Laurie Anderson. The record of time

Laurie Anderson in mostra a Milano
 

25/11/2003

Musicista, performer, scultrice, filmaker: Laurie Anderson (Chicago, 1947), un’artista a 360 gradi, alla quale il PAC di Milano dedica l’importante retrospettiva curata da Jean-Hubert Martin e Thierry Raspail, visitabile sino al 15 Febbraio 2004. Laurie Anderson esordisce come scultrice con opere di carta di giornale e resine, passa alla performance e poi alla musica. Vive la New York feconda degli anni ’70, dove all’ordine del giorno sono la ricerca intensa e costante di nuove forme espressive, di nuovi approcci alla creazione artistica, così come alla vita e al lavoro. In quegli anni condivide esperienze con Philippe Glass, Trisha Brown, Gene Highstein, Gordon Matta Clark. Dall’ambiente dell’avanguardia newyorkese allarga poi il suo raggio d’azione verso contesti più ampi, stabilendo numerosi contatti con la cultura popolare, soprattutto grazie ai successi discografici (O Superman del 1980 è un celebre esempio), alle performance su grande scala, agli spettacoli teatrali, alle collaborazioni con scrittori come William Burroughs, registi come Wim Wenders, musicisti come Peter Gabriel, Brian Eno e Lou Reed. Imponenti e ambiziose anche le “opere liriche elettroniche”, come lei stessa le definisce. Maestra nell’arte del reinventarsi costantemente, Laurie Anderson confessa, nel corso dell’affollata conferenza stampa di presentazione dell’evento espositivo milanese, di essere molto legata all’Italia: non solo perché qui ha già presentato in passato le proprie sperimentazioni (si ricorda la mostra presso la Fondazione Prada, la prima performance Genovese, i numerosi concerti e spettacoli teatrali), ma anche per la straordinaria commistione di arte e vita, a suo avviso, peculiare della nostra cultura. Fra gli aspetti che più le interessano, e ai quali dà rilievo in questa occasione, c’è senza dubbio l’attenzione al modo in cui ascoltiamo. La mostra (con opere che dalle prime creazioni degli anni 70 arrivano alle recenti installazioni) si configura infatti principalmente come percorso sonoro da sperimentare con il corpo, con tutto il corpo, come nel caso di Handphone Table (1978), un tavolo-strumento che permette allo spettatore di percepire sonorità attraverso le braccia. Invitato ad osservare, a sfogliare le pagine di un diario, a selezionare brani da un jukebox, a spostarsi di fronte ad una micro-telecamera posta sull’archetto di un violino, a ricercare una dimensione intima e contemplativa in un ambiente buio e pervaso dal suono, il visitatore è chiamato direttamente in causa, con l’intento di sollecitare una sua differente percezione dell’opera d’arte. In scena ci sono dunque le voci, i rumori, gli strumenti ai quali Laurie Anderson è molto legata, primo fra tutti il violino. Sottoposto a modifiche e riadattato attraverso l’uso della tecnologia, diviene un lettore di nastro registrato, un violino al neon o un violino digitale. A guidare attraverso gli spazi del PAC, c’è poi la parola: scritta con un intento quasi didascalico ad accompagnare i progetti, dipinta su grande parete con la rapidità del gesto o recitata con insistenza da un pappagallo. La sua arte, in parte meno politicizzata rispetto agli interventi del passato, riflette sul concetto di tempo, di vita, di identità. Con un atteggiamento talvolta ironico - quando parla della sua recente esperienza di artist in residence alla Nasa confessa di essere un vero incubo per gli scienziati del centro - la Anderson si serve della tecnologia cercando però di resistere allo spettacolo del grande show multimediale. ”Preferisco raccontare una storia con poca tecnologia” sottolinea. LAURIE ANDERSON. The Record of the Time - Le opere sonore di Laurie Anderson Fino al 15 Febbraio 2004 PAC Padiglione Arte Contemporanea Via Palestro, 14 - 20121 Milano Info 02 760 090 85