Aspettando la riapertura: un giardino all'italiana unico nel suo genere
Nel Parco dei Mostri di Bomarzo, un regno di pietra tra meraviglia e alchimia
L Orco del Parco dei Mostri di Bomarzo
Samantha De Martin
30/04/2020
Viterbo - Straniante, sorprendente, e anche un po’ romantico. Con la sua alchimia ingannevole fatta di simboli e costruzioni pendenti, orchi di pietra, moniti e iscrizioni, delfini e sfingi guardiane, il Parco dei Mostri di Bomarzo ha l’architettura di un sogno temporaneamente sospeso tra la durezza del peperino che sbuca dal terreno e la consistenza soffice di un bosco incantato.
In attesa di poter tornare a visitarlo in seguito alla riapertura, dopo la pausa imposta dall’emergenza coronavirus, snoccioliamo un percorso alla scoperta di questo modello un po’ particolare di giardino all’italiana.
Il Parco dei Mostri si trova a Bomarzo, un piccolo borgo del viterbese, a circa un’ora da Roma, ed è facilmente raggiungibile in auto.
Sacro Bosco di Bomarzo, Echidna e due Leoni | Foto: Gabriele Delhey via Wikimedia Creative Commons
Un giardino all’italiana atipico
Nell’erudita cultura architettonico-naturalista del secondo Cinquecento, il Parco dei Mostri, conosciuto anche come "Villa delle Meraviglie” o “Sacro Bosco”, costituisce un unicum. Mentre i giardini all'italiana, da Boboli a Villa d’Este, seguono rigorosi criteri di razionalità geometrica e prospettica, con il loro trionfo di terrazze, fontane con giochi d'acqua e sculture manieriste, l’eccentrico boschetto percorso da enigmatiche figure di mostri, draghi e animali esotici sfugge alle consuetudini cinquecentesche, sorprendendo i visitatori con la sua irregolarità straniante.
Con le loro architetture scenografiche, le prospettive, i colpi di scena, molti giardini cinquecenteschi avevano come fonte di ispirazione il teatro. Tutti questi elementi si ritrovano anche a Bomarzo, ma in questa sorta di wunderkammer en plein air, alla prospettiva unificata rinascimentale viene preferita la veduta per stazioni propria della processione medievale.
Questo labirinto di simboli commissionato dal principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) all’architetto e antiquario Pirro Ligorio nel 1547, disorienta con i suoi giganteschi blocchi di peperino trasformati in figure parlanti portatrici di messaggi criptici. Pur assomigliando a semplici bizzarrie, ai capricci di una nobiltà annoiata, traccerebbero in realtà un autentico percorso iniziatico che coinvolge il visitatore.
È forse questo senso di mistero che emana, una volta varcata la soglia, ad aver affascinato artisti ed intellettuali che, da Goethe a Salvador Dalì, visitarono il parco, rivalutandolo dopo che, per secoli, in seguito alla morte di Orsini, fu lasciato in uno stato di abbandono.
Lorenzo Lotto, Giovane che sfoglia un libro, (presunto ritratto di Vicino Orsini), Gallerie dell'Accademia di Venezia
Perché fu costruito?
Non sappiamo con precisione perché Vicino Orsini volle realizzare il Bosco Sacro, probabilmente “sol per sfogare il core” spezzato dalla morte della moglie. Alcuni ne scorgono una sorta di "percorso iniziatico". Ma forse il suo proprietario volle semplicemente dotarsi di un luogo incantato per il proprio diletto o per quello dei suoi visitatori.
Pierfrancesco II Orsini, signore di Bomarzo dal 1542 al 1585, si ritirò nella sua dimora bomarzese - realizzata a partire dal 1552 - al termine della carriera militare che lo vide impegnato dal 1545 al 1557. Forse cercava semplicemente un luogo di svago, distante da una società che doveva sembrargli molto lontana dalla propria sensibilità artistica.
