Intervista alla regista Doriana Monaco

Agalma: la vita segreta del MANN in un film

Agalma | Courtesy Nexo+
 

Francesca Grego

17/03/2021

Fuori, un imponente palazzo borbonico, immobile nel cuore di Napoli. Dentro, un microcosmo in movimento attorno ai suoi tesori: affreschi, mosaici, bronzi e marmi antichi, testimonianze uniche di mondi lontani nel tempo. Parliamo del MANN, tra i più straordinari scrigni di arte e di archeologia del pianeta, che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé grazie a mostre, collaborazioni internazionali e progetti tesi ad attualizzare il suo immenso patrimonio. Una giovane regista, Doriana Monaco, ha deciso di raccontarne la vita segreta in un documentario fuori dagli schemi: immagini ricercate, poesia, cura per i dettagli sono gli ingredienti di Agalma, tra i titoli più attesi sulla nuova piattaforma di contenuti audiovisivi on demand NEXO+, già selezionato alla 17esima edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 77. 

A impreziosire il racconto targato Parallelo 41 e Ladoc, le voci degli attori Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni, che ricordano: “Quando ci hanno mostrato il lavoro di Doriana Monaco, ne siamo rimasti incantati, e non abbiamo avuto dubbi: lo sguardo della regista illumina gli spazi del Museo Archeologico ed entra nel cuore delle opere con sapienza e poesia. Agalma coinvolge il pubblico in un'esperienza profonda restituendo lo sguardo e la voce di capolavori approdati al presente da un tempo remoto e misterioso”.

“Noi siamo quei privilegiati che da secoli guardano in faccia la storia”, dice una statua di marmo oltre lo schermo, “frammento di un racconto passato” e di “un corpo futuro”. Mentre la storia sembra farsi beffe degli uomini, Agalma (che in greco significa "statua", "immagine") ci mostra il tempo, la materia e il nostro rapporto con l’arte sotto una nuova luce. Ne parliamo con la regista Doriana Monaco. 


Agalma | Courtesy Nexo+

Dove nasce l’idea di Agalma?
“Ho studiato storia dell’arte e archeologia, e accanto al cinema l’arte classica è una delle mie passioni. L’idea del film è arrivata durante l’ultimo anno dei miei studi, in quel periodo ero già molto interessata al mondo del documentario. Due grandi passioni si sono incontrate anche grazie alla disponibilità e all’apertura dimostrate dal MANN e dal direttore Giulierini. Il mio obiettivo era raccontare la materia archeologica attraverso un documentario libero, di creazione, andando oltre i topos del documentario divulgativo”. 

Con quale spirito ti sei accostata all’universo racchiuso tra le mura del MANN?
“Uno degli aspetti che più mi interessavano era quello della materia, del frammento, del ritrovamento, che è molto presente nell’arte classica. Volevo riuscire a far parlare le superfici delle sculture, delle ceramiche, degli affreschi e cercavo un modo per raccontarle visivamente. Poi il mio sguardo si è allargato allo spazio in cui erano posizionate le opere e ho iniziato a filmarle nel loro contesto. Passando intere giornate all’interno del MANN, mi si è aperto anche un altro scenario: quello della vita che scorre tra le mura del museo, un mondo di rituali e di attività che da visitatrice potevo solo vagamente immaginare”. 

Per esempio?
“Visto dall’interno il museo appare come un vero e proprio un cantiere: il costante movimento delle opere soprattutto nei giorni di chiusura, quando si allestiscono le nuove mostre, gli arrivi e le partenze in occasione dei prestiti… Un dinamismo enfatizzato dai nuovi allestimenti con cui il MANN sta rinnovando la presentazione delle sue gigantesche collezioni…”. 


Agalma I Courtesy Nexo+

Come sei riuscita a inserirti nel flusso di questa “vita segreta”? 
“I restauratori e il personale del museo sono abituati alle telecamere, ma io chiedevo di passare con loro molte ore, di fare finta che non ci fossi per filmarli durante le normali attività quotidiane: un approccio che all’inizio li ha sorpresi, ma che hanno accolto con grande disponibilità. In tre anni ho passato molte giornate al museo, dall’apertura mattutina fino alla chiusura serale”. 

Tra gli innumerevoli tesori del MANN c’è un’opera che è riuscita a sorprenderti? 
“Sono molto legata alla statua di Zeus in trono, che vediamo nell’apertura del film. Ha una storia particolare, che non ho potuto raccontare visivamente perché sono arrivata al MANN troppo tardi. L’opera è arrivata a Napoli nel 2017 dal Getty Museum di Los Angeles, che l’ha restituita al Museo Archeologico perché era stata esportata in America illegalmente. Con la sua superficie corrosa, scolpita dal mare in cui è stata immersa per lungo tempo, questa statua rappresenta per me tutta la poesia dell’arte che arriva fino a noi da epoche lontane”. 

