Intervista a Virginia Baradel

Gemine Muse 2002
 

05/12/2002

A proposito del lavoro del critico, ci sono oggi in Italia dei luoghi istituzionali preposti alla sua formazione e crescita professionale? V.B “No, ma anche in Europa non andiamo molto meglio. Tentativi ce ne sono e ce ne sono stati ma la vera scuola rimane l’esperienza sul campo e una formazione seria, ricca di contenuti e capace di metodo. Un critico deve conoscere la storia dell’arte, quello è il suo ambito naturale di appartenenza. Naturalmente anche l’estetica e la critica d’arte sono parenti strette da non scordare. Poi tutti gli innesti sono utili e proficui ma fintanto che l’artista si chiamerà artista e non iconauta o qualcosa d’altro il critico deve, secondo me, amare e maneggiare con destrezza la storia degli artisti che hanno precedeuto, nel corso dei secoli, quelli attuali sui quali eserciterà la sua competenza critica. Gemine Muse nasce anche da questa profonda convinzione. Inoltre l’aspirante critico dovrà frequentare gallerie di tendenza, mostre, fiere, gli appuntamenti del settore insomma. Fare palestra con le gallerie e i media locali, frequentare gli artisti, scambiare idee direttamente o tramite i collegamenti in rete. Aggregarsi per dare vita a situazioni interessanti, da feste a riviste a spazi a mostre magari autogestiti, dove confrontarsi con i coetanei ma anche con chi ha più cultura e più esperienza”. Stanno emergendo secondo lei delle tendenze nuove all’interno della critica d’arte o della professione del critico? V.B “Mi pare un momento in cui tutto, ma proprio tutto è in gioco: linguaggi, tecniche, filosofie, punti di riferimento. Mi pare che l’unica cosa generalizzabile sia il rispetto del tentativo, la verifica della sua originalità e della sua sostanza creativa. A questo proposito condivido in pieno la disposizione critica della mostra “Exit” curata da Francesco Bonami alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino. Oggi come oggi nessuno può esordire o anche avanzare con mostre e riconoscimenti pensando di essere già approvato, già artista (o critico) fatto. L’interesse va all’opera come “prova”, come accertamento di poetica non come consacrazione”. Una cosa molto interessante di questo progetto è la messa in comunicazione di realtà museali diverse all’interno di uno stesso progetto artistico. In questo modo si è venuto a creare un interscambio culturale fondamentale. Secondo lei è importante mettere in relazione diverse realtà museali con lo scopo sia di diffondere le sensibilità artistiche emergenti, sia di creare un vero e proprio scenario artistico nazionale, un network di spazi espositivi per il contemporaneo? V.B “Beh, direi che questo è uno degli obiettivi e dei risultati più felici di Gemine Muse. Abbiamo guadagnato spazi (e non qualsiasi), pubblico e attenzione dei media per i giovani artisti con una operazione gradita a tutti perchè anche i musei hanno acquistato nuova vitalità e nuovo pubblico (quello dell’arte contemporanea, non necessariamente interessato a quella antica)”.