Il percorso: tra simboli e sculture
Quando il Parco riaprirà e potremo finalmente tornare a visitarlo, sarà preferibile arrivare a Bomarzo al mattino, quando il sole filtra ancora tra i rami e il Bosco Sacro si carica di un’atmosfera ancora più magica.
Le iscrizioni sui monumenti, alcune purtroppo sbiadite, stupiscono e confondono il visitatore. Ma forse questa era l'intenzione del principe.
“Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi” ammonisce una delle tante iscrizioni scolpite in questo labirinto di simboli che storici e filologi hanno tentato, talvolta invano, di spiegare trovando una corrispondenza di temi e motivi nella letteratura rinascimentale, a partire dall'Orlando furioso.
Parco dei Mostri di Bomarzo, Glauco | Foto: Arianna via Flickr
A darci il benvenuto, varcata la monumentale soglia del Bosco, due Sfingi accoccolate su un basamento, simbolicamente a guardia del parco. Proteo, o Glauco, una gigantesca maschera antropomorfa con la bocca spalancata, è il primo mostro che si incontra. Sulla testa è poggiato un globo, mentre la torre è quella degli Orsini che, tramite il sapere iniziatico possono gestire le cose del mondo.
Tuttavia è l’Orco è la figura più conosciuta del Parco. Con le sue fauci spalancate, gli occhi enormi, è in realtà una camera scavata nel tufo. Sul labbro superiore è inciso il verso: “Ogni pensiero vola”. Vi entriamo percorrendo alcuni gradini. Una volta all’interno, una panchina ed un piccolo tavolo invitano alla meditazione, mentre le nostre voci, considerata la forma del luogo, vengono amplificate e distorte, creando un effetto sonoro spaventoso.
La statua più grande del Bosco Sacro è invece denominata Il Colosso. Vi si distingue la lotta dei giganti Ercole e Caco con intorno alcune figure di guerrieri.
Ogni passo in questo giardino sui generis risveglia la sorpresa. C’è una grossa tartaruga, sul cui guscio è collocata la statua di una Nike, e c’è una balena che emerge dalla terra.
Parco dei Mostri di Bomarzo, Casa Pendente | Foto: Yellow.Cat via Flickr
Dalla Fontana di Pegaso sbuca invece la figura del cavallo che incarna la passionalità e l’istinto, dominati dalla volontà spirituale dell'uomo rappresentata dalle sue ali. A poca distanza ecco il cosiddetto "Albero-statua", un tronco di larice scolpito su un masso. Un grande ambiente a forma di vasca ricorda i ninfei di età greco-romana con la colossale scultura di Venere che si innalza su una grossa conchiglia. Un cartiglio ci rivolge un invito: "L’antro, la fonte e il lieto cielo. Libero l’animo di ogni oscur pensiero”. Seguiamo il consiglio.
Poco distante è il Teatro, in realtà una riproduzione molto piccola dell'esedra del palcoscenico. Ci fermiamo pensando di avere una vertigine. E invece la Casa Pendente, costruita volutamente su un masso inclinato, ci riappare in tutta la stravagante silhouette, provocando un certo smarrimento e costringendoci a camminare su un pavimento sorprendentemente inclinato.
Fuori dall’edificio, una misteriosa epigrafe in latino ammonisce: "Con il riposo lo spirito diventa più saggio”. Un grande piazzale che accoglie enormi vasi in pietra, un tempo ornati da iscrizioni oggi non più leggibili, conduce alla statua di Nettuno, adagiato su un letto d'acqua mentre regge tra le braccia un delfino.
A poca distanza, una ninfa gigantesca dorme poggiata sinuosamente sul braccio. Incontriamo Cerere con il suo cesto di spighe sul capo e ancora la sagoma imponente di un elefante con sulla schiena una torre e, nella proboscide, un legionario romano (forse un riferimento all'impresa di Annibale durante le Guerre puniche) e poi ancora un drago.
