Tarshito. Vasi comunicanti
Dal 21 Ottobre 2014 al 30 Novembre 2014
Milano
Luogo: Triennale DesignCafé
Indirizzo: via Alemagna 6
Orari: da martedi a domenica 10.30-20.30; giovedi 10.30-23
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 724341
E-Mail info: info@triennale.org
Sito ufficiale: http://www.triennale.org
Una mostra incentrata su unica tipologia, quella del vaso, metafora esemplificativa della progettualità di Tarshito e della sua tensione verso trascendenza e spiritualità.
Il vaso per Tarshito è uno spazio di elezione, un contenitore che simbolicamente si presta a essere riempito di amore e bellezza.
Così Tarshito presenta concettualmente il progetto:
“L'artista è il vaso vuoto
la creatività è di natura divina.
Non è tua, semplicemente si manifesta attraverso te riempiendo il tuo vaso per prepararsi all’ incontro con il divino e con la creatività.
Come svuotarsi per accoglierli?
Come pulire lo spazio di accoglienza interiore affinché il passaggio della creatività attraverso me sia il più possibile non contaminato?
La possibilità di incontrare il divino
attraverso l’arte.
Per vivere nel divino.
Per respirare il divino.
La coscienza a essere aperti,
come un vaso, per ricevere.
imparare a riconoscere in ogni essere, in ogni oggetto che incontriamo virtù particolari.
Aprire cuore e intelletto
e tutto può diventare
nutrimento per la nostra vita interiore”.
Nato a Corato (Bari) il 13 agosto 1952, si laurea nel 1979 alla Facoltà di Architettura di Firenze con una Tesi sul teatro di strada (relatore Gianni Pettena, esponente dell’Architettura radicale). Parte subito dopo per un viaggio in India, che rappresenta per lui una rinascita.
Nei primi anni ’80 fonda a Bari la Galleria Speciale, insieme a Shama, la sua compagna di allora, anche lei designer e artista. L’esperienza dura fino al 1987 coinvolgendo progettisti e artisti di fama (Alessandro Mendini, Mario Merz, Nanda Vigo) o anche ignoti, purché interessati all’esperienza/progettazione di momenti e oggetti di “nuova ritualità”. Esemplare in questo ambito la bella serie dei Tappeti e arazzi della meditazione.
Nel 1990 l’esperienza di Speciale viene documentata con una Grande Mostra al Groninger Museum della città di Groningen, in Olanda, conclusiva di un trilogia che il suo direttore Frans Hacks volle dedicare al design italiano degli anni Ottanta (uniche esperienze documentate nella stessa trilogia: quella di Ettore Sottsass ovvero Memphis e di Alessandro Mendini ovvero Alchimia).
Gli anni ’90 vedono Tarshito protagonista di mostre collettive e personali e sempre più creativamente impegnato sull’archetipo del Guerriero d’Amore.
Ma é soprattutto con la Grande personale The Gold and the Clay (2001) curata da Daniela Bezzi e da Jyotindra Jain al Crafts Museum di New Delhi, che il suo percorso artistico si espande e al tempo stesso si focalizza, nell’entusiasmante pratica di collaborazione con gli artigianati dell’India. Dalla terracotta al metallo, dalle pitture tribali della tradizione Warli oppure Sohrai ai ricami del Gujarath o del Rajasthan, dalle delicate miniature di Bikaner agli sgargianti dipinti devozionali dell’Orissa: la sete di sperimentazione in sempre nuove relazioni di ‘condivisione creativa’ non conosce sosta, mentre si fa strada il desiderio di dipingere in proprio, di provarsi con il segno del pennello sulla tela con gesto proprio.
Il risultato è l’infinita serie dei Vasi, grandi, enormi oppure piccoli, su carta, tessuto o in sculture di grandi dimensioni, che sono il più eloquente Manifesto della sua poetica: l’Opera di Tarshito si esprime nell’atto dell’accogliere e riempirsi, e quindi traboccare. Un travaso concettuale ed emotivo che avviane nella relazione con la forma/materia dell’artigiano, o guidando sedute particolarissime di meditazione, o progettando opere che possono considerarsi Monumenti a un tipo completamente nuovo e al tempo stesso antico e purissimo di Arte sacra: quella in cui l’artista si propone come umile canale di trasmissione, di una creatività che essendo già in sé stessa ‘dono’, potrà solo gioiosamente condividersi, anche autorialmente, con altri. Restando però sempre e inconfondibilmente by Tarshito, per la leggerezza con cui tutto ciò si compia e celebra, ogni volta.
