Dal 7 dicembre al 7 febbraio

Il Salento di Giuseppe Palumbo, il fotografo in bicicletta

Archivio fotografico Giuseppe Palumbo | Giuseppe Plaumbo, Il modesto pasto del mezzogiorno, 1907-1908. Courtesy of Archivio Palumbo-Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
 

Samantha De Martin

07/12/2017

Roma - Contadini, cantastorie, piccoli pastori con le loro greggi. È popolato di volti e tradizioni il Salento di primo Novecento raccontato dall’obiettivo di Giuseppe Palumbo, il fotografo che, in sella a una bicicletta, a bordo di treno sferragliante o di un piccolo calesse, ha raccolto nei suoi scatti cinquant’anni di storie dalla terra d’Otranto.

“Fissare nell’immagine il ricordo di cose, che si andavano già avviando a definitiva scomparsa”. Era questo, già dal 1907, il motto del fotografo-giornalista, acuto indagatore della cultura popolare salentina. E lo si intuisce bene dall’eredità che ha lasciato, caratterizzata da circa 1700 immagini, molte delle quali, dopo essere rimaste dimenticate per sessant’anni, trovano finalmente nuova luce. A presentare questi scatti inediti, rielaborati con tecniche digitali, è la mostra Visioni del Sud. Fotografie di Giuseppe Palumbo, dal 7 dicembre al 7 febbraio al Museo delle Civiltà / Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, che riscopre il Sud Italia tra il 1907 e il 1959 e lo reinterpreta in chiave contemporanea.

Una grande piazza di paese con tanto di suggestive luminarie, allestita per l’occasione lungo le sale del museo, diventa così il cuore di questa mostra-laboratorio itinerante a cura di Paolo Pisanelli e Francesco Maggiore.
Alla base dei suggestivi reportage agresti di Palumbo, c’è il consapevole rispetto dell’uomo per l’ambiente naturale, ma anche l’impegno personale dell’artista alla conservazione del patrimonio ambientale, e l’interesse a documentare luoghi, monumenti, tradizioni. Il visitatore non si troverà davanti a uno dei tanti polverosi album che inneggiano al passato, quanto piuttosto a un'esposizione moderna che mira a coniugare ieri e oggi attraverso la colorazione delle immagini e l’utilizzo di lightbox, insomma di materiale “vivo” che include anche rielaborazioni e riletture di archivio da parte di artisti, designer, scrittori e musicisti.

Attraverso l’incontro tra la pratica meccanica e chimica della fotografia di ieri e la moderna elaborazione cromatica digitale, l’archivio di questo eco-reporter ante litteram, un po’ fotografo, un po’ antropologo, guarda al contemporaneo con le sue iconiche cartoline dal Sud.

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