Dal 17 dicembre al 3 maggio Roma ricorda il grande regista

Al Museo dell'Ara Pacis c'era una volta Sergio Leone

Una scena con Deborah in C’era una volta in America di Sergio Leone
 

Samantha De Martin

17/12/2019

Roma - Il trillo del telefono che attiva i ricordi di Noodles, il ticchettio della macchina da scrivere, le fotografie della scalinata di viale Glorioso, teatro delle giovanili scorribande del trasteverino, classe 1929, che riuscì a unire Stalin, Churchill e Roy Lichtenstein a Goya, Degas e de Chirico per riscrivere la storia del cinema e dettare le nuove regole del western.
A 90 anni dalla nascita, e a trenta dalla morte di Sergio Leone, l’Ara Pacis dedica al regista romano una mostra ricca e ben costruita, catapultando il visitatore in un autentico set che celebra la rivoluzione del genio che, da Per un pugno di dollari a C’era una volta in America, ha scritto alcune delle pagine più indelebili della storia del cinema mondiale.
C’è un’arte straordinaria racchiusa nei successi della settima arte firmata Leone. Ed è tutta raccolta nell’amore per l’architettura e l’arte figurativa del regista, che ritroviamo nella costruzione delle scenografie e delle inquadrature, dai campi lunghi dei paesaggi metafisici suggeriti da de Chirico all’esplicita citazione dell’opera Love di Robert Indiana, simbolo, in C’era una volta in America, di un salto inequivocabile in un’epoca che cambia.
E se l’onirismo di Piazza d’Italia di Giorgio de Chirico riecheggia nella prima e nell’ultima scena di Per un pugno di dollari, il Don Quichotte et la mule morte di Daumier e Il 3 maggio 1808 di Goya si fanno sentire rispettivamente in Il buono, il brutto e il cattivo, e Giù la testa.
D’altronde Leone conosceva bene il mondo dell’arte, avendo iniziato a collezionare dipinti dopo aver ereditato da Mario Bonnard, nel 1965, alcune opere d’arte italiana e raccogliendo nella sua collezione nomi come Sironi, Sughi, Mafai.
Una parte della mostra allestita all’Ara Pacis è dedicata alle stampe all’acquaforte de I disastri della guerra di Goya, della collezione Famiglia Leone, ma anche ai libri provenienti dalla biblioteca personale de regista.

Il percorso espositivo - curato dal direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini - ripercorre l’ universo sconfinato di Sergio Leone, che affonda le radici nella sua stessa tradizione familiare. Il padre, regista nell’epoca d’oro del muto italiano, sceglierà lo pseudonimo di Roberto Roberti, e a lui Sergio strizzerà l’occhio firmando a sua volta Per un pugno di dollari con lo pseudonimo anglofono di Bob Robertson. Nel suo intenso percorso artistico Leone attraversa il peplum (filone cinematografico storico-mitologico), riscrive il western e trova il suo culmine in C’era una volta in America. A questo, che costituisce il progetto di una vita, sarebbe seguito un altro film di proporzioni grandiose, dedicato alla battaglia di Leningrado, del quale rimangono tuttavia solo poche pagine scritte prima della sua scomparsa.

Grazie ai preziosi materiali d’archivio della famiglia Leone e di Unidis Jolly Film, i visitatori entrano nello studio di Sergio, tra i cimeli personali e la sua libreria, per poi immergersi nei suoi film attraverso modellini, scenografie, bozzetti, costumi - come quello indossato da Claudia Cardinale in C’era una volta il West - o curiosare tra oggetti di scena, sequenze indimenticabili e una costellazione di suggestive fotografie di Angelo Novi, il maestro del set che ha seguito l’intero lavoro di Sergio Leone a partire da C’era una volta il West.

In questo viaggio alla scoperta del regista che per primo introdusse la Pop Art sul grande schermo aprendo le porte del cinema moderno si incontra il bellissimo il pianoforte di casa Leone suonato dal maestro Ennio Morricone, compagno di banco del regista, e del quale troviamo in mostra la partitura originale di “L’uomo dell’armonica”, brano composto per la colonna sonora di C’era una volta il West.

Vere e proprie opere d’arte sono anche i bozzetti degli oggetti di scena e delle scenografie, come quelli di Carlo Simi, mentre da non perdere, l’impermeabile indossato da James Wood in C’era una volta in America, il completo di Robert De Niro o ancora la medaglietta in argento regalata da De Niro a Carlo Simi.

«È veramente una mostra che racconta mio padre - spiega Raffaella Leone - l’uomo, il regista, il cineasta. Questo percorso è un tuffo nel passato, un modo diverso di raccontare il lavoro di mio padre, ma anche cosa ha lasciato nel tempo».
Nonostante la mostra arrivi in Italia dopo il successo dello scorso anno realizzato alla Cinémathèque Française con ben 60mila presenze, quello allestito nella capitale è un percorso nuovo.
«Oltre ad avere 300 metri quadri in più a disposizione - spiega il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, che ha anche curato la mostra in collaborazione con Rosaria Gioia e Antonio Bigini - l’esposizione all’Ara Pacis considera anche gli “atti d’amore” di quanti, da Carlo Verdone a Tarantino e Stephen King, hanno voluto citare Leone. Perché un genio inventa strade che poi un altro genio trasforma».
Nel percorso c’è infine spazio anche per la cultura di massa - dai Simpson a Topolino, dai videogiochi alle serie tv - che, in ogni parte del mondo, hanno preso qualcosa in prestito dal regista romano creatore di un nuovo tempo fondato sulla dilatazione, con i suoni, il parlato ridotto ai minimi termini, i dialoghi memorabili.

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