Il 13 e il 14 marzo al cinema il nuovo film di 3D e Nexo Digital
Nel backstage di “Hitler contro Picasso e gli altri” con l’autrice Didi Gnocchi
Adolf Hitler e Joseoh Goebbels
Francesca Grego
11/03/2018
Mancano pochi giorni dall’uscita di “Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte”. Un viaggio nel tempo con la voce narrante di Toni Servillo, un’indagine sui saccheggi compiuti in nome del Reich, sulla lotta senza quartiere che Hitler condusse contro il vento nuovo delle avanguardie, sui torbidi intrecci tra affari e Shoah.
Grazie al documentario diretto da Claudio Poli e prodotto da 3D e Nexo Digital, il 13 e il 14 marzo il pubblico cinematografico italiano avrà finalmente accesso alle scottanti scoperte del Dossier Gurlitt, ai tesori segreti di Hitler e Goering, a testimonianze e documenti di vicende passate sotto silenzio per decenni che stanno tornando inaspettatamente attuali.
Una novità per “La Grande Arte al Cinema”, la rassegna di Nexo Digital dedicata ai protagonisti della creatività di tutti i tempi: per la prima volta, insieme agli artisti e alle loro opere, la Storia fa il suo ingresso nel film in un ruolo di primissimo piano.
Dietro “quadri meravigliosi, alcuni dei quali non si vedevano da molto”, scorre la drammatica marcia del Novecento, come spiega Didi Gnocchi, giornalista, documentarista e fondatrice di 3D Produzioni, nonché autrice del soggetto del film: “È veramente una bella scommessa, scoprire se la storia può essere attraente al cinema come lo è stata l’arte in film recenti come quello su Caravaggio. Sono molto curiosa di conoscere la reazione del pubblico”.
Didi Gnocchi, autrice del soggetto di "Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte"
A dispetto del tema apparentemente difficile, ancor prima di uscire il film sta riscuotendo notevole interesse. Ve lo aspettavate?
“Il pubblico è sempre molto interessato ai temi legati al Nazismo: la sua storia contiene dei nodi incomprensibili legati al male che, almeno a livello di narrazione, è spesso molto più attraente del bene. Anche in tv, quando si fanno i programmi di storia, le puntate su Hitler e i suoi sono tra le più seguite. Ma naturalmente non è questo il motivo alla base del nostro progetto, che è frutto di una serie di singolari coincidenze”.
Come è nata l’idea del film?
“Un’estate di qualche anno fa avevo letto il libro di Anne Sinclair sulla storia di suo nonno, Paul Rosenberg, e sul furto nazista dell’arte nella Parigi delle Avanguardie. Rosenberg fu uno dei più influenti mercanti d’arte del Novecento e un grandissimo collezionista, di Picasso e Matisse per esempio. Nel libro ho capito che dietro quell’impressionante quantità di opere sparite nel nulla c’era un mondo che aspettava di essere raccontato. Come mai dopo tutti questi anni c’era ancora tanto silenzio?”
E poi, cosa è successo?
“Ho conosciuto Franco Di Sarro di Nexo Digital e sono stata a trovarlo nel suo studio. Sul tavolo aveva il catalogo della mostra allestita alla Neue Galerie di New York nel 2014 sull’arte “degenerata”, che rispolverava la clamorosa storia dell’esposizione Entartete Kunst, organizzata dai nazisti a Monaco nel ‘37.
Ci siamo resi conto che stavamo andando verso un anniversario, gli 80 anni di un evento che avrebbe avuto ricadute significative. Intanto altre mostre tornavano a occuparsi di questi temi: una era quella della Sinclair, che portava a Parigi la collezione recuperata di suo nonno; altre due, a Bonn e Berna, esponevano le opere protagoniste del caso Gurlitt, a quattro anni dalla loro scoperta, e la quarta, a Deventer, era dedicata ai patrimoni artistici saccheggiati in Olanda durante l’occupazione.
Dopo quasi un secolo c’erano ancora molte verità non dette, molto mistero, molte opere volutamente sepolte nei musei della Germania e della Francia. Ma anche tante persone alla ricerca di quadri di famiglia, che si rivolgevano a esperti - alcuni dei quali avremmo incontrato nel nostro documentario - che a questa missione stavano dedicando la propria vita, alcuni per motivi professionali, altri semplicemente per riportare ai legittimi proprietari l’arte rubata durante la guerra”.
