Alessandro Mendini. Empatie. Un viaggio da Proust a Cattelan
Dal 13 Dicembre 2014 al 26 Aprile 2015
Aosta
Luogo: Centro Saint-Bénin
Indirizzo: via Festaz 27
Curatori: Alberto Fiz
Enti promotori:
- Assessorato all’Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta
- Atelier Mendini
Costo del biglietto: intero € 6, ridotto € 4, gratuito per i minori di 18 anni
Telefono per informazioni: +39 0165 274401
E-Mail info: u-mostre@regione.vda.it
Sito ufficiale: http://www.regione.vda.it
L’Assessore all’Istruzione e Cultura della Regione autonoma Valle d’Aosta, Emily Rini, comunica che verrà inaugurata venerdì 12 dicembre 2014, alle ore 18, al Centro Saint-Bénin di Aosta, la mostra Alessandro Mendini. Empatie. Un viaggio da Proust a Cattelan, un omaggio all’architetto e designer milanese, tra i più celebri a livello internazionale.
L’esposizione, curata da Alberto Fiz, è organizzata dall’Assessorato in collaborazione con l’Atelier Mendini, che ha ideato un allestimento spettacolare e coinvolgente composto da una serie di strutture verticali policrome, simili a paraventi, collocate nella navata centrale dell’ex-chiesa sconsacrata, in grado di modificare radicalmente la percezione dello spazio e la sua fruizione. In occasione dell’inaugurazione, è prevista la performance musicale Costume per Donna e Arpa in cui viene riproposto un emblematico lavoro del 1976 realizzato da Mendini durante il periodo del controdesign dove l’arpa e l’arpista sono avvolte da un unico abito a maglia puntinista, tanto da creare una vera e propria living sculpture.
Sono oltre 80 le opere esposte tra dipinti, disegni, progetti, sculture, mobili, oggetti d’arredo creati dall’inizio degli anni settanta sino a oggi in un percorso che si caratterizza per una serie di incontri e contaminazioni con grandi esponenti della letteratura, del design e dell’arte. Ne emerge un viaggio romanzesco quanto affascinante dove tra gli spazi del Centro Saint-Bénin fanno la loro comparsa i dialoghi con Marcel Proust, Ettore Sottsass, Kazimir Malevich, Alberto Savinio, Frank Stella e Maurizio Cattelan.
Mendini si rivolge a ciascuno di questi autori considerandoli parte integrante del suo processo creativo.
“Con questa esposizione dedicata ad Alessandro Mendini - dichiara l’Assessore Emily Rini - intendiamo presentare al pubblico un’iniziativa d’eccellenza nell’ambito dell’arte contemporanea, che costituirà il fiore all’occhiello della stagione culturale invernale ad Aosta. Personalità di caratura internazionale, Mendini ha ideato espressamente per il Centro Saint-Bénin di Aosta un progetto espositivo originale, di cui siamo particolarmente orgogliosi, che consente di rileggere il suo percorso creativo in chiave inedita e rappresenta un viaggio nella storia dell’arte moderna e contemporanea.”
E, come afferma il curatore della mostra Alberto Fiz, “ Mendini, nella costruzione della sua famiglia allargata, riflette con ironia e leggerezza sugli stili creando un universo integrato dove Stella va a bracceto con Cattelan, Malevich conversa con Savinio, mentre Proust e Sottsass giocano con gli alfabeti Non ci sono veti o divieti in un progetto dove l’unico comune denominatore è rappresentato dalle continue disseminazioni del grande burattinaio che ogni volta si sviluppa una differente forma di empatia. ”
Emblematico è il caso di Marcel Proust a cui è legata una delle opere più famose di Mendini la Poltrona Proust del 1978 proposta in mostra insieme a numerose altre declinazioni (lo è, ad esempio, la Poltrona Proust Geometrica del 2009) dove appare evidente come la ridefinizione dell’elemento di arredo passi attraversa la letteratura assumendo un aspetto mentale in un ricordo che si materializza intorno all’idea della decorazione puntinista di Georges Seurat e Paul Signac. “L’oggetto deve produrre primariamente un pensiero ancor prima di una funzione in una progressiva ipotesi utopica destinata al raggiungimento di una sintesi possibile”, afferma Mendini che nello “spazio” Proust al Centro Saint-Bénin ha voluto proporre una serie di opere che si connettono direttamente con la celebre poltrona, come un grande dipinto astratto o persino un vassoio “proustiano” su cui fanno la loro comparsa i cavatappi di Anna G. e Alessandro M. creando, in tal modo, un girotondo imprevedibile di segnali e di messaggi.
