Andrea Salvatori. Metaceramico
Dal 12 Settembre 2015 al 08 Ottobre 2015
Ravenna
Luogo: Ninapì - Nesting Art Gallery
Indirizzo: Via Giovanni Pascoli 31
Orari: Venerdì e sabato 17 - 19.30 e su appuntamento +39 347 1202754
Curatori: Chiara Fuschini
Enti promotori:
- Ninapì - Nesting Art Gallery
Telefono per informazioni: +39 054 4218342
E-Mail info: chiarafuschini@alice.it
Sito ufficiale: http://www.salvatoriandrea.it/
Ogni definizione per il lavoro di Andrea Salvatori sarebbe fortemente riduttiva. Si potrebbe forse parlare dell'anticlassicismo della Pop Art poichè le sue immagini non raccontano la realtà, sono semplicemente delle immagini. Immagini ironiche e provocatorie, in lui c'è il grande gusto della provocazione, che si prestano al gioco della molteplicità, in cui c'è sempre uno slittamento fra il vero e il falso attraverso una quantità di mediazioni culturali. La cultura visiva di Andrea, che pur conosce le regole di quelle precedenti, ci porta avanti, verso una storia di cui non si conoscono i confini.
Per chi non lo sapesse, il mondo dell’arte ha utilizzato tutto l’ultimo secolo per far entrare al suo interno tutto ciò che non ne faceva parte, tutto ciò che non era artistico o non era legato alla sua sfera. Per fare questo, per accogliere i nuovi ospiti, si è dovuto fare spazio ed eliminare tutto ciò che lo popolava fino all’avvento della rivoluzione Dada, dal concetto di artista a quello di opera, dalla definizione di capolavoro a quella di genio. Soprattutto è stato completamente eliminato il concetto di bello. È normale allora che oggi i veri eredi di questo tipo di avanguardie storiche continuino a lottare per fare in modo che tutto ciò che artistico non è continui a essere ricontestualizzato e rivitalizzato all’interno dell’arte. E tutto questo materiale dirompente e rivoluzionario oggi coincide proprio con i vecchi attributi del mondo dell’arte, in primis proprio quello di bello.
Ed è in questa prima linea di guerra dadaista che si muove Andrea Salvatori. Gli oggetti di Andrea Salvatori sono prima di tutto belli, ed è questo che li rende rivoluzionari. È magico notare come i contenuti, le tematiche, gli stili, gli oggetti, tutte le cose e i concetti che popolano il mondo dell’arte siano come i campi: ogni tanto vanno messi da parte, lasciati a maggese per fare in modo che tornino ad essere fertili, che si ricarichino di energia, e siano nuovamente in grado di produrre vita e vitalità. Forse la
genialità delle avanguardie risiede proprio in questo; non tanto nel trovare nuovi territori, quanto nel riportare alla vita campi che da tempo immemore erano abbandonati, e in cui non possono far altro che seminare semi di varietà che l’evoluzione della specie ha reso diverse da quelli che venivano utilizzati in passato.
Come spesso ho sottolineato lavorando con artisti formatisi in ambito emiliano romagnolo, anche per Andrea Salvatori non è possibile comprendere il suo lavoro senza inserirlo all’interno di una linea che parte proprio dal Dada e dal ruolo che gli oggetti quotidiani, privi di qualsiasi collegamento con il mondo dell’arte, avevano per loro. Nel suo caso non vi è solo il recupero dell’oggetto, ma soprattutto di una pratica quasi del tutto bandita dal mondo dell’arte negli anni passati come quel tipo di lavorazione della ceramica, che Andrea ha abbracciato completamente continuando a declinarla in oggetti molto vicini ai ninnoli che hanno popolato le case delle nostre vecchie zie e che ormai accompagnano i fantasmi del nostro passato come
corredo inevitabile. Le sue opere sono molto vicine a quelle cose, ma non del tutto. La sua pratica lavorativa infatti è basata su un approccio ipercolto e quasi da collezionista «enciclopedico/bulimico» di questi oggetti.
Il suo studio è un luogo di raccolta di ninnoli, vasetti, animaletti, e oggetti vari in ceramica, quasi mai di grande valore commerciale, che potrebbero far andare avanti tutti i mercatini italiani dell’antiquariato per almeno due anni. Le sue opere molto spesso (ma non sempre, si badi bene) partono proprio dal prendere uno di questi oggetti recuperati e dal modificarlo aggiungendovi una parte creata dall’artista che permette uno slittamento semantico straniante. All’inizio questi accostamenti erano maggiormente forti, provocatori e stridenti, con connotazioni sessuali più marcate. L’ironia la faceva da padrone.