Dietro “Hitler contro Picasso e gli altri” c’è un importante lavoro di ricerca…
“La cosa più impressionante è che più andavamo avanti e più venivano fuori dei capitoli ignorati. Se nel dopoguerra si fosse voluto indagare a fondo sul destino delle collezioni scomparse, sarebbe bastato seguirne le tracce nei verbali degli interrogatori cui furono sottoposti i soldati, i collezionisti, i mercanti fermati, che oggi si trovano negli archivi americani. Questa omissione ha fatto sì che intere collezioni sparissero velocemente subito dopo la fine del conflitto.
A ogni passo emergevano storie nuove, come quella della rivalità tra Hitler e Goering, che divennero antagonisti in una gara ad accaparrarsi le opere migliori durante i saccheggi. Dai pochi dati iniziali è venuta fuori una montagna di vicende inedite, retroscena, dettagli significativi”.
Quali sono state le sorprese più interessanti?
“Una delle fasi più stimolanti è stato l’approfondimento psicologico su alcuni celebri personaggi. Per esempio abbiamo avuto un ritratto più completo di Hermann Goering, finora liquidato spesso con rappresentazioni caricaturali. Attraverso l’indagine sulla sua passione per l’arte abbiamo conosciuto un uomo molto intelligente, colto e anche affascinante. Dalle fonti prese in esame emerge che era assolutamente convinto di poter trattare la fine della guerra con gli Alleati alla pari. In un filmato ride e scherza fianco a fianco degli americani, poco prima che Roosevelt decida di mandarlo a Norimberga con gli altri prigionieri. Ma di questa conferenza stampa, a cui erano presenti moltissimi giornalisti e fotografi, è stato fatto sparire l’audio. Un dato indicativo dei misteri, delle collusioni, delle opacità del dopoguerra. Chi operava nel mondo dell’arte ai tempi del Nazismo sapeva delle schiere di opere sequestrate e rivendute nelle aste svizzere. Sarebbe bastato questo per rendersi conto del livello raggiunto dalla persecuzione degli ebrei, molto prima della scoperta dei campi di concentramento.
In generale, il fatto più eclatante è proprio la quantità di storie sommerse dopo tanto, troppo tempo”.
Si può ancora pensare di ricostruire la verità?
“Certo. In questo senso la ricerca negli archivi è fondamentale. Noi non siamo degli studiosi eppure in un anno abbiamo trovato un materiale vastissimo. Chi ha cercato di recuperare il proprio patrimonio di famiglia ci ha messo decenni perché ha dovuto lottare contro le burocrazie. Penso che film come questo possano aiutare a trovare il coraggio di intraprendere un simile percorso. Il tempo non sempre seppellisce, a volte restituisce.
E finalmente ci sono dei segnali positivi: vedo per esempio che il Louvre ha allestito una mostra di opere saccheggiate per rintracciarne i legittimi eredi. Anche i grandi musei devono avere il coraggio di fare la propria parte”.
Liberazione di Berchtesgad e recupero della Collezione Goering ad opera della 101st Airbone Division | Courtesy of National Archives and Records Administration
Quali sono le principali sfide che avete affrontato per realizzare il documentario?
“Sicuramente quella del tempo. Ci siamo dati il termine di un anno per uscire nelle sale: molto poco, anche se poi siamo riusciti a completare il lavoro in soli 7-8 mesi. Dopo aver creato un soggetto e un trattamento unitari, ci siamo divisi in tre troupe che hanno girato contemporaneamente in diverse aree del mondo. Per fortuna 3D Produzioni è una società abituata a lavorare a ritmi sostenuti, pur riservando grande attenzione all’approfondimento. Credo che parallelamente a noi anche alcuni reporter americani stessero realizzando un documentario sugli stessi argomenti, ma siamo stati più veloci”.
L’arte, il Nazismo, la Shoah: come hai fatto a cucire insieme le diverse componenti di questa vicenda e a trasformare in un film i risultati della ricerca sul campo?
“Accanto a me, che ho lavorato soprattutto sul soggetto, ho avuto due professioniste molto brave che hanno curato la sceneggiatura. Sabina Fedeli, ex inviata di Mediaset abituata a lavorare sul campo e su temi complessi, si è occupata soprattutto della Francia. E Arianna Marelli, una persona molto preparata, di madrelingua tedesca con un dottorato alla Normale di Pisa, ha seguito la parte relativa alla Germania. Un gruppo autoriale forte, che sapeva sempre bene di cosa si stesse parlando. Lo step successivo è stato affidarci a un regista interno di grande esperienza come Claudio Poli e alla supervisione di Michele Malli.
