La luce e i colori di Silvia Maccariello
Opera di Silvia Maccariello
11/12/2006
Una segnalazione in redazione... E’ una giovane artista intelligente e molto vivace. Ci è sembrata anche brava.
Silvia Maccariello racconta il proprio percorso artistico tra luce, colori e materia.
Come sei diventata pittrice, parlaci della tua formazione…
S.M. "Non sono diventata pittrice, ho sempre voluto fare la pittrice. Grazie a mia mamma, insegnante di educazione artistica, sono cresciuta in casa tra pennelli e colori. La pittura e le arti visive, sono sempre state qualcosa di familiare di conosciuto. Dipingere per me è come per altri portare fuori il cane, dormire, mangiare… Non ho fatto l’accademia delle belle arti, per scelta. Per interesse intellettuale e per paura di non poter campare con la pittura ho fatto l’università. Anche perché non avevo bisogno dell’accademia: avevo l’esperto in casa. Invece di ricette da cucina, con mia mamma al telefono, scambio ricette tecniche riguardo la pittura. Sono stata sempre attratta dal concetto di confine, forse perché sono nata nel 1978 sul confine italiano/austriaco a Brunico (BZ). una Maccariello a Bolzano? Come è possibile? Ho delle radici campane, per fortuna, che controbilanciano l’altra mia metà tedesca. La mia formazione è pluridisciplinare: ho studiato musico-terapia e in scienze dell’educazione; cerco di integrare la pittura con la mia professione, organizzano dei laboratori di pittura per i bambini e adolescenti. Dal 2000 mi dedico all’improvvisazione libera collaborando con musicisti e danzatori".
Nelle tue opere si avverte una continua ricerca, un movimento non interrotto.
S.M. "La ricerca e la sperimentazione vanno a pari passo con la mia vita e pratica artistica, che iniziata con la pittura e la tecnica delle cassette di frutta. Arrivata per motivi di studio universitario a Genova nel 1999, ho iniziato e partorito i miei primi quadri con la tecnica delle cassette della frutta. Olio e acrilico su cassette della frutta, pannello di formica. Avevo il mio fruttivendolo preferito sotto casa, che separava e mi regalava questi pavimenti delle cassetta di frutta. E così, sono nati una cinquantina di quadri. La mia produzione è costante, sono stata e sono sommersa dai miei quadri, le mie mostre nascono soprattutto dalla necessità di fare spazio. Esporre per fare spazio e qualcos’altro. Questo non vuole dire che svendo i miei quadri, è un occasione per vedere e vedermi. E’ un occasione per comprendere, per abbandonare dei miei pezzi e ricominciare. Dipingere è una pratica quotidiana che richiede un impegno costante: riuscire a fare e riuscire a vedere. La mia tecnica nasce per me dalla pratica quotidiana e dalla manipolazione della materia concreta: i colori, la luce e la superficie. Non penso che ci sia bisogno di una scuola o accademia per diventare pittrici, bastano solo tempo, impegno e pratica. Per allenare il mio occhio viaggio e frequento mostre di altri. La mia produzione poi, dipende dal luogo dove avviene: per motivi economici mi tocca dividere l’appartamento con altra gente e così la mia produzione si adatta a questo, alla scrivania, e non a un stanza vuota o laboratorio. Su una scrivania si possono fare lavori di illustrazione e grafica “primitiva”, non digitale, ma non si può dipingere".
Perché hai deciso solo ora di esporre le tue opere?
S.M. "Perché ero impegnata nel dipingere, sono una pittrice e non sono una curatrice o gallerista. Cerco di organizzare periodicamente in modo autonomo le mie mostre in luoghi per me speciali".
Nei tuoi quadri ampio spazio è dato all’ironia e alla forma…
S.M. "I miei quadri hanno per me qualcosa più tragico che comico. L’ironia è gioco, è strappare un sorriso a qualcuno, è mettersi in gioco: è un arancione brillante. La satira e l’ironia è l’arte della libertà e del benessere. Formare e poter deformare, e riderci sopra. Il colore è sempre presente nelle immagini che crei, l’elemento figurativo sembra interessarti meno rispetto al paesaggio. Spesso la mia ricerca inizia con il colore, parto dalla visualizzazione istintiva di un colore attraverso cui poi si forma il quadro. I pastelli ad olio si prestano in maniera sublime per fare questo. Improvviso, salto, sbaglio, ripeto tutto. Dagli sbagli spesso nascono dei quadri geniali. Altre volte so precisamente che cosa fare, che cosa disegnare, c’è una scelta precisa nell’argomento da trattare o messaggio da lanciare. Il colore non è sempre presente nei miei quadri: ho avuto e ho dei periodi, esclusivamente in nero e in bianco, per controbilanciare le spinte e gli istinti colorati. In quei periodi sono nate, per esempio, le stampe crudeli. Le stampe, esposte nella mia ultima personale, sono un riciclo, un ri-uso di dieci miei disegni di inchiostro di china nero con pennino su carta, fatti a Genova nel 1999. L’ultima mostra, intitolata “cruel workshop”, è stata una installazione di queste stampe".
