Dagli egizi alla Pop Art, una storia da riscoprire
L’uovo e l’arte. Un amore a sorpresa
Natura morta con uova uccelli e stoviglie di bronzo, Prima del 79 d.C., Affresco proveniente da Pompei, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Francesca Grego
07/04/2020
Chi l’avrebbe mai detto? L’uovo e l’arte sono parenti stretti. Fino all’invenzione dei colori a olio, infatti, i pittori bizantini ed europei mescolavano alla tempera la chiara d’uovo, ottenendo pigmenti in grado di resistere al tempo. Ma l’uovo è anche un simbolo di vita e di rinascita presente nelle più svariate culture. E così le sue espressioni artistiche si scoprono sorprendentemente vicine alla tradizione delle uova di Pasqua con cui ogni anno salutiamo l’arrivo della primavera.
Montu adorato dal faraone Tolomeo IV, 222-204 a.C., Rilievo nel Tempio Sede della Verità di Deir el-Medina
Sono molte le sorprese che ci aspettano approfondendo la storia dei rapporti tra l’uovo e i prodotti della creatività umana. Dalle uova decorate presso i Fenici a quelle “da divorare” di Piero Manzoni, dalle Maddalene medievali con in mano un uovo scarlatto alle performance contemporanee Milo Moiré, un filo tutt’altro che invisibile corre per tutta la storia dell’arte invitandoci a rileggerla nel segno dell’uovo.
Segna di Bonaventura, Maria Maddalena, Prima metà del XIV secolo, Colore su tavola, 44.2 x 29.1 cm, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek
Leonardo da Vinci, Pieter Bruegel, Diego Velàsquez, Dante Gabriel Rossetti, Salvador Dalì, Andy Warhol sono solo alcuni dei grandi artisti che se ne sono lasciati ispirare.
Dante Gabriel Rossetti, Mary Magdalene, 1887, Olio su tela, 77.9 x 66,3 cm, Wilmington, Delaware Art Museum
Il sacro, il mito e il mistero: l’uovo nel Rinascimento
Già gli antichi greci ci hanno lasciato splendidi vasi dipinti di forma ovale, mentre il simbolismo dell’uovo come simbolo di resurrezione e origine del cosmo ricorre nell’arte funeraria dagli egizi agli etruschi. Ma la stagione d'oro dell’uovo è il Rinascimento, quando l’immaginario cristiano si lega ai misteri alchemici e neoplatonici, per disseminarsi silenziosamente in mille capolavori. L’esempio più noto? La Pala di Brera di Piero della Francesca, dove un uovo di struzzo sospeso sul capo della Madonna richiama al contempo la rinascita del casato dei Montefeltro e l’ideale di perfezione matematica tipico di quegli anni. è questo il motivo per cui, secondo Giorgio Vasari, anche Filippo Brunelleschi si lasciò ispirare dalla forma dell’uovo quando progettò la Cupola di Santa Maria del Fiore.
Piero della Francesca, Pala di Brera o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), Dettaglio, 1472-1474, Tempera e olio su tavola, 251 x 173 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Il fascino dell’uovo non lasciò in pace nemmeno Leonardo, che nel disegno preparatorio per il dipinto di Leda e il Cigno ci lascia intravedere le uova dischiuse da cui nacquero quattro gemelli destinati fare storia: i Dioscuri Castore e Polluce, Elena, futura regina di Troia, e Clitennestra, la terribile sposa di Agamennone. Perfino nel solenne rito della Presentazione della Vergine al Tempio di Tiziano, una vecchia con un cesto di uova appare nei pressi della giovane Maria: presagio di una nascita che cambierà il mondo.
Hieronymus Bosch, Concerto dentro un uovo, 1561 circa, Olio su tavola, 108.5 x 126.5 cm, Palais des Beaux-Arts de Lille
Impossibile, a proposito di uova, dimenticare le incredibili visioni di Hieronymus Bosch: gusci rotti, vuoti o bucati da cui fuoriescono gambe umane sono un motivo ricorrente nell’opera dell’artista fiammingo, che dalle Tentazioni di Sant’Antonio al Trittico del Giardino delle Delizie ne declina i simbolismi in modo ogni volta diverso. Ma c’è un dipinto dove il guscio è davvero protagonista: è il Concerto nell’uovo, giunto fino a noi attraverso una copia ben riuscita del XVI secolo. Qui un gruppo di personaggi decisamente pittoreschi fa musica all’interno di quello che appare come un “uovo filosofale”, usato dagli alchimisti per la trasmutazione della materia.