Negli ultimi anni invece tutte queste caratteristiche si sono attenuate, e questi finti accrochage in cui viene inserita una forte componente di tradizione e artigianalità indagano maggiormente un immaginario poetico ovattato, in cui spesso appaiono riferimenti ad avanguardie artistiche attinte dalle stanze della storia dell’arte più o meno recenti. Soprattutto sono iniziate ad apparire molte forme geometriche e pure che aggrediscono figurine organiche e realistiche (ballerine, elefanti, corpi umani…), talvolta come una malattia. Perché inevitabilmente l’oggetto che entra nel mondo dell’arte è un cavallo di Troia che a sua
volta finisce per portare anche una miriade di immagini e di forme, che poi si espandono e si prendono la scena. Non a caso, sempre all’interno dello studio, una vera e propria grotta di Alì Babà, il contraltare della raccolta di oggetti è una biblioteca di libri d’arte, ma non solo, che farebbe invidia a chiunque. Andrea è forse l’artista della mia generazione (parlo a livello internazionale) con la più bella collezione di libri che conosca; è uno dei massimi conoscitori dell’argomento, ed è riuscito a metterla in piedi con due lire. È questo un altro bacino di immagini e concetti da cui attinge esattamente come dalla sua collezione di ammennicoli, per rielaborarli in nuove composizioni.
Sono opere infatti – le sue – in cui viene ricreato un immaginario collettivo che appartiene a noi tutti. Le sculture che vediamo sono un riassemblamento di fantasmi collettivi e sociali. Gioca nella nostra memoria e nel nostro subconscio con
un’attitudine alla Dottor Frankenstein. Se dovessi suggerire due libri per capire il lavoro di Andrea penso sarebbero Post-punk e Retromania di Simon Reynolds. Perché è proprio il punk come ultimo erede di avanguardie (Dada, futuriste, situazioniste) il tassello mancante per riuscire a capire il lavoro di Salvatori. Ci pensavo anche qualche settimana fa quando per caso mi sono trovato a visitare la mostra intitolata «Provincial Punk» di Grayson Perry (presso Turner Contemporary a Margate). Entrambi vengono da quel mondo, fatto di passione per le cose basse e di scarso livello, per l’immaginario delle masse, per un’ironia pungente e provocatoria desiderosa di scatenare ribrezzo, per il desiderio di mettere le mani dove nessuno le vuole mettere. Del punk hanno non solo il riutilizzo di tutto ciò che basso, da due soldi, fatto male, ma soprattutto l’attenzione allo spazio del folk, del popolare e l’amore delle sottoculture e delle attività artigianali connesse. E sia la lavorazione della ceramica sia
quel tipo di fare scultura sono ormai state ghettizzate nel limbo delle sottoculture, guadagnandone però la compattezza
comunitaria saldata dalla fede e dall’ossessione delle sette, e la vitalità data dall’essersi ritrovati in mezzo a una
strada, in una posizione antiaccademica, come le bancarelle di usato che riforniscono lo studio del Baffo, questo il soprannome di Andrea Salvatori.
È ovvio che il contesto punk abitato da Salvatori non è la versione marcia e inglese di Perry. Semmai è più simile al post-punk polished, smooth, elegante e dandystico di un David Byrne, che si ritrova nella capacità che Andrea ha avuto di creare la propria immagine e di diventare una figura/logo caratteristica e significativa già per se stessa. Nel suo lavoro si sente pur sempre il fatto che è un artista italiano, e ad esempio, è stata forte l’influenza che su di lui, come su molti altri artisti della nostra generazione, hanno avuto movimenti dirompenti come Memphis e pensatori
come Sottsass e Mendini. Si tratta di rabdomanti che hanno saccheggiato le culture basse, in cui sapevano
riconoscere la vitalità e l’energia ormai sparita dalla cultura alta, senza avere preconcetti snobistici. Il titolo stesso della pubblicazione (Metaceramico) richiama, nell’alludere a tutto quello che riflette sugli attributi della ceramica, quel periodo della creatività italiana e l’attitudine che questi avevano per la ricerca su linguaggi eterni e popolari, declinandoli con una vena poetica attinta dalla metafisica italiana. È possibile ritrovare in lui anche il loro amore assoluto per i colori più squillanti, così come per una ricerca che mescola il presente più stretto al mito e all’immaginario eterno dell’uomo, fino ad arrivare all’ossessione per la ceramica come lavorazione ancestrale capace di unire tutte le popolazioni che sulla terra si sono succedute. La radice dell’uomo che, modellando del fango e lasciandolo asciugare, crea una forma più o meno funzionale, più
o meno simbolica.