Lo stesso principio vale per il suprematista russo Kazimir Malevich la cui teoria del colore viene applicata da Mendini a Neo Malevi?, una scultura in cartapesta dipinta a mano che ha le vaghe sembianze di un totem africano. La figura geometrica viene trasformata dal processo antropomorofo rendendo l’immagine ambigua e imprevedibile. Ma il desiderio irrefrenabile di sviluppare la componente tridimensionale della pittura investe anche Alberto Savinio che entra nella sfera dell’architettura senza per questo perdere la sua caratteristica visionarietà. Da un celebre dipinto realizzato dal pittore romano nel 1930 L’isola dei giocattoli, Mendini, nel suo fare rabdomantico, estrapola un arco monumentale che diventa lo scrigno delle cose segrete. Ma anche un luogo di passaggio tra realtà e utopia. L’Archetto domestico di 240 centimetri di altezza fa la sua incursione in mostra proponendo un dialogo inedito con un grande dipinto, in stile saviniano realizzato nel 1986. Se, come afferma Mendini “la mitologia è fonte infinita di utopie”, il percorso dell’esposizione prosegue attraverso la messa in scena di un altro colloquio particolarmente ricco d’implicazioni, quello con l’amico Ettore Sottsass con cui Mendini ha condiviso il desiderio di liberare il design da ogni ipotesi di funzionalismo restituendo agli oggetti un’anima scanzonata e ribelle. Sin dalla seconda metà degli anni settanta, fianco a fianco durante l’epoca di Alchimia, sono stati loro a dare un apporto fondamentale ad una nuova estetica, non più schiava del progetto ma libera da condizionamenti dove la composizione nasce da segni visivi adatti ad invadere ogni cosa scivolando su una specchiera o arrampicandosi su Clarabella, un grande mobile-totem verticale del 2013 alto oltre due metri in legno laccato dipinto a mano esposto al Centro Saint-Bénin. La mostra prevede anche l’incontro con Frank Stella, protagonista dell’arte americana e anticipatore del movimento minimalista da cui, in seguito, prenderà le distanze. Il fil rouge che unisce Mendini e Stella è il Groninger museum nella cittadina olandese di Groningen inaugurato nel 1994. L’edificio, che poggia sull’acqua come una nave e ha una straordinaria assonanza con l’Isola dei giocattoli di Savinio, è stato concepito da Mendini come un complesso polimaterico dove architettura, design e pittura trovano una nuova coniugazione. Per questo straordinario progetto ha collaborato anche Frank Stella che avrebbe dovuto realizzare il Padiglione di Arte Antica. Ma la sua proposta, troppo provocatoria e azzardata, caratterizzata da un tetto ondulato con due grandi foglie sovrapposte e da un pavimento inclinato, è rimasta sulla carta. Oggi il progetto utopico e visionario di Stella viene esposto in mostra in uno spazio dove compaiono elementi naturali stilizzati accanto ad una serie di sculture realizzate da Mendini che suggeriscono la forma della stella in un rimando sussurrato all’artista. E citando Friedrich Nietzsche si potrebbe affermare: “Da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui?”
Di fronte ad un outsider come Frank Stella non poteva che trovare posto Maurizio Cattelan. Con lui Mendini (entrambi si sono fatti ritrarre con le mani conserte e il cappello da sombrero, quasi fossero una copia affiatata dei B movie) ha dato vita ad un duetto gustoso accostando la miniatura della sua celebre Scivolavo, la sedia inclinata verso terra del 1975, esempio emblematico del controdesign, con la reinterpretazione fotografica che ne ha fatto Cattelan utilizzando la Scivolavo come specchio conturbante e sensuale. Ma non c’è dubbio che la strana coppia (si conoscono da oltre vent’anni e Mendini ha collaborato con i suoi disegni al catalogo della mostra torinese Shit and Die curata da Cattelan) ha molti punti di contatto e osservando Corpo vincolato del 1975 con Mendini legato non si può che pensare ad un altro corpo vincolato, quello del gallerista di Cattelan appeso al muro con lo scotch in un lavoro del 1999. “Il paradosso è garanzia di pensiero”, afferma Mendini rivolgendosi a Cattelan ma forse anche a se stesso, come dimostrano i lavori fotografici realizzati dal designer negli anni settanta esposti in mostra come la lampada che non fa luce, il tavolo di vetro a forma di bara, il bicchiere da cui non si può bere, la pacifica Armatura per violino e violinista o il Monumentino da casa dove la sedia domestica diventa un trono nell’esaltazione ironica dell’oggetto banale.