Le competenze maturate negli ultimi 15 anni, il ricorso a un team ben collaudato, l’apporto della sezione “Ricerche” di 3D, capace di lavorare negli archivi internazionali, sia cartacei che video, hanno fatto sì che fossimo pronti per affrontare un progetto narrativo importante. L’affiancamento in produzione di Nexo Digital, che ha un’identità più cinematografica, ci ha portati a un prodotto che poi abbiamo scelto di arricchire con un personaggio come Toni Servillo: un ulteriore passo in avanti verso un linguaggio vicino all’universo del cinema”.
Hai realizzato molti lavori su temi legati ai regimi totalitari, al Nazismo come allo Stalinismo. Dove nasce questo tuo interesse?
“Da giovanissima sono stata mandata da Mediaset in Germania a occuparmi di neonazismo. A cavallo della caduta del Muro ho incontrato teorici del revisionismo come Ernst Nolte, cui feci una lunga intervista: la sua tenace difesa del Nazismo come frutto e conseguenza dello Stalinismo mi incuriosiva molto, anche se non la condividevo.
D’altra parte, occupandomi della persecuzione degli ebrei, ho intervistato ripetutamente Simon Wiesenthal, che una volta mi disse: ‘Quando Hitler si affacciò al potere, l’errore più grande che abbiamo fatto noi tedeschi, noi intellettuali ebrei, fu deridere quell’ometto’, cioè non intuire che dietro di lui c’era qualcosa di profondo da non sottovalutare. Questa insofferenza verso la superficialità con cui i fenomeni autoritari vengono spesso trattati mi ha sempre portata ad approfondire. In Germania come nell’ex Unione Sovietica, dove sono stata inviata per una decina d’anni”.
Vedi anche:
• Hitler contro Picasso e gli altri - La nostra recensione
• FOTO: Arte e nazismo: una smisurata ossessione
• Looted Art: il sacco d’Europa
• Hitler contro Picasso e gli altri: nel suono della storia
• Hitler contro Picasso e gli altri. Un docufilm racconta l'ossessione nazista per l'arte
• Quando l'arte finanziò il regime. "Hitler contro Picasso e gli altri" svela i dettagli di una triste vicenda
• Il lato oscuro della storia - L'arte pura del Reich
• Il Nazismo e l'arte. Negli archivi dell'Haus der Kunst per l'uscita di "Hitler contro Picasso e gli altri"
• Picasso, Chagall, Matisse tra le 1500 opere sequestrate dai nazisti e ritrovate a Monaco di Baviera
• La Grande Arte al cinema. Gli appuntamenti del 2018
Grazie al documentario diretto da Claudio Poli e prodotto da 3D e Nexo Digital, il 13 e il 14 marzo il pubblico cinematografico italiano avrà finalmente accesso alle scottanti scoperte del Dossier Gurlitt, ai tesori segreti di Hitler e Goering, a testimonianze e documenti di vicende passate sotto silenzio per decenni che stanno tornando inaspettatamente attuali.
Una novità per “La Grande Arte al Cinema”, la rassegna di Nexo Digital dedicata ai protagonisti della creatività di tutti i tempi: per la prima volta, insieme agli artisti e alle loro opere, la Storia fa il suo ingresso nel film in un ruolo di primissimo piano.
Dietro “quadri meravigliosi, alcuni dei quali non si vedevano da molto”, scorre la drammatica marcia del Novecento, come spiega Didi Gnocchi, giornalista, documentarista e fondatrice di 3D Produzioni, nonché autrice del soggetto del film: “È veramente una bella scommessa, scoprire se la storia può essere attraente al cinema come lo è stata l’arte in film recenti come quello su Caravaggio. Sono molto curiosa di conoscere la reazione del pubblico”.
Didi Gnocchi, autrice del soggetto di "Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte"
A dispetto del tema apparentemente difficile, ancor prima di uscire il film sta riscuotendo notevole interesse. Ve lo aspettavate?