Antonio Grulli
--
Nel momento storico che stiamo vivendo, segnato dalla fine dei movimenti artistici che hanno caratterizzato la vita culturale del XX secolo, è difficile dare definizioni al lavoro di Andrea Salvatori, ogni definizione sarebbe fortemente riduttiva. Andrea tratta una materia antica, la ceramica, di cui conosce istintivamente le regole, ma è un artista difficile da inquadrare.
Si può parlare di anticlassicismo della Pop Art? Forse sì, perchè ogni immagine non è un modo di raccontare la realtà ma semplicemente un’immagine. Un’immagine provocatoria, in lui c’è il grande gusto della provocazione che, attraverso operazioni culturali non puramente visive, ci porta ad avere a che fare con la materia grigia della nostra comprensione.
Nel suo lavoro vediamo spesso qualcosa le cui caratteristiche ci conducono a qualcos’altro, e le similitudini spesso sfuggono ad una percezione superficiale. Le immagini ci fanno slittare da un’idea all’altra e si prestano al gioco della molteplicità, sempre mutevole, sempre rivitalizzata, il cui fascino non è mai frainteso con la banalità. Andrea ha un legame con la vita sempre filtrato dall’ironia e dalla provocazione, apparentemente ottimista, i suoi colori sono luminosi e chiari. Spesso prevale il bianco, che ci riporta alle antiche ceramiche faentine. Quelle sfere colorate nel vaso di vetro trasparente ci suggeriscono elementi assunti a simbolo di ottimismo; non cerca una verità nei suoi lavori, la sua è piuttosto una ricerca sul modo in cui si costruiscono le immagini. Nei nostri processi mentali s’innesca così uno slittamento fra il vero e il falso, un rapporto straniante con una realtà dai codici differenti, il tutto collegato e reso comprensibile da una notevole quantità di mediazioni culturali.
La cultura visiva di Andrea Salvatori, che pur conosce le regole di quella precedente, ci porta avanti, verso una
storia di cui non conosciamo i confini, che mai si arresta.
Chiara Fuschini
--
Biografia
Andrea Salvatori é nato nel 1975 a Faenza (Ra) dove ha frequentato l'Istituto d'Arte per la Ceramica, diplomandosi nel 2000 in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Attualmente vive e lavora a Solarolo, dove ha organizzato il suo laboratorio, a pochi chilometri da Faenza. Fin dal 1997 ha partecipato a numerose esposizioni sia personali che collettive, di rivelanza sia nazionale che internazionale. Il suo lavoro ha meritato riconoscimenti: nel 2007 è risultato secondo classificato alla 55a edizione del Premio Faenza del Museo Internazionale delle Ceramiche, Premio per l’arte ceramica contemporanea, vincendo il primo premio l’anno successivo; nel 2010 il secondo premio al Sidney Myer Fund Australian Ceramic Award International organizzato dal Shepparton Art Museum di Sidney.
Vedi anche:
METACERAMICO
After Basel
Per chi non lo sapesse, il mondo dell’arte ha utilizzato tutto l’ultimo secolo per far entrare al suo interno tutto ciò che non ne faceva parte, tutto ciò che non era artistico o non era legato alla sua sfera. Per fare questo, per accogliere i nuovi ospiti, si è dovuto fare spazio ed eliminare tutto ciò che lo popolava fino all’avvento della rivoluzione Dada, dal concetto di artista a quello di opera, dalla definizione di capolavoro a quella di genio. Soprattutto è stato completamente eliminato il concetto di bello. È normale allora che oggi i veri eredi di questo tipo di avanguardie storiche continuino a lottare per fare in modo che tutto ciò che artistico non è continui a essere ricontestualizzato e rivitalizzato all’interno dell’arte. E tutto questo materiale dirompente e rivoluzionario oggi coincide proprio con i vecchi attributi del mondo dell’arte, in primis proprio quello di bello.
Ed è in questa prima linea di guerra dadaista che si muove Andrea Salvatori. Gli oggetti di Andrea Salvatori sono prima di tutto belli, ed è questo che li rende rivoluzionari. È magico notare come i contenuti, le tematiche, gli stili, gli oggetti, tutte le cose e i concetti che popolano il mondo dell’arte siano come i campi: ogni tanto vanno messi da parte, lasciati a maggese per fare in modo che tornino ad essere fertili, che si ricarichino di energia, e siano nuovamente in grado di produrre vita e vitalità. Forse la
genialità delle avanguardie risiede proprio in questo; non tanto nel trovare nuovi territori, quanto nel riportare alla vita campi che da tempo immemore erano abbandonati, e in cui non possono far altro che seminare semi di varietà che l’evoluzione della specie ha reso diverse da quelli che venivano utilizzati in passato.
