Caravaggio in Sicilia
Caravaggio in Sicilia
30/03/2001
Il 28 maggio 1606 un duello all’ultimo sangue costringe Michelangelo Merisi a fuggire da Roma dove non farà più ritorno. Nello scontro a quattro in Campo Marzio al gioco della pallacorda rimane ucciso Ranuccio Tomassoni, “giovane di molto garbo”, figlio di un combattente della legione cattolica al servizio dei Farnese. Caravaggio viene accusato del suo assassinio e all’arrivo del mandato di arresto si nasconde nei feudi di Marzio Colonna confidando nel perdono del Papa. Iniziano così gli anni della sua latitanza, anni che trascorrerà tra Napoli, Malta e la Sicilia. Qui approda nell’ottobre del 1608, dopo una repentina fuga da Malta in seguito ad una grave contesa con un cavaliere di giustizia. La sua condizione continua ad essere quella di fuggiasco, motivo per cui lo troviamo in un continuo peregrinare tra le varie città dell’isola alla ricerca di un sicuro rifugio. A testimoniare il suo passaggio sono rimaste opere importantissime: il Seppellimento di Santa Lucia è una di queste. Eseguito a Siracusa e custodito nella chiesa intitolata alla santa, è il più antico tra i dipinti lasciati dal Merisi sull’isola ed anche il più rovinato. La scena si svolge in un grande ambiente, così come già era accaduto nella Decollazione del Battista di Malta, ma qui la misura delle figure diminuisce improvvisamente: un tale rapporto tra personaggi e spazio è del tutto inedito nella pittura italiana e lo si ritroverà nelle composizioni di Rembrant incisore. L’atmosfera rarefatta acuisce la tragicità dell’evento, raccontato come sempre con grande incisività ed essenzialità di mezzi. La partecipazione esistenziale del Caravaggio terrorizzato dalla morte appare palesemente oltre che nel modo di dipingere le sue scene anche nel numero di volte in cui il pittore decide di rappresentare episodi di decollazione; la testa di Santa Lucia, come è possibile vedere anche ad occhio nudo, venne originariamente eseguita staccata.
A Messina poi il Merisi lascia, nella Chiesa dei Padri Crociferi (ora nel Museo Regionale), la Resurrezione di Lazzaro commissionata dal genovese Giovan Battista de’ Lazzari per la propria cappella, in omaggio al nome del casato. Anche qui non manca la drammaticità propria della produzione siciliana; la travolgente concitazione presente nel dipinto coinvolge immediatamente lo spettatore. Un committente messinese del tempo scrisse di Caravaggio: “questo pittore ha il cervello stravolto.” Lazzaro alla presenza di Cristo apre le braccia in un inquieto sussulto nel salvifico segno della croce. La luce divina ancora una volta rappresentata in tutta la sua profonda naturalezza invade lo spazio e definisce le forme. Ma non è più la luce definita, chiara delle opere giovanili, è percorsa invece da un fremito che crea concitazione in un continuo e dinamico alternarsi di chiari e scuri.
Terza opera lasciata dal Caravaggio è l’Adorazione dei Pastori del 1609 dipinta sempre a Messina e qui conservata. Riappare il richiamo alla croce nella disposizione delle figure, croce che oltre ad avere significato salvifico è anche “segno della spoglia semplicità dei poveri, cui si indirizza, con le parole e l’esempio, il Vangelo.” La luce si fa soffusa, l’atmosfera più pacata, bellissima appare la natura morta in primo piano fatta solo di una pagnotta, un tovagliolo e qualche attrezzo da lavoro.
Un altro Presepio dipinto in Sicilia dal Merisi per l’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo a Palermo venne trafugato nel 1969.
Caravaggio nel suo passaggio in Sicilia realizzò dipinti di eccezionale vitalità; chi deciderà di visitare la mostra non potrà fare a meno di osservare queste sue opere per capire appieno il grande influsso che ebbero sui pittori siciliani.
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