Parco dei Mostri di Bomarzo, Elefante
Vediamo Proserpina e Cerbero, il cane a tre teste a guardia dell'Oltretomba, mentre, di fronte al Piazzale delle Pigne, si affrontano Echidna, la Furia e i Leoni, presenti nello stemma di Viterbo.
Il piccolo Tempio, costruito vent'anni dopo rispetto al resto del Parco, e dedicato alla seconda moglie di Vicino Orsini, si trova un po’ isolato rispetto al percorso principale del Parco. Le forme architettoniche imitano diverse epoche, mentre l’interno è composto da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide.
Ci avviciniamo al termine di questa insolita esperienza. La Rotonda, con la sua terrazza sottostante è l’ultima meraviglia del Parco. Chi vuole può tornare indietro e ricominciare. A cercare di comprendere gli oscuri rimandi voluti dal suo eclettico proprietario o semplicemente a stupirsi, sciogliendo i pensieri, attraverso il mito e la fantasia.
Il Tempietto nel Parco dei Mostri di Bomarzo
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Il Parco dei Mostri si trova a Bomarzo, un piccolo borgo del viterbese, a circa un’ora da Roma, ed è facilmente raggiungibile in auto.
Sacro Bosco di Bomarzo, Echidna e due Leoni | Foto: Gabriele Delhey via Wikimedia Creative Commons
Un giardino all’italiana atipico
Nell’erudita cultura architettonico-naturalista del secondo Cinquecento, il Parco dei Mostri, conosciuto anche come "Villa delle Meraviglie” o “Sacro Bosco”, costituisce un unicum. Mentre i giardini all'italiana, da Boboli a Villa d’Este, seguono rigorosi criteri di razionalità geometrica e prospettica, con il loro trionfo di terrazze, fontane con giochi d'acqua e sculture manieriste, l’eccentrico boschetto percorso da enigmatiche figure di mostri, draghi e animali esotici sfugge alle consuetudini cinquecentesche, sorprendendo i visitatori con la sua irregolarità straniante.
Con le loro architetture scenografiche, le prospettive, i colpi di scena, molti giardini cinquecenteschi avevano come fonte di ispirazione il teatro. Tutti questi elementi si ritrovano anche a Bomarzo, ma in questa sorta di wunderkammer en plein air, alla prospettiva unificata rinascimentale viene preferita la veduta per stazioni propria della processione medievale.
Questo labirinto di simboli commissionato dal principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) all’architetto e antiquario Pirro Ligorio nel 1547, disorienta con i suoi giganteschi blocchi di peperino trasformati in figure parlanti portatrici di messaggi criptici. Pur assomigliando a semplici bizzarrie, ai capricci di una nobiltà annoiata, traccerebbero in realtà un autentico percorso iniziatico che coinvolge il visitatore.
È forse questo senso di mistero che emana, una volta varcata la soglia, ad aver affascinato artisti ed intellettuali che, da Goethe a Salvador Dalì, visitarono il parco, rivalutandolo dopo che, per secoli, in seguito alla morte di Orsini, fu lasciato in uno stato di abbandono.
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Perché fu costruito?
Non sappiamo con precisione perché Vicino Orsini volle realizzare il Bosco Sacro, probabilmente “sol per sfogare il core” spezzato dalla morte della moglie. Alcuni ne scorgono una sorta di "percorso iniziatico". Ma forse il suo proprietario volle semplicemente dotarsi di un luogo incantato per il proprio diletto o per quello dei suoi visitatori.
Pierfrancesco II Orsini, signore di Bomarzo dal 1542 al 1585, si ritirò nella sua dimora bomarzese - realizzata a partire dal 1552 - al termine della carriera militare che lo vide impegnato dal 1545 al 1557. Forse cercava semplicemente un luogo di svago, distante da una società che doveva sembrargli molto lontana dalla propria sensibilità artistica.
Il percorso: tra simboli e sculture
Quando il Parco riaprirà e potremo finalmente tornare a visitarlo, sarà preferibile arrivare a Bomarzo al mattino, quando il sole filtra ancora tra i rami e il Bosco Sacro si carica di un’atmosfera ancora più magica.