Come spesso ho sottolineato lavorando con artisti formatisi in ambito emiliano romagnolo, anche per Andrea Salvatori non è possibile comprendere il suo lavoro senza inserirlo all’interno di una linea che parte proprio dal Dada e dal ruolo che gli oggetti quotidiani, privi di qualsiasi collegamento con il mondo dell’arte, avevano per loro. Nel suo caso non vi è solo il recupero dell’oggetto, ma soprattutto di una pratica quasi del tutto bandita dal mondo dell’arte negli anni passati come quel tipo di lavorazione della ceramica, che Andrea ha abbracciato completamente continuando a declinarla in oggetti molto vicini ai ninnoli che hanno popolato le case delle nostre vecchie zie e che ormai accompagnano i fantasmi del nostro passato come
corredo inevitabile. Le sue opere sono molto vicine a quelle cose, ma non del tutto. La sua pratica lavorativa infatti è basata su un approccio ipercolto e quasi da collezionista «enciclopedico/bulimico» di questi oggetti.
Il suo studio è un luogo di raccolta di ninnoli, vasetti, animaletti, e oggetti vari in ceramica, quasi mai di grande valore commerciale, che potrebbero far andare avanti tutti i mercatini italiani dell’antiquariato per almeno due anni. Le sue opere molto spesso (ma non sempre, si badi bene) partono proprio dal prendere uno di questi oggetti recuperati e dal modificarlo aggiungendovi una parte creata dall’artista che permette uno slittamento semantico straniante. All’inizio questi accostamenti erano maggiormente forti, provocatori e stridenti, con connotazioni sessuali più marcate. L’ironia la faceva da padrone.
Negli ultimi anni invece tutte queste caratteristiche si sono attenuate, e questi finti accrochage in cui viene inserita una forte componente di tradizione e artigianalità indagano maggiormente un immaginario poetico ovattato, in cui spesso appaiono riferimenti ad avanguardie artistiche attinte dalle stanze della storia dell’arte più o meno recenti. Soprattutto sono iniziate ad apparire molte forme geometriche e pure che aggrediscono figurine organiche e realistiche (ballerine, elefanti, corpi umani…), talvolta come una malattia. Perché inevitabilmente l’oggetto che entra nel mondo dell’arte è un cavallo di Troia che a sua
volta finisce per portare anche una miriade di immagini e di forme, che poi si espandono e si prendono la scena. Non a caso, sempre all’interno dello studio, una vera e propria grotta di Alì Babà, il contraltare della raccolta di oggetti è una biblioteca di libri d’arte, ma non solo, che farebbe invidia a chiunque. Andrea è forse l’artista della mia generazione (parlo a livello internazionale) con la più bella collezione di libri che conosca; è uno dei massimi conoscitori dell’argomento, ed è riuscito a metterla in piedi con due lire. È questo un altro bacino di immagini e concetti da cui attinge esattamente come dalla sua collezione di ammennicoli, per rielaborarli in nuove composizioni.
Sono opere infatti – le sue – in cui viene ricreato un immaginario collettivo che appartiene a noi tutti. Le sculture che vediamo sono un riassemblamento di fantasmi collettivi e sociali. Gioca nella nostra memoria e nel nostro subconscio con
un’attitudine alla Dottor Frankenstein. Se dovessi suggerire due libri per capire il lavoro di Andrea penso sarebbero Post-punk e Retromania di Simon Reynolds. Perché è proprio il punk come ultimo erede di avanguardie (Dada, futuriste, situazioniste) il tassello mancante per riuscire a capire il lavoro di Salvatori. Ci pensavo anche qualche settimana fa quando per caso mi sono trovato a visitare la mostra intitolata «Provincial Punk» di Grayson Perry (presso Turner Contemporary a Margate). Entrambi vengono da quel mondo, fatto di passione per le cose basse e di scarso livello, per l’immaginario delle masse, per un’ironia pungente e provocatoria desiderosa di scatenare ribrezzo, per il desiderio di mettere le mani dove nessuno le vuole mettere. Del punk hanno non solo il riutilizzo di tutto ciò che basso, da due soldi, fatto male, ma soprattutto l’attenzione allo spazio del folk, del popolare e l’amore delle sottoculture e delle attività artigianali connesse. E sia la lavorazione della ceramica sia
quel tipo di fare scultura sono ormai state ghettizzate nel limbo delle sottoculture, guadagnandone però la compattezza
comunitaria saldata dalla fede e dall’ossessione delle sette, e la vitalità data dall’essersi ritrovati in mezzo a una
strada, in una posizione antiaccademica, come le bancarelle di usato che riforniscono lo studio del Baffo, questo il soprannome di Andrea Salvatori.