In modo più semplice e immediato, la Danza dell’uovo di Pieter Brueghel il Giovane dà il benvenuto alla primavera in una sagra popolare: riuscirà la contadina in grembiule a calciare l’uovo nella ciotola senza romperlo?
Pieter Brueghel il Giovane, La Danza delle uova, 1620 circa
Nature morte da leccarsi i baffi
Anche il gusto vuole la sua parte. Nella Merenda con uova fritte il pittore tedesco Georg Flegel ci consegna una composizione che spicca per qualità, inventiva e gusto per i dettagli. Sembra un invito a tavola in piena regola: vien voglia di tagliare una fetta di pane da intingere nel tuorlo cremoso. Pochi anni dopo Diego Velàsquez ci porterà nella cucina di una vera esperta: nel 1618 la Vecchia friggitrice di uova ci mostra il valore del quotidiano nella nuova pittura del maestro spagnolo. Mettendo al bando ogni simbolismo, la realtà dei sensi si impone al punto che quasi sentiamo il profumo delle uova appena cotte.
Due secoli dopo anche Paul Cézanne cederà ai piaceri della semplicità: la sua Natura morta con pane e uova comunica un gusto rustico e corposo, anticipazione delle rivoluzionarie ricerche sui volumi e sulle forme che il pittore è prossimo a intraprendere. E siamo ormai in piena era industriale quando Georges Braque dipinge le sue Uova sulla stufa (1941): un tegamino messo a scaldare sulla ghisa bollente ci parla dei pasti veloci e frugali consumati in tempo di guerra, ma anche di stili di vita urbani che si affacciano per la prima volta sulla scena dell’arte.
Tra forma e archetipo. L’uovo nell’Arte Moderna
Due cose hanno decretato la fortuna dell’uovo tra gli artefici del Modernismo: l’essenzialità formale e la potenza dei suoi significati simbolici. Elementi che troviamo riuniti, per esempio, nella scultura di Costantin Brancusi, che creò uova di pietra, legno e oro lucidissimo, prediligendo anche in altre opere la forma ovoidale. Per Brancusi l’uovo evoca la nascita di una nuova vita, ma anche l’energia creativa propria di ogni artista. Pure Man Ray fu affascinato dalle potenzialità formali insite nell’uovo: le esplorò in innovative composizioni fotografiche in bianco e nero e nei celebri rayogrammi, impressioni prodotte dalla luce attraverso il contatto diretto degli oggetti con la pellicola.
René Magritte, Le domaine d’Arnheim, 1962, Olio su tela, Inv. 10707, MRBAB, Bruxelles | Foto: J. Geleyns / Ro scan | © Ch. Herscovici, avec son aimable autorisation c/o SABAM Belgium
Se Giorgio De Chirico non mancò di inserire dei gusci ovoidali nei suoi enigmi metafisici, sono numerosi i quadri di René Magritte in cui l’uovo racchiude un segreto, l’attesa di un divenire, in un ricorso al simbolo tipico dei Surrealisti. Ma nella prima metà del Novecento la palma di artista più ovofilo spetta certamente a Salvador Dalì: dalle gigantesche sculture che campeggiano sulle mura del Teatro-Museo di Figueres a tele come Aurora o Metamorfosi di Narciso, le uova rappresentano quasi un’ossessione per l’istrionico pittore catalano, che siano intere, incrinate e pronte a schiudersi o già impiattate e fumanti.
Museo Dalí, Figueres | Foto: LoggaWiggler via Pixabay
Uovo pop o concettuale? Da Andy Warhol a Milo Moiré
“Per me significano l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla”, disse una volta Lucio Fontana a proposito delle sue tele forate e coloratissime, immancabilmente di forma ovoidale. Dove gli antichi avevano visto ardere la fiamma divina, il geniale italo-argentino riconobbe la Fine di Dio, titolando di conseguenza.