Le iscrizioni sui monumenti, alcune purtroppo sbiadite, stupiscono e confondono il visitatore. Ma forse questa era l'intenzione del principe.
“Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi” ammonisce una delle tante iscrizioni scolpite in questo labirinto di simboli che storici e filologi hanno tentato, talvolta invano, di spiegare trovando una corrispondenza di temi e motivi nella letteratura rinascimentale, a partire dall'Orlando furioso.
Parco dei Mostri di Bomarzo, Glauco | Foto: Arianna via Flickr
A darci il benvenuto, varcata la monumentale soglia del Bosco, due Sfingi accoccolate su un basamento, simbolicamente a guardia del parco. Proteo, o Glauco, una gigantesca maschera antropomorfa con la bocca spalancata, è il primo mostro che si incontra. Sulla testa è poggiato un globo, mentre la torre è quella degli Orsini che, tramite il sapere iniziatico possono gestire le cose del mondo.
Tuttavia è l’Orco è la figura più conosciuta del Parco. Con le sue fauci spalancate, gli occhi enormi, è in realtà una camera scavata nel tufo. Sul labbro superiore è inciso il verso: “Ogni pensiero vola”. Vi entriamo percorrendo alcuni gradini. Una volta all’interno, una panchina ed un piccolo tavolo invitano alla meditazione, mentre le nostre voci, considerata la forma del luogo, vengono amplificate e distorte, creando un effetto sonoro spaventoso.
La statua più grande del Bosco Sacro è invece denominata Il Colosso. Vi si distingue la lotta dei giganti Ercole e Caco con intorno alcune figure di guerrieri.
Ogni passo in questo giardino sui generis risveglia la sorpresa. C’è una grossa tartaruga, sul cui guscio è collocata la statua di una Nike, e c’è una balena che emerge dalla terra.
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Poco distante è il Teatro, in realtà una riproduzione molto piccola dell'esedra del palcoscenico. Ci fermiamo pensando di avere una vertigine. E invece la Casa Pendente, costruita volutamente su un masso inclinato, ci riappare in tutta la stravagante silhouette, provocando un certo smarrimento e costringendoci a camminare su un pavimento sorprendentemente inclinato.
Fuori dall’edificio, una misteriosa epigrafe in latino ammonisce: "Con il riposo lo spirito diventa più saggio”. Un grande piazzale che accoglie enormi vasi in pietra, un tempo ornati da iscrizioni oggi non più leggibili, conduce alla statua di Nettuno, adagiato su un letto d'acqua mentre regge tra le braccia un delfino.
A poca distanza, una ninfa gigantesca dorme poggiata sinuosamente sul braccio. Incontriamo Cerere con il suo cesto di spighe sul capo e ancora la sagoma imponente di un elefante con sulla schiena una torre e, nella proboscide, un legionario romano (forse un riferimento all'impresa di Annibale durante le Guerre puniche) e poi ancora un drago.
Parco dei Mostri di Bomarzo, Elefante
Vediamo Proserpina e Cerbero, il cane a tre teste a guardia dell'Oltretomba, mentre, di fronte al Piazzale delle Pigne, si affrontano Echidna, la Furia e i Leoni, presenti nello stemma di Viterbo.
Il piccolo Tempio, costruito vent'anni dopo rispetto al resto del Parco, e dedicato alla seconda moglie di Vicino Orsini, si trova un po’ isolato rispetto al percorso principale del Parco. Le forme architettoniche imitano diverse epoche, mentre l’interno è composto da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide.
Ci avviciniamo al termine di questa insolita esperienza. La Rotonda, con la sua terrazza sottostante è l’ultima meraviglia del Parco. Chi vuole può tornare indietro e ricominciare. A cercare di comprendere gli oscuri rimandi voluti dal suo eclettico proprietario o semplicemente a stupirsi, sciogliendo i pensieri, attraverso il mito e la fantasia.
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