Ma cos’è un’opera d’arte? Secondo Cattelan “è la vita con le parti noiose tagliate”. Un’affermazione che Mendini è pronto a sottoscrivere e lo conferma anche il fumetto dedicato ai due da Massimo Giacon.
L’esposizione è accompagnata da un ampio catalogo monografico in italiano e francese edito da Silvana Editoriale con interventi di Andrea Branzi, Germano Celant, Alberto Fiz, Daria Jorioz e una raccolta di testi di Alessandro Mendini.
Architetto, designer e artista, Alessandro Mendini è nato a Milano nel 1931.
L’architettura non era un suo sogno di ragazzo. In realtà desiderava fare il cartoonist o forse anche il pittore, fatto sta che nel 1959 si ritrova laureato in architettura.
Lo Studio Nizzoli Associati è il suo primo luogo di lavoro.
Nel 1970 abbandona la progettazione architettonica per dedicarsi al giornalismo specializzato in architettura e design. Dirige la rivista Casabella dal 1970 al 1976 e l’anno successivo fonda Modo che guida fino al 1979. E’ Giò Ponti, quello stesso anno, a consegnargli la direzione di Domus incarico che prosegue sino al 1985. A distanza di 25 anni, da marzo 2010 riprende per dodici mesi e dodici numeri la direzione della rivista.
Negli anni settanta Mendini prende parte a gran parte delle esperienze di radical design che vedono la luce in questo periodo. Nel 1973 è tra i fondatori di Global Tools, un gruppo che fa parte del controdesign e si oppone con forza alla tradizione proponendo tematiche nuove come il corpo, la nuova edilizia, la comunicazione sociale e individuale. I membri del movimento si riuniscono nella redazione di Casabella. Nel 1979 gli viene assegnato il Compasso d’Oro per la sua attività di approfondimento teorico.
In questi anni pubblica anche libri che raccolgono le sue idee: Paesaggio Casalingo (1978), Addio Architettura (1981) e Progetto Infelice (1983).
Nel 1979 entra nello Studio Alchimia, fondato nel 1973 da Alessandro Guerriero, che punta alla creazione di oggetti con riferimenti alla cultura popolare e al kitsch, al di fuori della produzione industriale e della loro funzionalità. Una sfida nei confronti dei principi progettuali per inseguire il sogno alchimistico, per trasformare anche il materiale più povero in oggetti di valore. Con lui lavorano, tra gli altri, Ettore Sottsass e Michele De Lucchi. Nel 1981 vince con Alchimia un altro Compasso d’Oro per la realizzazione del Mobile Infinito.
Nel 1989 apre, con il fratello Francesco, l'Atelier Mendini a Milano.
Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture.
Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, Hermès, Venini ed è consulente di varie industrie, anche nell’Estremo Oriente, per l’impostazione dei loro problemi di immagine e di design.
E' membro onorario della Bezabel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, è Chevaler des Arts et des Lettres in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E' stato professore di design alla Hochschule fur Angewandte Kunst a Vienna ed è professore onorario all’Academic Council of Guangzhou Academy of Fine Arts in Cina.
Ha organizzato diverse esposizioni e seminari in Italia e all’estero. I suoi lavori si trovano in vari musei, nella collezione permanente del Gilmar Paper Company, al Museo d’Arte Moderna di New York, negli archivi dell’Università di Parma e al centro Pompidou di Parigi.
Con l’Atelier Mendini ha operato in diversi paesi progettando, tra l’altro, le fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni della metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a Vicenza, il recupero di tre aree industriali con edifici destinati a spazi commerciali, uffici, residence e abitazioni a Milano Bovisa, la passeggiata a mare di Catanzaro Lido; una torre a Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover e un edificio commerciale a Lörrach in Germania, e altri edifici in Europa e negli Stati Uniti. In Corea l’Atelier Mendini ha progettato la sede della Triennale di Milano a Incheon, e a Seoul sviluppa vari lavori di architettura, di interni e di design. Quest’anno gli è stato conferito il suo terzo Compasso d’Oro, alla Carriera, l’European Prize for Architecture 2014 a Chicago e la Laurea Honoris Causa dall’Accademia di Belle Arti di Wroclaw in Polonia.
