oli, acquerelli, disegni, sculture) di medie e piccole dimensioni. E’ arricchita inoltre da un soddisfacente apparato didattico.
Ad introdurre il percorso espositivo è la lettera sulla campagna romana che René de Chateaubriand scrisse nel 1804 all’amico marchese di Fontanes. Il fascino della campagna è illustrato in termini di linee e piani, ombre e luci mutevoli, orizzonti e vapori avvolgenti; un contesto lirico entro cui per di più si colloca la solitaria maestà delle rovine.
L’intima unione tra natura e antico si palesa infatti, ancora all’inizio del XIX secolo, come il tratto caratteristico del paesaggio mediterraneo. I quadri di Jacob Hackert, pittore tedesco in Italia dal 1768, ci consegnano le ultime vedute realizzate con tecnica minuziosa, nell’ambito di un gusto che riporta alla tradizione classicista, da Poussin a Lorrain. E’ Tivoli il luogo da lui prescelto per mettere in scena, sotto cieli cristallini e carichi di luce, pastori e aristocratiche gentildonne al cospetto dell’antico (il tempio della Sibilla, la villa di Mecenate) e del naturale (le cascate del fiume Aniene).
Appartiene alla generazione successiva Camille Corot, il primo ad intendere la pittura dal vero non come esercizio di trascrizione passiva ma come un’attività di invenzione formale. I suoi ritratti della campagna romana (Tivoli, Civita Castellana, Subiaco) abbandonano la trascrizione analitica del particolare per interessarsi soprattutto ai valori luminosi, quasi a precorrere le scoperte impressionistiche. Suoi ideali seguaci sono Charles Coleman e Nino Costa. Il primo illustra la condizione umana nei luoghi in cui la natura si mostra più nemica (Paludi Pontine, Monti Sublacensi e Simbruini); il secondo dà un’interpretazione spirituale del paesaggio, partecipando pienamente del clima di neonata religiosità di metà Ottocento.
All’inizio del secolo successivo è il gruppo dei “XXV della Campagna romana” a scegliere il paesaggio laziale come campo d’interesse. Diminuito enormemente il numero degli artisti stranieri presenti a Roma, sono gli italiani superstiti (Giulio Aristide Sartorio, Duilio Cambellotti) a guardare con velata nostalgia e sterile rimpianto ad un mondo per sempre perduto. Giacomo Balla traspone negli stessi anni luce e colori del territorio laziale con verismo romantico. I suoi quattro disegni e pastelli, preziosi e commoventi, sono i migliori pezzi dell’esposizione. E c’è da invidiare l’anonimo possessore.
Enrico Coleman, figlio del più noto Charles, si sofferma infine sui butteri e i bonificatori, i lavoratori della campagna, a voler ricostruire quell’epopea classica che unisce Turno, il pater Enea e i padri della repubblica romana.
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