L’arte per te non significa solo pittura, parlaci delle tue altre attività artistiche?
S.M. "L’ aRte, con l’erre maiuscola è l’arte del duemilaesei, post-postmoderna alienata e industriale, che necessita di un ritorno alle radici, a 360° dell’attività ed esperienza artistica: archeologia, improvvisazione, corporeità. L’aRte significa per me la collaborazione necessaria con altri artisti provenienti da background e underground culturali differenti: danzatori, musicisti, attori. Le mie altre attività artistiche sono tutte legate alle performance d’improvvisazione libera e radicale. Faccio parte di un collettivo, passepartout, formato da 15 artisti under 30, che provengono dalla musica, danza, teatro e arte visiva. Passepartout è nato a Milano nell’aprile 2006, dal festival Pulsi, organizzato dalla Takla Improvising Group. La pittura sembra essere un mestiere antichissimo. Una volta, un teatrante, di nome Decroix disse: Le arti hanno diverse forme, ma i principi sono gli stessi. Trovo molto stimolante collaborare con qualcun altro. Il pittore è un spesso un lupo solitario. Non è una star da salottino, né un povero poveraccio pazzo. Siamo oltre la pittura. Siamo nell’era jedi degli amici di Maria De Filippi, dove la tv si auto-blobizza, l’arte contemporanea si macdonaldizza, nel paese più bello d’Europa, l’Italia. Paese dell’arte e della cultura".
Nella tua vita a cosa non rinunceresti mai?
S.M. "Al sesso e alle sigarette: che domande...alla pittura!!! (mi sa che ora mi tocca diventare pittrice)".
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
S.M. "1. Fare un installazione gigantesca sul grattacielo più alto di Istanbul in coppia con Safa, un saggio pittore turco dell’Isola d’Elba. 2. Trovare uno spazio per dipingere, cosa quasi impossibile a Milano. 3. Se non trovo uno spazio a Milano, emigro".
Silvia Maccariello racconta il proprio percorso artistico tra luce, colori e materia.
Come sei diventata pittrice, parlaci della tua formazione…
S.M. "Non sono diventata pittrice, ho sempre voluto fare la pittrice. Grazie a mia mamma, insegnante di educazione artistica, sono cresciuta in casa tra pennelli e colori. La pittura e le arti visive, sono sempre state qualcosa di familiare di conosciuto. Dipingere per me è come per altri portare fuori il cane, dormire, mangiare… Non ho fatto l’accademia delle belle arti, per scelta. Per interesse intellettuale e per paura di non poter campare con la pittura ho fatto l’università. Anche perché non avevo bisogno dell’accademia: avevo l’esperto in casa. Invece di ricette da cucina, con mia mamma al telefono, scambio ricette tecniche riguardo la pittura. Sono stata sempre attratta dal concetto di confine, forse perché sono nata nel 1978 sul confine italiano/austriaco a Brunico (BZ). una Maccariello a Bolzano? Come è possibile? Ho delle radici campane, per fortuna, che controbilanciano l’altra mia metà tedesca. La mia formazione è pluridisciplinare: ho studiato musico-terapia e in scienze dell’educazione; cerco di integrare la pittura con la mia professione, organizzano dei laboratori di pittura per i bambini e adolescenti. Dal 2000 mi dedico all’improvvisazione libera collaborando con musicisti e danzatori".
Nelle tue opere si avverte una continua ricerca, un movimento non interrotto.