L’esposizione, curata da Alberto Fiz, è organizzata dall’Assessorato in collaborazione con l’Atelier Mendini, che ha ideato un allestimento spettacolare e coinvolgente composto da una serie di strutture verticali policrome, simili a paraventi, collocate nella navata centrale dell’ex-chiesa sconsacrata, in grado di modificare radicalmente la percezione dello spazio e la sua fruizione. In occasione dell’inaugurazione, è prevista la performance musicale Costume per Donna e Arpa in cui viene riproposto un emblematico lavoro del 1976 realizzato da Mendini durante il periodo del controdesign dove l’arpa e l’arpista sono avvolte da un unico abito a maglia puntinista, tanto da creare una vera e propria living sculpture.
Sono oltre 80 le opere esposte tra dipinti, disegni, progetti, sculture, mobili, oggetti d’arredo creati dall’inizio degli anni settanta sino a oggi in un percorso che si caratterizza per una serie di incontri e contaminazioni con grandi esponenti della letteratura, del design e dell’arte. Ne emerge un viaggio romanzesco quanto affascinante dove tra gli spazi del Centro Saint-Bénin fanno la loro comparsa i dialoghi con Marcel Proust, Ettore Sottsass, Kazimir Malevich, Alberto Savinio, Frank Stella e Maurizio Cattelan.
Mendini si rivolge a ciascuno di questi autori considerandoli parte integrante del suo processo creativo.
“Con questa esposizione dedicata ad Alessandro Mendini - dichiara l’Assessore Emily Rini - intendiamo presentare al pubblico un’iniziativa d’eccellenza nell’ambito dell’arte contemporanea, che costituirà il fiore all’occhiello della stagione culturale invernale ad Aosta. Personalità di caratura internazionale, Mendini ha ideato espressamente per il Centro Saint-Bénin di Aosta un progetto espositivo originale, di cui siamo particolarmente orgogliosi, che consente di rileggere il suo percorso creativo in chiave inedita e rappresenta un viaggio nella storia dell’arte moderna e contemporanea.”
E, come afferma il curatore della mostra Alberto Fiz, “ Mendini, nella costruzione della sua famiglia allargata, riflette con ironia e leggerezza sugli stili creando un universo integrato dove Stella va a bracceto con Cattelan, Malevich conversa con Savinio, mentre Proust e Sottsass giocano con gli alfabeti Non ci sono veti o divieti in un progetto dove l’unico comune denominatore è rappresentato dalle continue disseminazioni del grande burattinaio che ogni volta si sviluppa una differente forma di empatia. ”
Emblematico è il caso di Marcel Proust a cui è legata una delle opere più famose di Mendini la Poltrona Proust del 1978 proposta in mostra insieme a numerose altre declinazioni (lo è, ad esempio, la Poltrona Proust Geometrica del 2009) dove appare evidente come la ridefinizione dell’elemento di arredo passi attraversa la letteratura assumendo un aspetto mentale in un ricordo che si materializza intorno all’idea della decorazione puntinista di Georges Seurat e Paul Signac. “L’oggetto deve produrre primariamente un pensiero ancor prima di una funzione in una progressiva ipotesi utopica destinata al raggiungimento di una sintesi possibile”, afferma Mendini che nello “spazio” Proust al Centro Saint-Bénin ha voluto proporre una serie di opere che si connettono direttamente con la celebre poltrona, come un grande dipinto astratto o persino un vassoio “proustiano” su cui fanno la loro comparsa i cavatappi di Anna G. e Alessandro M. creando, in tal modo, un girotondo imprevedibile di segnali e di messaggi.