Il vaso per Tarshito è uno spazio di elezione, un contenitore che simbolicamente si presta a essere riempito di amore e bellezza.
Così Tarshito presenta concettualmente il progetto:
“L'artista è il vaso vuoto
la creatività è di natura divina.
Non è tua, semplicemente si manifesta attraverso te riempiendo il tuo vaso per prepararsi all’ incontro con il divino e con la creatività.
Come svuotarsi per accoglierli?
Come pulire lo spazio di accoglienza interiore affinché il passaggio della creatività attraverso me sia il più possibile non contaminato?
La possibilità di incontrare il divino
attraverso l’arte.
Per vivere nel divino.
Per respirare il divino.
La coscienza a essere aperti,
come un vaso, per ricevere.
imparare a riconoscere in ogni essere, in ogni oggetto che incontriamo virtù particolari.
Aprire cuore e intelletto
e tutto può diventare
nutrimento per la nostra vita interiore”.
Nato a Corato (Bari) il 13 agosto 1952, si laurea nel 1979 alla Facoltà di Architettura di Firenze con una Tesi sul teatro di strada (relatore Gianni Pettena, esponente dell’Architettura radicale). Parte subito dopo per un viaggio in India, che rappresenta per lui una rinascita.
Nei primi anni ’80 fonda a Bari la Galleria Speciale, insieme a Shama, la sua compagna di allora, anche lei designer e artista. L’esperienza dura fino al 1987 coinvolgendo progettisti e artisti di fama (Alessandro Mendini, Mario Merz, Nanda Vigo) o anche ignoti, purché interessati all’esperienza/progettazione di momenti e oggetti di “nuova ritualità”. Esemplare in questo ambito la bella serie dei Tappeti e arazzi della meditazione.
Nel 1990 l’esperienza di Speciale viene documentata con una Grande Mostra al Groninger Museum della città di Groningen, in Olanda, conclusiva di un trilogia che il suo direttore Frans Hacks volle dedicare al design italiano degli anni Ottanta (uniche esperienze documentate nella stessa trilogia: quella di Ettore Sottsass ovvero Memphis e di Alessandro Mendini ovvero Alchimia).
Gli anni ’90 vedono Tarshito protagonista di mostre collettive e personali e sempre più creativamente impegnato sull’archetipo del Guerriero d’Amore.
Ma é soprattutto con la Grande personale The Gold and the Clay (2001) curata da Daniela Bezzi e da Jyotindra Jain al Crafts Museum di New Delhi, che il suo percorso artistico si espande e al tempo stesso si focalizza, nell’entusiasmante pratica di collaborazione con gli artigianati dell’India. Dalla terracotta al metallo, dalle pitture tribali della tradizione Warli oppure Sohrai ai ricami del Gujarath o del Rajasthan, dalle delicate miniature di Bikaner agli sgargianti dipinti devozionali dell’Orissa: la sete di sperimentazione in sempre nuove relazioni di ‘condivisione creativa’ non conosce sosta, mentre si fa strada il desiderio di dipingere in proprio, di provarsi con il segno del pennello sulla tela con gesto proprio.
Il risultato è l’infinita serie dei Vasi, grandi, enormi oppure piccoli, su carta, tessuto o in sculture di grandi dimensioni, che sono il più eloquente Manifesto della sua poetica: l’Opera di Tarshito si esprime nell’atto dell’accogliere e riempirsi, e quindi traboccare. Un travaso concettuale ed emotivo che avviane nella relazione con la forma/materia dell’artigiano, o guidando sedute particolarissime di meditazione, o progettando opere che possono considerarsi Monumenti a un tipo completamente nuovo e al tempo stesso antico e purissimo di Arte sacra: quella in cui l’artista si propone come umile canale di trasmissione, di una creatività che essendo già in sé stessa ‘dono’, potrà solo gioiosamente condividersi, anche autorialmente, con altri. Restando però sempre e inconfondibilmente by Tarshito, per la leggerezza con cui tutto ciò si compia e celebra, ogni volta.
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