È ovvio che il contesto punk abitato da Salvatori non è la versione marcia e inglese di Perry. Semmai è più simile al post-punk polished, smooth, elegante e dandystico di un David Byrne, che si ritrova nella capacità che Andrea ha avuto di creare la propria immagine e di diventare una figura/logo caratteristica e significativa già per se stessa. Nel suo lavoro si sente pur sempre il fatto che è un artista italiano, e ad esempio, è stata forte l’influenza che su di lui, come su molti altri artisti della nostra generazione, hanno avuto movimenti dirompenti come Memphis e pensatori
come Sottsass e Mendini. Si tratta di rabdomanti che hanno saccheggiato le culture basse, in cui sapevano
riconoscere la vitalità e l’energia ormai sparita dalla cultura alta, senza avere preconcetti snobistici. Il titolo stesso della pubblicazione (Metaceramico) richiama, nell’alludere a tutto quello che riflette sugli attributi della ceramica, quel periodo della creatività italiana e l’attitudine che questi avevano per la ricerca su linguaggi eterni e popolari, declinandoli con una vena poetica attinta dalla metafisica italiana. È possibile ritrovare in lui anche il loro amore assoluto per i colori più squillanti, così come per una ricerca che mescola il presente più stretto al mito e all’immaginario eterno dell’uomo, fino ad arrivare all’ossessione per la ceramica come lavorazione ancestrale capace di unire tutte le popolazioni che sulla terra si sono succedute. La radice dell’uomo che, modellando del fango e lasciandolo asciugare, crea una forma più o meno funzionale, più
o meno simbolica.
Antonio Grulli
--
Nel momento storico che stiamo vivendo, segnato dalla fine dei movimenti artistici che hanno caratterizzato la vita culturale del XX secolo, è difficile dare definizioni al lavoro di Andrea Salvatori, ogni definizione sarebbe fortemente riduttiva. Andrea tratta una materia antica, la ceramica, di cui conosce istintivamente le regole, ma è un artista difficile da inquadrare.
Si può parlare di anticlassicismo della Pop Art? Forse sì, perchè ogni immagine non è un modo di raccontare la realtà ma semplicemente un’immagine. Un’immagine provocatoria, in lui c’è il grande gusto della provocazione che, attraverso operazioni culturali non puramente visive, ci porta ad avere a che fare con la materia grigia della nostra comprensione.
Nel suo lavoro vediamo spesso qualcosa le cui caratteristiche ci conducono a qualcos’altro, e le similitudini spesso sfuggono ad una percezione superficiale. Le immagini ci fanno slittare da un’idea all’altra e si prestano al gioco della molteplicità, sempre mutevole, sempre rivitalizzata, il cui fascino non è mai frainteso con la banalità. Andrea ha un legame con la vita sempre filtrato dall’ironia e dalla provocazione, apparentemente ottimista, i suoi colori sono luminosi e chiari. Spesso prevale il bianco, che ci riporta alle antiche ceramiche faentine. Quelle sfere colorate nel vaso di vetro trasparente ci suggeriscono elementi assunti a simbolo di ottimismo; non cerca una verità nei suoi lavori, la sua è piuttosto una ricerca sul modo in cui si costruiscono le immagini. Nei nostri processi mentali s’innesca così uno slittamento fra il vero e il falso, un rapporto straniante con una realtà dai codici differenti, il tutto collegato e reso comprensibile da una notevole quantità di mediazioni culturali.
La cultura visiva di Andrea Salvatori, che pur conosce le regole di quella precedente, ci porta avanti, verso una
storia di cui non conosciamo i confini, che mai si arresta.
Chiara Fuschini
--
Biografia
Andrea Salvatori é nato nel 1975 a Faenza (Ra) dove ha frequentato l'Istituto d'Arte per la Ceramica, diplomandosi nel 2000 in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Attualmente vive e lavora a Solarolo, dove ha organizzato il suo laboratorio, a pochi chilometri da Faenza. Fin dal 1997 ha partecipato a numerose esposizioni sia personali che collettive, di rivelanza sia nazionale che internazionale. Il suo lavoro ha meritato riconoscimenti: nel 2007 è risultato secondo classificato alla 55a edizione del Premio Faenza del Museo Internazionale delle Ceramiche, Premio per l’arte ceramica contemporanea, vincendo il primo premio l’anno successivo; nel 2010 il secondo premio al Sidney Myer Fund Australian Ceramic Award International organizzato dal Shepparton Art Museum di Sidney.
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