S.M. "La ricerca e la sperimentazione vanno a pari passo con la mia vita e pratica artistica, che iniziata con la pittura e la tecnica delle cassette di frutta. Arrivata per motivi di studio universitario a Genova nel 1999, ho iniziato e partorito i miei primi quadri con la tecnica delle cassette della frutta. Olio e acrilico su cassette della frutta, pannello di formica. Avevo il mio fruttivendolo preferito sotto casa, che separava e mi regalava questi pavimenti delle cassetta di frutta. E così, sono nati una cinquantina di quadri. La mia produzione è costante, sono stata e sono sommersa dai miei quadri, le mie mostre nascono soprattutto dalla necessità di fare spazio. Esporre per fare spazio e qualcos’altro. Questo non vuole dire che svendo i miei quadri, è un occasione per vedere e vedermi. E’ un occasione per comprendere, per abbandonare dei miei pezzi e ricominciare. Dipingere è una pratica quotidiana che richiede un impegno costante: riuscire a fare e riuscire a vedere. La mia tecnica nasce per me dalla pratica quotidiana e dalla manipolazione della materia concreta: i colori, la luce e la superficie. Non penso che ci sia bisogno di una scuola o accademia per diventare pittrici, bastano solo tempo, impegno e pratica. Per allenare il mio occhio viaggio e frequento mostre di altri. La mia produzione poi, dipende dal luogo dove avviene: per motivi economici mi tocca dividere l’appartamento con altra gente e così la mia produzione si adatta a questo, alla scrivania, e non a un stanza vuota o laboratorio. Su una scrivania si possono fare lavori di illustrazione e grafica “primitiva”, non digitale, ma non si può dipingere".
Perché hai deciso solo ora di esporre le tue opere?
S.M. "Perché ero impegnata nel dipingere, sono una pittrice e non sono una curatrice o gallerista. Cerco di organizzare periodicamente in modo autonomo le mie mostre in luoghi per me speciali".
Nei tuoi quadri ampio spazio è dato all’ironia e alla forma…
S.M. "I miei quadri hanno per me qualcosa più tragico che comico. L’ironia è gioco, è strappare un sorriso a qualcuno, è mettersi in gioco: è un arancione brillante. La satira e l’ironia è l’arte della libertà e del benessere. Formare e poter deformare, e riderci sopra. Il colore è sempre presente nelle immagini che crei, l’elemento figurativo sembra interessarti meno rispetto al paesaggio. Spesso la mia ricerca inizia con il colore, parto dalla visualizzazione istintiva di un colore attraverso cui poi si forma il quadro. I pastelli ad olio si prestano in maniera sublime per fare questo. Improvviso, salto, sbaglio, ripeto tutto. Dagli sbagli spesso nascono dei quadri geniali. Altre volte so precisamente che cosa fare, che cosa disegnare, c’è una scelta precisa nell’argomento da trattare o messaggio da lanciare. Il colore non è sempre presente nei miei quadri: ho avuto e ho dei periodi, esclusivamente in nero e in bianco, per controbilanciare le spinte e gli istinti colorati. In quei periodi sono nate, per esempio, le stampe crudeli. Le stampe, esposte nella mia ultima personale, sono un riciclo, un ri-uso di dieci miei disegni di inchiostro di china nero con pennino su carta, fatti a Genova nel 1999. L’ultima mostra, intitolata “cruel workshop”, è stata una installazione di queste stampe".
L’arte per te non significa solo pittura, parlaci delle tue altre attività artistiche?
S.M. "L’ aRte, con l’erre maiuscola è l’arte del duemilaesei, post-postmoderna alienata e industriale, che necessita di un ritorno alle radici, a 360° dell’attività ed esperienza artistica: archeologia, improvvisazione, corporeità. L’aRte significa per me la collaborazione necessaria con altri artisti provenienti da background e underground culturali differenti: danzatori, musicisti, attori. Le mie altre attività artistiche sono tutte legate alle performance d’improvvisazione libera e radicale. Faccio parte di un collettivo, passepartout, formato da 15 artisti under 30, che provengono dalla musica, danza, teatro e arte visiva. Passepartout è nato a Milano nell’aprile 2006, dal festival Pulsi, organizzato dalla Takla Improvising Group. La pittura sembra essere un mestiere antichissimo. Una volta, un teatrante, di nome Decroix disse: Le arti hanno diverse forme, ma i principi sono gli stessi. Trovo molto stimolante collaborare con qualcun altro. Il pittore è un spesso un lupo solitario. Non è una star da salottino, né un povero poveraccio pazzo. Siamo oltre la pittura. Siamo nell’era jedi degli amici di Maria De Filippi, dove la tv si auto-blobizza, l’arte contemporanea si macdonaldizza, nel paese più bello d’Europa, l’Italia. Paese dell’arte e della cultura".
Nella tua vita a cosa non rinunceresti mai?
S.M. "Al sesso e alle sigarette: che domande...alla pittura!!! (mi sa che ora mi tocca diventare pittrice)".
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
S.M. "1. Fare un installazione gigantesca sul grattacielo più alto di Istanbul in coppia con Safa, un saggio pittore turco dell’Isola d’Elba. 2. Trovare uno spazio per dipingere, cosa quasi impossibile a Milano. 3. Se non trovo uno spazio a Milano, emigro".
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