Il 21 luglio del 1960, in tempi di arte concettuale, Piero Manzoni cercò un momento di comunione fisica con gli spettatori. Come? Distribuendo al pubblico della Galleria Azimut di Milano uova sode contrassegnate con la propria impronta digitale, da consumare seduta stante. A confronto appare quasi tradizionalista la scelta di Andy Warhol, che nelle sue polaroid declinò le uova in versione grafica e a colori vivaci su fondo nero.
Ma il vero ovo-pop arriva alla soglia del nuovo millennio con le gigantesche Cracked Eggs di Jeff Koons, dove un caleidoscopio di riflessi rimbalza su superfici specchianti blu, gialle, argento e magenta. Nel 2014, infine, l’artista svizzera Milo Moiré presenta alla Fiera internazionale dell’arte di Colonia una singolare performance pittorica: in piedi su un cavalletto, lascia cadere dalla propria vagina uova contenenti colori acrilici. La tela viene poi piegata in due producendo una macchia che evoca la forma dell’utero. Et voilà, l’opera è servita.
Alle origini dell’uovo con sorpresa
Anche il vero uovo di Pasqua ha origini artistiche. L’idea dell’uovo con sorpresa venne per la prima volta all’orafo Peter Carl Fabergé, incaricato dallo zar Alessandro III di Russia di creare un dono per la moglie Maria Fedorovna in occasione della Pasqua del 1885. Il primo uovo Fabergé era composto d’oro massiccio e rivestito all’esterno di smalto bianco per apparire realistico. Conteneva una gallina d’oro, che a sua volta aveva nella coda una piccola corona con diamanti imperiali e un pendente di rubino. La sorpresa deliziò talmente tanto la zarina che l’imperatore di tutte le Russie ordinò a Fabergé un uovo per ogni Pasqua. Nacquero così 65 esemplari unici coperti di gemme e decori. Diventata una tradizione familiare, quella dell’uovo imperiale andò avanti fino alla Rivoluzione del 1917, quando lo zar Nicola II fu deposto dai bolscevichi. La Casa Fabergé venne nazionalizzata e l’orafo si rifugiò in Svizzera in preda allo shock. Delle sue uova sopravvivono 57 esemplari dal valore milionario: nove di questi sono esposti al Museo Fabergé aperto a San Pietroburgo nel 2016.
Gatchina Palace Egg, Mikhail Perkhin (1860 - 1903) da Fabergé', 1901, Baltimora Walters Art Museum
Montu adorato dal faraone Tolomeo IV, 222-204 a.C., Rilievo nel Tempio Sede della Verità di Deir el-Medina
Sono molte le sorprese che ci aspettano approfondendo la storia dei rapporti tra l’uovo e i prodotti della creatività umana. Dalle uova decorate presso i Fenici a quelle “da divorare” di Piero Manzoni, dalle Maddalene medievali con in mano un uovo scarlatto alle performance contemporanee Milo Moiré, un filo tutt’altro che invisibile corre per tutta la storia dell’arte invitandoci a rileggerla nel segno dell’uovo.
Segna di Bonaventura, Maria Maddalena, Prima metà del XIV secolo, Colore su tavola, 44.2 x 29.1 cm, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek
Leonardo da Vinci, Pieter Bruegel, Diego Velàsquez, Dante Gabriel Rossetti, Salvador Dalì, Andy Warhol sono solo alcuni dei grandi artisti che se ne sono lasciati ispirare.
Dante Gabriel Rossetti, Mary Magdalene, 1887, Olio su tela, 77.9 x 66,3 cm, Wilmington, Delaware Art Museum
Il sacro, il mito e il mistero: l’uovo nel Rinascimento
Già gli antichi greci ci hanno lasciato splendidi vasi dipinti di forma ovale, mentre il simbolismo dell’uovo come simbolo di resurrezione e origine del cosmo ricorre nell’arte funeraria dagli egizi agli etruschi. Ma la stagione d'oro dell’uovo è il Rinascimento, quando l’immaginario cristiano si lega ai misteri alchemici e neoplatonici, per disseminarsi silenziosamente in mille capolavori. L’esempio più noto? La Pala di Brera di Piero della Francesca, dove un uovo di struzzo sospeso sul capo della Madonna richiama al contempo la rinascita del casato dei Montefeltro e l’ideale di perfezione matematica tipico di quegli anni. è questo il motivo per cui, secondo Giorgio Vasari, anche Filippo Brunelleschi si lasciò ispirare dalla forma dell’uovo quando progettò la Cupola di Santa Maria del Fiore.
