Paula Kamps. Transit Papers / Aftermath of an Ideal's Removal
Dal 21 Aprile 2018 al 31 Maggio 2018
Napoli
Luogo: Spazio NEA
Indirizzo: via Costantinopoli 53
Orari: lunedì - domenica 9.00 - 2.00 am
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 081 18705839
E-Mail info: info@spazionea.it
Sito ufficiale: http://www.spazionea.it
Sabato 21 aprile alle ore 12 Spazio NEA, in collaborazione con Dino Morra, inaugura “Transit Papers – Aftermath of an Ideal's Removal”, personale di Paula Kamps.
La prima mostra napoletana della giovane artista di Colonia sarà visitabile fino al 31 maggio.
Scrive Valentina Apicerni: «In questa epoca della post-verità in cui si dice che i “fatti oggettivi” siano meno influenti nel formare l'opinione pubblica e la personale e spesso (in)coerente posizione sociopolitica, rispetto ai richiami di sensazioni ed emozioni, non si può parlare di semplice falsificazione, ma del dirottamento delle percezioni verso l’esperienziale, dal marketing all’educazione, passando dagli stili e le esigenze che diventano sempre di più individualizzate.
Pur se il termine è emerso in relazione alla cultura politica e propagandistica, con il conseguente techlash a cui stiamo assistendo, si può forse affermare che le pratiche artistiche hanno quasi sempre viaggiato “oltre” la verità verificabile e oggettivabile, e che gravitando su questa frequenza si inseriscono agilmente, più che in altri periodi, nell’attuale contesto storico culturale.
La risonanza tra forme e colori è già di per sé l’incorporazione di un’ideale o di un virtuale, così come mi scrive Paula Kamps: «spesso il mio processo inizia con il dividere la superficie del supporto creando campi di colore, la cui composizione porterà alla resa finale. Lavorare con forme e campi di colori consente a qualcosa di “diventare” visibile o meno.
È questo ad affascinarmi».
In Transit Papers, la serie di lavori presentati, che non esauriscono la sua ricerca e produzione artistica, ma che ne costituiscono una variante, combinano l’uso di serigrafia, inchiostro ed acquerello, quest’ultimi scelti poiché accomunati dalla loro proprietà, tramite diluizione, della trasparenza.
Nonostante le numerose sovrapposizioni che si possono realizzare con questa tecnica, la capacità di nascondere o coprire è limitata, e le immagini restano in una continua ambivalenza tra i piani di profondità. I segni e le figure si compenetrano, “l’errore” non è cancellabile, la prospettiva è apparente.
L’effetto della luminosità non è infatti ottenuto attraverso la stratificazione di piani di colore, ma risulta dal colore stesso che si deposita sulla carta, lasciando la traccia di qualcosa che viene evocato ma mai completamente circoscritto: «la luce è la condizione del visibile, e provare a ricrearne l’illusione funziona davvero bene con i colori ad acqua che derivano principalmente dall’immaginazione».
Non è una casualità che i colori ad acqua abbiano da sempre affascinato e siano stati scelti come medium privilegiato da molte ricerche sul sacro, per trasportare su un supporto fisico le orme di una dimensione interiore o invisibile.
Dal tempo dell’epoca Vittoriana con figure come la Houghton, passando per Steiner che reinterpreta la teoria dei colori di Goethe ed artisti come Kandinsky, fino a Morandi che verso la fine della sua vita abbandonò quasi completamente la pittura dedicandosi ai disegni ad acquerello su carta, che gli consentirono di ritrovare finalmente l’equilibro da lui sempre ricercato tra l’incompiutezza visiva delle impressioni e la precisione dei linguaggi formali, attraverso, ancora una volta, la trasparenza.
«Tutto ciò che percepiamo diviene parte della nostra realtà, quindi oggetto di riflessione, emotiva o intellettuale.
Muoversi tra la razionalizzazione delle emozioni, e all’altra estremità essere sopraffatti da esse è dove colloco il mio lavoro, l’oscillazione dove voglio portare lo spettatore, risvegliando in lui/lei una situazione […] Le informazioni visive che i nostri occhi consegnano al cervello sono in realtà bidimensionali, e solo i processi neuronali aggiungono la terza dimensione, che sperimentiamo con i sensi diversi dalla vista».
L’immaginazione attiva non è mai un'evasione dalla realtà ma un esercizio di traduzione, la rappresentazione del confronto dialettico e indotto tra coscienza ed inconscio, espresso nelle sue forme paradossali di sintesi, un riflesso di significati e valori.
A differenza del fantasticare che presuppone contrariamente finzione e atteggiamento passivo, con Elémire Zolla.
Un lessico simbolico, che si appropria di elementi intuitivamente riconoscibili nella cultura occidentale (chiavi, clessidre, mani) estratti dalla memoria collettiva o dall’iconografia tradizionale delle opere e delle illustrazioni antiche.
Questi simboli entrano in relazione diretta con qualsiasi osservatore, ma richiedono anche lo sforzo di assimilarli e completarli, poiché sono immagini in potenza.
“Le immagini potenziali che - come sostiene Gamboni - giocano sull'intercambiabilità delle posizioni tra artista e spettatore, corrispondono all'ideale democratico nell'ordine politico”.
Così, se da un lato siamo stati obbligati a ripensare alla creatività artistica in rapporto a tecniche esoterico-spirituali, dall’altro bisogna provare a comprendere le incidenze e il senso che essa acquisisce oggi, essendo questo il lavoro di un artista contemporanea, che vive nella nostra attualità e in quella dell’Europa, fatta anche di esodi, muraglie e frontiere di filo spinato, la fittizia ascesa della classe creativa e quella reale dei partiti nazionalisti.
Un’attualità in cui i confini delle carte geografiche scompaiono, e i documenti di transito aumentano.
La conseguente rimozione degli ideali, non è però un processo irreversibile, ma bisogna chiedersi se siamo ancora capaci o abbiamo il coraggio di avere una visione di riscatto per il futuro, o se come scrisse Hesse, che nel suo di percorso disegnò più di tremila acquerelli: “nei periodi di grandi traversie ci si accorge con stupore che sono di più le persone capaci di morire per degli ideali che quelle disposte a vivere per essi”».
Paula Kamps (Colonia, 1990) è una giovane artista la cui ricerca e pratica spazia dalla pittura, alla serigrafia, alla scrittura. Dopo aver studiato filosofia presso la Freie Universität Berlin, si laurea alla Kunstakademie Düsseldorf con Elizabeth Peyton e consegue il master con Tomma Abts. Le sue ultime esposizioni collettive includono: Topophobophilia, Gallery 46, Londra 2016; Quando il paesaggio è in ascolto, Cappella dell’Incoronazione, Palermo, 2015; Imagine, Newcastle Space, Londra, 2015; Painting of Today, ArtSpace RheinMain, Offenbach, 2013.
Tra le personali, ricordiamo: My Vain Plane, Kunsthaus, Mettmann, 2014; Gone Home, Lille Carl, Copenhagen, 2012. Nel 2016 partecipa al programma di residenza presso il LESP workshop di New York. Vive e lavora a Berlino.
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