“Il pubblico è sempre molto interessato ai temi legati al Nazismo: la sua storia contiene dei nodi incomprensibili legati al male che, almeno a livello di narrazione, è spesso molto più attraente del bene. Anche in tv, quando si fanno i programmi di storia, le puntate su Hitler e i suoi sono tra le più seguite. Ma naturalmente non è questo il motivo alla base del nostro progetto, che è frutto di una serie di singolari coincidenze”.
Come è nata l’idea del film?
“Un’estate di qualche anno fa avevo letto il libro di Anne Sinclair sulla storia di suo nonno, Paul Rosenberg, e sul furto nazista dell’arte nella Parigi delle Avanguardie. Rosenberg fu uno dei più influenti mercanti d’arte del Novecento e un grandissimo collezionista, di Picasso e Matisse per esempio. Nel libro ho capito che dietro quell’impressionante quantità di opere sparite nel nulla c’era un mondo che aspettava di essere raccontato. Come mai dopo tutti questi anni c’era ancora tanto silenzio?”
E poi, cosa è successo?
“Ho conosciuto Franco Di Sarro di Nexo Digital e sono stata a trovarlo nel suo studio. Sul tavolo aveva il catalogo della mostra allestita alla Neue Galerie di New York nel 2014 sull’arte “degenerata”, che rispolverava la clamorosa storia dell’esposizione Entartete Kunst, organizzata dai nazisti a Monaco nel ‘37.
Ci siamo resi conto che stavamo andando verso un anniversario, gli 80 anni di un evento che avrebbe avuto ricadute significative. Intanto altre mostre tornavano a occuparsi di questi temi: una era quella della Sinclair, che portava a Parigi la collezione recuperata di suo nonno; altre due, a Bonn e Berna, esponevano le opere protagoniste del caso Gurlitt, a quattro anni dalla loro scoperta, e la quarta, a Deventer, era dedicata ai patrimoni artistici saccheggiati in Olanda durante l’occupazione.
Dopo quasi un secolo c’erano ancora molte verità non dette, molto mistero, molte opere volutamente sepolte nei musei della Germania e della Francia. Ma anche tante persone alla ricerca di quadri di famiglia, che si rivolgevano a esperti - alcuni dei quali avremmo incontrato nel nostro documentario - che a questa missione stavano dedicando la propria vita, alcuni per motivi professionali, altri semplicemente per riportare ai legittimi proprietari l’arte rubata durante la guerra”.
Dietro “Hitler contro Picasso e gli altri” c’è un importante lavoro di ricerca…
“La cosa più impressionante è che più andavamo avanti e più venivano fuori dei capitoli ignorati. Se nel dopoguerra si fosse voluto indagare a fondo sul destino delle collezioni scomparse, sarebbe bastato seguirne le tracce nei verbali degli interrogatori cui furono sottoposti i soldati, i collezionisti, i mercanti fermati, che oggi si trovano negli archivi americani. Questa omissione ha fatto sì che intere collezioni sparissero velocemente subito dopo la fine del conflitto.
A ogni passo emergevano storie nuove, come quella della rivalità tra Hitler e Goering, che divennero antagonisti in una gara ad accaparrarsi le opere migliori durante i saccheggi. Dai pochi dati iniziali è venuta fuori una montagna di vicende inedite, retroscena, dettagli significativi”.
Quali sono state le sorprese più interessanti?
“Una delle fasi più stimolanti è stato l’approfondimento psicologico su alcuni celebri personaggi. Per esempio abbiamo avuto un ritratto più completo di Hermann Goering, finora liquidato spesso con rappresentazioni caricaturali. Attraverso l’indagine sulla sua passione per l’arte abbiamo conosciuto un uomo molto intelligente, colto e anche affascinante. Dalle fonti prese in esame emerge che era assolutamente convinto di poter trattare la fine della guerra con gli Alleati alla pari. In un filmato ride e scherza fianco a fianco degli americani, poco prima che Roosevelt decida di mandarlo a Norimberga con gli altri prigionieri. Ma di questa conferenza stampa, a cui erano presenti moltissimi giornalisti e fotografi, è stato fatto sparire l’audio. Un dato indicativo dei misteri, delle collusioni, delle opacità del dopoguerra. Chi operava nel mondo dell’arte ai tempi del Nazismo sapeva delle schiere di opere sequestrate e rivendute nelle aste svizzere. Sarebbe bastato questo per rendersi conto del livello raggiunto dalla persecuzione degli ebrei, molto prima della scoperta dei campi di concentramento.