Che cosa ti ha colpita osservando quotidianamente i comportamenti dei visitatori del museo? 
“Questo è stato un altro aspetto molto interessante. Inizialmente non sapevo bene come rappresentare il punto di vista della fruizione: non volevo riprendere fiumi di gente che passa senza soffermarsi davanti a capolavori eccezionali, anche se è quello che a volte accade. Poi un giorno ho deciso di posizionare la camera in una sala e mi sono resa conto che a un certo punto il visitatore giusto arriva: uno sguardo, una posizione evocativa, un’espressione che richiama proprio il volto della statua che hai sotto gli occhi, e la realtà prende vita in modo quasi magico”. 

Vivere all’interno del MANN ti avrà riservato esperienze preziose…
“Il martedì al MANN è giorno di chiusura e filmare nel museo vuoto è un’esperienza davvero incredibile. In queste occasioni mi capitava spesso di incontrare Luigi Spina, un fotografo straordinario che da anni lavora sull’arte classica e sulle opere del Museo Archeologico. Quando ha fotografato la Collezione Farnese durante il riallestimento, ha scritto un diario che mi è piaciuto molto. L’ultima frase del film si ispira proprio a una sua riflessione, ribaltandone il punto di vista. Spina si sentiva un privilegiato a poter fotografare le sculture della Collezione Farnese. Io ho dato voce alle statue perché rivelassero un altro grande privilegio: osservare il mondo che cambia, i visitatori che vanno e vengono, mentre una scultura può attraversare i secoli restando sostanzialmente uguale a se stessa”. 


Agalma I Courtesy Nexo+

Perché in Agalma le statue prendono la parola in prima persona?
“È un modo interessante per raccontare la storia di un’opera d’arte, anche se all’inizio mi sembrava un po’ rischioso. Poi ho saputo che gli stessi Greci erano soliti aggiungere alla base di ogni statua un’iscrizione: ‘Sono stata realizzata da… per questo motivo… e dedicata a…’. Questa scoperta è stata la scintilla che mi ha convinta a dare voce alle statue. Ho cercato di farlo con equilibrio e discrezione: con la montatrice Enrica Gatto abbiamo misurato con molta attenzione lo spazio da dare ai testi, perché Agalma è un film fatto soprattutto di immagini”.  

Agalma è anche omaggio a Viaggio in Italia di Roberto Rossellini. Come mai?
“Nell’inquadratura finale c’è un richiamo diretto a una scena del film di Rossellini: uno dei primi fotogrammi che ho messo da parte quando ho cominciato a pensare ad Agalma. è il momento in cui Ingrid Bergman si trova di fronte all’Ercole Farnese, che le suscita una forte sensazione. Al museo e in particolare con le statue il personaggio interpretato dalla Bergman vive un’esperienza fortissima, emblematica dell’intensità del suo incontro con la città di Napoli”. 

In definitiva, qual è il messaggio di Agalma per gli spettatori?
“Non ho fatto questo film con l’idea di comunicare un messaggio preciso, ma parlando con chi lo ha visto mi rendo conto di molte cose. Per esempio che è il nostro sguardo risveglia la vita riposta nell’arte. Mentre le osserviamo, le opere sono vive nel senso più profondo, perché è la nostra attenzione ad attivarle. Ci sembra che parlino o che a loro volta ci stiano osservando. Questo è forse ancora più vero nel caso dell’arte classica: gli antichi Greci e Romani creavano una scultura perché partecipasse veramente alla loro vita quotidiana”. 


Agalma I Courtesy Nexo+

Quali sfide ha presentato la realizzazione di questo film?
Agalma non ha gli ingredienti che tutti si aspettano da un film: un protagonista, una trama, un conflitto… Ormai anche i documentari cercano quasi sempre una narrazione di questo tipo. Io avevo molte persone e molte storie da raccontare, e mi piaceva molto l’aspetto della coralità. La sfida è stato riuscire a tenere in piedi un film di un’ora senza arrendermi al richiamo delle soluzioni facili”. 

Agalma è la tua opera prima, fresca ma tutt’altro che acerba. Chi ti ha accompagnata in questa avventura? 
“A parte la montatrice e la colorist che sono professioniste di lungo corso, ho lavorato a questo progetto con molti giovani amici alle prime esperienze, dalla musica all’assistenza alla regia. Accordandoci grande fiducia, la produzione di Parallelo 41 e Ladoc sono state di esempio per tutti coloro che operano nel campo del cinema”. 

Nell’ultimo anno i musei sono stati chiusi per molto tempo, relegati a uno status di luoghi non essenziali. Dall’osservatorio privilegiato che è stato il set di Agalma, quale pensi sia realmente la funzione dei musei oggi?
“Dal mio punto di vista, ed è anche il motivo per cui ho fatto questo film, l’arte è l’unico motivo per cui ha senso nascere come esseri umani, e non come piante o animali… L’arte non è un passatempo, non è qualcosa che allieta la domenica, ma è parte della nostra vita. Dal museo, specie da un museo archeologico, ci si porta a casa la sensazione di essere stati in contatto con qualcosa che vive oltre noi stessi. E non è poco”. 

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Agalma I Courtesy Nexo+

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