Piero della Francesca, Pala di Brera o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro), Dettaglio, 1472-1474, Tempera e olio su tavola, 251 x 173 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Il fascino dell’uovo non lasciò in pace nemmeno Leonardo, che nel disegno preparatorio per il dipinto di Leda e il Cigno ci lascia intravedere le uova dischiuse da cui nacquero quattro gemelli destinati fare storia: i Dioscuri Castore e Polluce, Elena, futura regina di Troia, e Clitennestra, la terribile sposa di Agamennone. Perfino nel solenne rito della Presentazione della Vergine al Tempio di Tiziano, una vecchia con un cesto di uova appare nei pressi della giovane Maria: presagio di una nascita che cambierà il mondo.
Hieronymus Bosch, Concerto dentro un uovo, 1561 circa, Olio su tavola, 108.5 x 126.5 cm, Palais des Beaux-Arts de Lille
Impossibile, a proposito di uova, dimenticare le incredibili visioni di Hieronymus Bosch: gusci rotti, vuoti o bucati da cui fuoriescono gambe umane sono un motivo ricorrente nell’opera dell’artista fiammingo, che dalle Tentazioni di Sant’Antonio al Trittico del Giardino delle Delizie ne declina i simbolismi in modo ogni volta diverso. Ma c’è un dipinto dove il guscio è davvero protagonista: è il Concerto nell’uovo, giunto fino a noi attraverso una copia ben riuscita del XVI secolo. Qui un gruppo di personaggi decisamente pittoreschi fa musica all’interno di quello che appare come un “uovo filosofale”, usato dagli alchimisti per la trasmutazione della materia.
In modo più semplice e immediato, la Danza dell’uovo di Pieter Brueghel il Giovane dà il benvenuto alla primavera in una sagra popolare: riuscirà la contadina in grembiule a calciare l’uovo nella ciotola senza romperlo?
Pieter Brueghel il Giovane, La Danza delle uova, 1620 circa
Nature morte da leccarsi i baffi
Anche il gusto vuole la sua parte. Nella Merenda con uova fritte il pittore tedesco Georg Flegel ci consegna una composizione che spicca per qualità, inventiva e gusto per i dettagli. Sembra un invito a tavola in piena regola: vien voglia di tagliare una fetta di pane da intingere nel tuorlo cremoso. Pochi anni dopo Diego Velàsquez ci porterà nella cucina di una vera esperta: nel 1618 la Vecchia friggitrice di uova ci mostra il valore del quotidiano nella nuova pittura del maestro spagnolo. Mettendo al bando ogni simbolismo, la realtà dei sensi si impone al punto che quasi sentiamo il profumo delle uova appena cotte.
Due secoli dopo anche Paul Cézanne cederà ai piaceri della semplicità: la sua Natura morta con pane e uova comunica un gusto rustico e corposo, anticipazione delle rivoluzionarie ricerche sui volumi e sulle forme che il pittore è prossimo a intraprendere. E siamo ormai in piena era industriale quando Georges Braque dipinge le sue Uova sulla stufa (1941): un tegamino messo a scaldare sulla ghisa bollente ci parla dei pasti veloci e frugali consumati in tempo di guerra, ma anche di stili di vita urbani che si affacciano per la prima volta sulla scena dell’arte.
Tra forma e archetipo. L’uovo nell’Arte Moderna
Due cose hanno decretato la fortuna dell’uovo tra gli artefici del Modernismo: l’essenzialità formale e la potenza dei suoi significati simbolici. Elementi che troviamo riuniti, per esempio, nella scultura di Costantin Brancusi, che creò uova di pietra, legno e oro lucidissimo, prediligendo anche in altre opere la forma ovoidale. Per Brancusi l’uovo evoca la nascita di una nuova vita, ma anche l’energia creativa propria di ogni artista. Pure Man Ray fu affascinato dalle potenzialità formali insite nell’uovo: le esplorò in innovative composizioni fotografiche in bianco e nero e nei celebri rayogrammi, impressioni prodotte dalla luce attraverso il contatto diretto degli oggetti con la pellicola.