In generale, il fatto più eclatante è proprio la quantità di storie sommerse dopo tanto, troppo tempo”.
Si può ancora pensare di ricostruire la verità?
“Certo. In questo senso la ricerca negli archivi è fondamentale. Noi non siamo degli studiosi eppure in un anno abbiamo trovato un materiale vastissimo. Chi ha cercato di recuperare il proprio patrimonio di famiglia ci ha messo decenni perché ha dovuto lottare contro le burocrazie. Penso che film come questo possano aiutare a trovare il coraggio di intraprendere un simile percorso. Il tempo non sempre seppellisce, a volte restituisce.
E finalmente ci sono dei segnali positivi: vedo per esempio che il Louvre ha allestito una mostra di opere saccheggiate per rintracciarne i legittimi eredi. Anche i grandi musei devono avere il coraggio di fare la propria parte”.
Liberazione di Berchtesgad e recupero della Collezione Goering ad opera della 101st Airbone Division | Courtesy of National Archives and Records Administration
Quali sono le principali sfide che avete affrontato per realizzare il documentario?
“Sicuramente quella del tempo. Ci siamo dati il termine di un anno per uscire nelle sale: molto poco, anche se poi siamo riusciti a completare il lavoro in soli 7-8 mesi. Dopo aver creato un soggetto e un trattamento unitari, ci siamo divisi in tre troupe che hanno girato contemporaneamente in diverse aree del mondo. Per fortuna 3D Produzioni è una società abituata a lavorare a ritmi sostenuti, pur riservando grande attenzione all’approfondimento. Credo che parallelamente a noi anche alcuni reporter americani stessero realizzando un documentario sugli stessi argomenti, ma siamo stati più veloci”.
L’arte, il Nazismo, la Shoah: come hai fatto a cucire insieme le diverse componenti di questa vicenda e a trasformare in un film i risultati della ricerca sul campo?
“Accanto a me, che ho lavorato soprattutto sul soggetto, ho avuto due professioniste molto brave che hanno curato la sceneggiatura. Sabina Fedeli, ex inviata di Mediaset abituata a lavorare sul campo e su temi complessi, si è occupata soprattutto della Francia. E Arianna Marelli, una persona molto preparata, di madrelingua tedesca con un dottorato alla Normale di Pisa, ha seguito la parte relativa alla Germania. Un gruppo autoriale forte, che sapeva sempre bene di cosa si stesse parlando. Lo step successivo è stato affidarci a un regista interno di grande esperienza come Claudio Poli e alla supervisione di Michele Malli.
Le competenze maturate negli ultimi 15 anni, il ricorso a un team ben collaudato, l’apporto della sezione “Ricerche” di 3D, capace di lavorare negli archivi internazionali, sia cartacei che video, hanno fatto sì che fossimo pronti per affrontare un progetto narrativo importante. L’affiancamento in produzione di Nexo Digital, che ha un’identità più cinematografica, ci ha portati a un prodotto che poi abbiamo scelto di arricchire con un personaggio come Toni Servillo: un ulteriore passo in avanti verso un linguaggio vicino all’universo del cinema”.
Hai realizzato molti lavori su temi legati ai regimi totalitari, al Nazismo come allo Stalinismo. Dove nasce questo tuo interesse?
“Da giovanissima sono stata mandata da Mediaset in Germania a occuparmi di neonazismo. A cavallo della caduta del Muro ho incontrato teorici del revisionismo come Ernst Nolte, cui feci una lunga intervista: la sua tenace difesa del Nazismo come frutto e conseguenza dello Stalinismo mi incuriosiva molto, anche se non la condividevo.
D’altra parte, occupandomi della persecuzione degli ebrei, ho intervistato ripetutamente Simon Wiesenthal, che una volta mi disse: ‘Quando Hitler si affacciò al potere, l’errore più grande che abbiamo fatto noi tedeschi, noi intellettuali ebrei, fu deridere quell’ometto’, cioè non intuire che dietro di lui c’era qualcosa di profondo da non sottovalutare. Questa insofferenza verso la superficialità con cui i fenomeni autoritari vengono spesso trattati mi ha sempre portata ad approfondire. In Germania come nell’ex Unione Sovietica, dove sono stata inviata per una decina d’anni”.
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