La scoperta
A Roma riaffiora un tratto dell' acquedotto repubblicano: ha 2300 anni
Courtesy of Soprintendenza per il Colosseo e l'area archeologica centrale di Roma |
Un tratto dell'antico acquedotto sotto Piazza Celimontana
Samantha De Martin
05/04/2017
Roma - Uno nuovo straordinario dono della storia, vecchio 2300 anni, affiora dalle viscere di Roma. Potrebbero appartenere a un tratto dell'Aqua Appia, l'acquedotto più antico della città, risalente al 312 a.C., i resti rinvenuti sotto piazza Celimontana durante gli scavi per la realizzazione della linea C della metropolitana. A rendere ancora più strordinaria questa scoperta è stato il rinvenimento, poco più in basso, di una tomba risalente all'età del ferro con tanto di corredo funerario.
Ad effettuare la scoperta, resa nota solo in questi giorni, ma avvenuta a fine 2016, sono stati gli archeologi della soprintendenza che da due anni conducono lo scavo all'interno di un pozzo d'areazione sul lato nord orientale della piazza.
«Le indagini archeologiche - spiega Simona Morretta, responsabile scientifico dell'area del Celio per la soprintendenza, che ha condotto gli scavi con Paola Palazzo della Cooperativa Archeologia - sono state effettuate sotto la responsabilità scientifica della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'area archeologica centrale. Lo scavo si è attestato sul terreno geologico ad una profondità media di 17-18 metri dall'attuale piano di calpestio, quota mai raggiunta nei saggi di scavo precedentemente eseguiti in Piazza Celimontana».
E infatti il tratto di acquedotto, alto circa due metri e lungo 32 - composto di blocchi parallelepipedi di tufo granulare grigio disposti in cinque filari sovrapposti – si trova a una profondità di circa 17 metri.
«Il piano di scorrimento interno - continua Simona Morretta - è costituito da uno spesso strato di cocciopesto, in perfetto stato di conservazione, che presenta una leggerissima pendenza da est a ovest. La totale assenza di tracce di calcare all'interno dello speco farebbe supporre che il suo utilizzo nel tempo sia stato limitato o che l’abbandono della struttura sia di poco posteriore ad un intervento di manutenzione».
L’acqua veniva distribuita attraverso una tubazione in piombo (fistula aquaria), collegata all’acquedotto da una canaletta e un pozzetto di decantazione.
Sebbene la costruzione dell'acquedotto si possa inquadrare in un periodo di poco precedente la metà del III secolo a.C. - cronologia che rimanaderebbe all' Anio Vetus, l'unico noto di quest'epoca - Frontino, la fonte principale per gli acquedotti di Roma antica, fornisce dei motivi che smonterebbero questa attribuzione. L'Anio Vetus, secondo l'antico scrittore, non passerebbe infatti per il Celio, area nella quale è stato invece effettuato il ritrovamento. Ed è per questo che risulta più verosimile una possibile attribuzione all'Aqua Appia che certamente attraversava questo quartiere ad una notevole profondità.
Al momento l'acquedotto è stato smontato per essere riallestito e presto “consegnato” al pubblico, in una sede ancora da individuare.
Ad effettuare la scoperta, resa nota solo in questi giorni, ma avvenuta a fine 2016, sono stati gli archeologi della soprintendenza che da due anni conducono lo scavo all'interno di un pozzo d'areazione sul lato nord orientale della piazza.
«Le indagini archeologiche - spiega Simona Morretta, responsabile scientifico dell'area del Celio per la soprintendenza, che ha condotto gli scavi con Paola Palazzo della Cooperativa Archeologia - sono state effettuate sotto la responsabilità scientifica della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'area archeologica centrale. Lo scavo si è attestato sul terreno geologico ad una profondità media di 17-18 metri dall'attuale piano di calpestio, quota mai raggiunta nei saggi di scavo precedentemente eseguiti in Piazza Celimontana».
E infatti il tratto di acquedotto, alto circa due metri e lungo 32 - composto di blocchi parallelepipedi di tufo granulare grigio disposti in cinque filari sovrapposti – si trova a una profondità di circa 17 metri.
«Il piano di scorrimento interno - continua Simona Morretta - è costituito da uno spesso strato di cocciopesto, in perfetto stato di conservazione, che presenta una leggerissima pendenza da est a ovest. La totale assenza di tracce di calcare all'interno dello speco farebbe supporre che il suo utilizzo nel tempo sia stato limitato o che l’abbandono della struttura sia di poco posteriore ad un intervento di manutenzione».
L’acqua veniva distribuita attraverso una tubazione in piombo (fistula aquaria), collegata all’acquedotto da una canaletta e un pozzetto di decantazione.
Sebbene la costruzione dell'acquedotto si possa inquadrare in un periodo di poco precedente la metà del III secolo a.C. - cronologia che rimanaderebbe all' Anio Vetus, l'unico noto di quest'epoca - Frontino, la fonte principale per gli acquedotti di Roma antica, fornisce dei motivi che smonterebbero questa attribuzione. L'Anio Vetus, secondo l'antico scrittore, non passerebbe infatti per il Celio, area nella quale è stato invece effettuato il ritrovamento. Ed è per questo che risulta più verosimile una possibile attribuzione all'Aqua Appia che certamente attraversava questo quartiere ad una notevole profondità.
Al momento l'acquedotto è stato smontato per essere riallestito e presto “consegnato” al pubblico, in una sede ancora da individuare.
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