René Magritte, Le domaine d’Arnheim, 1962, Olio su tela, Inv. 10707, MRBAB, Bruxelles | Foto: J. Geleyns / Ro scan | © Ch. Herscovici, avec son aimable autorisation c/o SABAM Belgium
Se Giorgio De Chirico non mancò di inserire dei gusci ovoidali nei suoi enigmi metafisici, sono numerosi i quadri di René Magritte in cui l’uovo racchiude un segreto, l’attesa di un divenire, in un ricorso al simbolo tipico dei Surrealisti. Ma nella prima metà del Novecento la palma di artista più ovofilo spetta certamente a Salvador Dalì: dalle gigantesche sculture che campeggiano sulle mura del Teatro-Museo di Figueres a tele come Aurora o Metamorfosi di Narciso, le uova rappresentano quasi un’ossessione per l’istrionico pittore catalano, che siano intere, incrinate e pronte a schiudersi o già impiattate e fumanti.
Museo Dalí, Figueres | Foto: LoggaWiggler via Pixabay
Uovo pop o concettuale? Da Andy Warhol a Milo Moiré
“Per me significano l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla”, disse una volta Lucio Fontana a proposito delle sue tele forate e coloratissime, immancabilmente di forma ovoidale. Dove gli antichi avevano visto ardere la fiamma divina, il geniale italo-argentino riconobbe la Fine di Dio, titolando di conseguenza.
Il 21 luglio del 1960, in tempi di arte concettuale, Piero Manzoni cercò un momento di comunione fisica con gli spettatori. Come? Distribuendo al pubblico della Galleria Azimut di Milano uova sode contrassegnate con la propria impronta digitale, da consumare seduta stante. A confronto appare quasi tradizionalista la scelta di Andy Warhol, che nelle sue polaroid declinò le uova in versione grafica e a colori vivaci su fondo nero.
Ma il vero ovo-pop arriva alla soglia del nuovo millennio con le gigantesche Cracked Eggs di Jeff Koons, dove un caleidoscopio di riflessi rimbalza su superfici specchianti blu, gialle, argento e magenta. Nel 2014, infine, l’artista svizzera Milo Moiré presenta alla Fiera internazionale dell’arte di Colonia una singolare performance pittorica: in piedi su un cavalletto, lascia cadere dalla propria vagina uova contenenti colori acrilici. La tela viene poi piegata in due producendo una macchia che evoca la forma dell’utero. Et voilà, l’opera è servita.
Alle origini dell’uovo con sorpresa
Anche il vero uovo di Pasqua ha origini artistiche. L’idea dell’uovo con sorpresa venne per la prima volta all’orafo Peter Carl Fabergé, incaricato dallo zar Alessandro III di Russia di creare un dono per la moglie Maria Fedorovna in occasione della Pasqua del 1885. Il primo uovo Fabergé era composto d’oro massiccio e rivestito all’esterno di smalto bianco per apparire realistico. Conteneva una gallina d’oro, che a sua volta aveva nella coda una piccola corona con diamanti imperiali e un pendente di rubino. La sorpresa deliziò talmente tanto la zarina che l’imperatore di tutte le Russie ordinò a Fabergé un uovo per ogni Pasqua. Nacquero così 65 esemplari unici coperti di gemme e decori. Diventata una tradizione familiare, quella dell’uovo imperiale andò avanti fino alla Rivoluzione del 1917, quando lo zar Nicola II fu deposto dai bolscevichi. La Casa Fabergé venne nazionalizzata e l’orafo si rifugiò in Svizzera in preda allo shock. Delle sue uova sopravvivono 57 esemplari dal valore milionario: nove di questi sono esposti al Museo Fabergé aperto a San Pietroburgo nel 2016.
Gatchina Palace Egg, Mikhail Perkhin (1860 - 1903) da Fabergé', 1901, Baltimora Walters Art Museum
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