Fino al 26 gennaio alla Galleria del Credito Valtellinese
Patriarchi arborei. Il cammino di Andrea Mori alla ricerca delle "radici"

Andrea Mori, Patriarchi arborei, larice di Livigno
Samantha De Martin
23/11/2017
Sondrio - Una galleria che diventa bosco ospita un sentiero incorniciato tra valli e montagne, un cammino alla ricerca di cinque alberi secolari, custodi di avvenimenti storici, memorie, saperi dimenticati.
Quella di Andrea Mori, più che una mostra, è un viaggio che assurge a riflessione di carattere estetico e civile sulla tutela del territorio e delle sue caratteristiche naturalistiche e del paesaggio.
Patriarchi arborei - questo il titolo dell’appuntamento con l’artista e camminatore visionario Mori, in programma fino al 26 gennaio - si snoda nella Galleria Credito Valtellinese di Sondrio, tra le sale del Museo Valtellinese di Storia e Arte, trascinando il visitatore tra storie e meraviglie quasi perdute o smarrite tra le trame, talvolta labili, della memoria contemporanea.
Diventando custode di vicende e aneddoti, e allo stesso tempo amplificatore della voce della natura, l’artista costruisce la sua mostra sul rito del camminare, atto che diviene sinonimo di ricerca ed esplorazione.
Il “cantacontastorie” di Sondrio conduce il pubblico tra gli alberi progenitori dei boschi, ai cui piedi ha dormito, ascoltandone il sussurro e intrecciando le vite di questi “patriarchi” con gli avvenimenti storici di maggior rilievo della Valtellina e del mondo. Partendo da Novate Mezzola, passando per la Val Codera, la Val Tartano, la Valmalenco, per arrivare, in ultimo, a Livigno, Andrea Mori ha cucito il suo cammino, che adesso condivide con i visitatori della mostra, alla ricerca di un abete, tre larici e un castagno, i cinque custodi secolari più importanti del territorio.
Proprio a questi testimoni, muti solo in apparenza, sono dedicate le cinque stanze che caratterizzano il percorso espositivo, che si arricchisce di fotografie, appunti di viaggio, racconti, campioni botanici e una mappa dell’itinerario esplorativo compiuto dall’artista nei dodici giorni di cammino.
L’allestimento - curato dallo stesso Mori - volutamente lineare, punta su un’illuminazione soffusa che induce il visitatore al raccoglimento e alla riflessione. Un percorso esperienziale che privilegia la lentezza come nuova forma di conoscenza.
Quella di Andrea Mori, più che una mostra, è un viaggio che assurge a riflessione di carattere estetico e civile sulla tutela del territorio e delle sue caratteristiche naturalistiche e del paesaggio.
Patriarchi arborei - questo il titolo dell’appuntamento con l’artista e camminatore visionario Mori, in programma fino al 26 gennaio - si snoda nella Galleria Credito Valtellinese di Sondrio, tra le sale del Museo Valtellinese di Storia e Arte, trascinando il visitatore tra storie e meraviglie quasi perdute o smarrite tra le trame, talvolta labili, della memoria contemporanea.
Diventando custode di vicende e aneddoti, e allo stesso tempo amplificatore della voce della natura, l’artista costruisce la sua mostra sul rito del camminare, atto che diviene sinonimo di ricerca ed esplorazione.
Il “cantacontastorie” di Sondrio conduce il pubblico tra gli alberi progenitori dei boschi, ai cui piedi ha dormito, ascoltandone il sussurro e intrecciando le vite di questi “patriarchi” con gli avvenimenti storici di maggior rilievo della Valtellina e del mondo. Partendo da Novate Mezzola, passando per la Val Codera, la Val Tartano, la Valmalenco, per arrivare, in ultimo, a Livigno, Andrea Mori ha cucito il suo cammino, che adesso condivide con i visitatori della mostra, alla ricerca di un abete, tre larici e un castagno, i cinque custodi secolari più importanti del territorio.
Proprio a questi testimoni, muti solo in apparenza, sono dedicate le cinque stanze che caratterizzano il percorso espositivo, che si arricchisce di fotografie, appunti di viaggio, racconti, campioni botanici e una mappa dell’itinerario esplorativo compiuto dall’artista nei dodici giorni di cammino.
L’allestimento - curato dallo stesso Mori - volutamente lineare, punta su un’illuminazione soffusa che induce il visitatore al raccoglimento e alla riflessione. Un percorso esperienziale che privilegia la lentezza come nuova forma di conoscenza.
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