Lo stesso principio vale per il suprematista russo Kazimir Malevich la cui teoria del colore viene applicata da Mendini a Neo Malevi?, una scultura in cartapesta dipinta a mano che ha le vaghe sembianze di un totem africano. La figura geometrica viene trasformata dal processo antropomorofo rendendo l’immagine ambigua e imprevedibile. Ma il desiderio irrefrenabile di sviluppare la componente tridimensionale della pittura investe anche Alberto Savinio che entra nella sfera dell’architettura senza per questo perdere la sua caratteristica visionarietà. Da un celebre dipinto realizzato dal pittore romano nel 1930 L’isola dei giocattoli, Mendini, nel suo fare rabdomantico, estrapola un arco monumentale che diventa lo scrigno delle cose segrete. Ma anche un luogo di passaggio tra realtà e utopia. L’Archetto domestico di 240 centimetri di altezza fa la sua incursione in mostra proponendo un dialogo inedito con un grande dipinto, in stile saviniano realizzato nel 1986. Se, come afferma Mendini “la mitologia è fonte infinita di utopie”, il percorso dell’esposizione prosegue attraverso la messa in scena di un altro colloquio particolarmente ricco d’implicazioni, quello con l’amico Ettore Sottsass con cui Mendini ha condiviso il desiderio di liberare il design da ogni ipotesi di funzionalismo restituendo agli oggetti un’anima scanzonata e ribelle. Sin dalla seconda metà degli anni settanta, fianco a fianco durante l’epoca di Alchimia, sono stati loro a dare un apporto fondamentale ad una nuova estetica, non più schiava del progetto ma libera da condizionamenti dove la composizione nasce da segni visivi adatti ad invadere ogni cosa scivolando su una specchiera o arrampicandosi su Clarabella, un grande mobile-totem verticale del 2013 alto oltre due metri in legno laccato dipinto a mano esposto al Centro Saint-Bénin. La mostra prevede anche l’incontro con Frank Stella, protagonista dell’arte americana e anticipatore del movimento minimalista da cui, in seguito, prenderà le distanze. Il fil rouge che unisce Mendini e Stella è il Groninger museum nella cittadina olandese di Groningen inaugurato nel 1994. L’edificio, che poggia sull’acqua come una nave e ha una straordinaria assonanza con l’Isola dei giocattoli di Savinio, è stato concepito da Mendini come un complesso polimaterico dove architettura, design e pittura trovano una nuova coniugazione. Per questo straordinario progetto ha collaborato anche Frank Stella che avrebbe dovuto realizzare il Padiglione di Arte Antica. Ma la sua proposta, troppo provocatoria e azzardata, caratterizzata da un tetto ondulato con due grandi foglie sovrapposte e da un pavimento inclinato, è rimasta sulla carta. Oggi il progetto utopico e visionario di Stella viene esposto in mostra in uno spazio dove compaiono elementi naturali stilizzati accanto ad una serie di sculture realizzate da Mendini che suggeriscono la forma della stella in un rimando sussurrato all’artista. E citando Friedrich Nietzsche si potrebbe affermare: “Da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui?”
Di fronte ad un outsider come Frank Stella non poteva che trovare posto Maurizio Cattelan. Con lui Mendini (entrambi si sono fatti ritrarre con le mani conserte e il cappello da sombrero, quasi fossero una copia affiatata dei B movie) ha dato vita ad un duetto gustoso accostando la miniatura della sua celebre Scivolavo, la sedia inclinata verso terra del 1975, esempio emblematico del controdesign, con la reinterpretazione fotografica che ne ha fatto Cattelan utilizzando la Scivolavo come specchio conturbante e sensuale. Ma non c’è dubbio che la strana coppia (si conoscono da oltre vent’anni e Mendini ha collaborato con i suoi disegni al catalogo della mostra torinese Shit and Die curata da Cattelan) ha molti punti di contatto e osservando Corpo vincolato del 1975 con Mendini legato non si può che pensare ad un altro corpo vincolato, quello del gallerista di Cattelan appeso al muro con lo scotch in un lavoro del 1999. “Il paradosso è garanzia di pensiero”, afferma Mendini rivolgendosi a Cattelan ma forse anche a se stesso, come dimostrano i lavori fotografici realizzati dal designer negli anni settanta esposti in mostra come la lampada che non fa luce, il tavolo di vetro a forma di bara, il bicchiere da cui non si può bere, la pacifica Armatura per violino e violinista o il Monumentino da casa dove la sedia domestica diventa un trono nell’esaltazione ironica dell’oggetto banale.
Ma cos’è un’opera d’arte? Secondo Cattelan “è la vita con le parti noiose tagliate”. Un’affermazione che Mendini è pronto a sottoscrivere e lo conferma anche il fumetto dedicato ai due da Massimo Giacon.
L’esposizione è accompagnata da un ampio catalogo monografico in italiano e francese edito da Silvana Editoriale con interventi di Andrea Branzi, Germano Celant, Alberto Fiz, Daria Jorioz e una raccolta di testi di Alessandro Mendini.
Architetto, designer e artista, Alessandro Mendini è nato a Milano nel 1931.
L’architettura non era un suo sogno di ragazzo. In realtà desiderava fare il cartoonist o forse anche il pittore, fatto sta che nel 1959 si ritrova laureato in architettura.
Lo Studio Nizzoli Associati è il suo primo luogo di lavoro.
Nel 1970 abbandona la progettazione architettonica per dedicarsi al giornalismo specializzato in architettura e design. Dirige la rivista Casabella dal 1970 al 1976 e l’anno successivo fonda Modo che guida fino al 1979. E’ Giò Ponti, quello stesso anno, a consegnargli la direzione di Domus incarico che prosegue sino al 1985. A distanza di 25 anni, da marzo 2010 riprende per dodici mesi e dodici numeri la direzione della rivista.
Negli anni settanta Mendini prende parte a gran parte delle esperienze di radical design che vedono la luce in questo periodo. Nel 1973 è tra i fondatori di Global Tools, un gruppo che fa parte del controdesign e si oppone con forza alla tradizione proponendo tematiche nuove come il corpo, la nuova edilizia, la comunicazione sociale e individuale. I membri del movimento si riuniscono nella redazione di Casabella. Nel 1979 gli viene assegnato il Compasso d’Oro per la sua attività di approfondimento teorico.
In questi anni pubblica anche libri che raccolgono le sue idee: Paesaggio Casalingo (1978), Addio Architettura (1981) e Progetto Infelice (1983).
Nel 1979 entra nello Studio Alchimia, fondato nel 1973 da Alessandro Guerriero, che punta alla creazione di oggetti con riferimenti alla cultura popolare e al kitsch, al di fuori della produzione industriale e della loro funzionalità. Una sfida nei confronti dei principi progettuali per inseguire il sogno alchimistico, per trasformare anche il materiale più povero in oggetti di valore. Con lui lavorano, tra gli altri, Ettore Sottsass e Michele De Lucchi. Nel 1981 vince con Alchimia un altro Compasso d’Oro per la realizzazione del Mobile Infinito.
Nel 1989 apre, con il fratello Francesco, l'Atelier Mendini a Milano.
Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture.
Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Bisazza, Swatch, Hermès, Venini ed è consulente di varie industrie, anche nell’Estremo Oriente, per l’impostazione dei loro problemi di immagine e di design.
E' membro onorario della Bezabel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, è Chevaler des Arts et des Lettres in Francia, ha ricevuto l'onorificenza dell'Architectural League di New York e la Laurea Honoris Causa al Politecnico di Milano. E' stato professore di design alla Hochschule fur Angewandte Kunst a Vienna ed è professore onorario all’Academic Council of Guangzhou Academy of Fine Arts in Cina.
Ha organizzato diverse esposizioni e seminari in Italia e all’estero. I suoi lavori si trovano in vari musei, nella collezione permanente del Gilmar Paper Company, al Museo d’Arte Moderna di New York, negli archivi dell’Università di Parma e al centro Pompidou di Parigi.
Con l’Atelier Mendini ha operato in diversi paesi progettando, tra l’altro, le fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni della metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, i nuovi uffici di Trend Group a Vicenza, il recupero di tre aree industriali con edifici destinati a spazi commerciali, uffici, residence e abitazioni a Milano Bovisa, la passeggiata a mare di Catanzaro Lido; una torre a Hiroshima in Giappone; il Museo di Groningen in Olanda; un quartiere a Lugano in Svizzera; il palazzo per gli uffici Madsack ad Hannover e un edificio commerciale a Lörrach in Germania, e altri edifici in Europa e negli Stati Uniti. In Corea l’Atelier Mendini ha progettato la sede della Triennale di Milano a Incheon, e a Seoul sviluppa vari lavori di architettura, di interni e di design. Quest’anno gli è stato conferito il suo terzo Compasso d’Oro, alla Carriera, l’European Prize for Architecture 2014 a Chicago e la Laurea Honoris Causa dall’Accademia di Belle Arti di Wroclaw in Polonia.
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