Al cinema dall’8 al 10 novembre il film evento con Jeremy Irons
Nel nome dell'arte. Matteo Moneta racconta Napoleone
Napoleone. Nel nome dell'arte, Jeremy Irons alla Braidense | Foto: © Francesco Prandoni | Courtesy NEXO Digital
Francesca Grego
05/11/2021
Sono passati duecento anni dalla morte di Napoleone, eppure la sua figura non smette di attrarci: liberatore e tiranno, vittorioso e sconfitto, eroico, tragico, immenso, Bonaparte ha lasciato nella storia un segno profondo come pochi altri. Intorno a lui si è detto e scritto moltissimo, ma le sorprese non sono finite. Lo scopriremo sul grande schermo l’8, il 9 e il 10 novembre nel film Napoleone. Nel nome dell’arte, seconda tappa autunnale della rassegna La Grande Arte al Cinema. Prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital con il sostegno di Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia, il documentario sviluppa un soggetto di Didi Gnocchi, che firma anche la sceneggiatura con Matteo Moneta, mentre la regia è di Giovanni Piscaglia. A coronare il progetto, la partecipazione speciale del Premio Oscar Jeremy Irons. In occasione del bicentenario della sua scomparsa, Napoleone svela una dimensione della sua avventura solo apparentemente secondaria: il rapporto con l’arte, che continua a dispiegare i suoi effetti nella vita di ognuno di noi.
“Accostarsi a Napoleone dà una sensazione di vertigine” spiega ad ARTE.it lo sceneggiatore Matteo Moneta: “Un compito quasi impossibile viste le infinite diramazioni della sua vicenda, la quantità di conseguenze politiche, militari, culturali che ha avuto il suo passaggio nel mondo. Noi abbiamo scelto di raccontare una storia di arte e di cultura”.
“Il film è un viaggio visivo di ampio respiro sia artistico che paesaggistico - continua Moneta - Una grande, turbinosa cavalcata che va dalla Corsica a Sant’Elena, passa dall’Egitto e attraversa mezza Europa: è la vita di Napoleone vista con la magnificenza dei suoi occhi. Opere d’arte già bellissime entrando dentro questa avventura si caricano di emozioni. E poi naturalmente c’è Jeremy Irons, un maestro dal carisma davvero potente”.
Quello di Napoleone è un personaggio complesso, ricco di contrasti e sfaccettature. Qual è il ritratto che emerge dal film?
“Abbiamo scelto di raccontare Napoleone prima di tutto come persona: un uomo colto, per il quale i libri sono compagni di vita fin da quando era bambino. Perfino mentre infuria la Rivoluzione Francese Napoleone divora i classici latini, soprattutto Cesare, che resterà uno dei suoi principali punti di riferimento, e durante le campagne militari avrà sempre con sé una biblioteca portatile. La passione per i libri ci aiuta a comprendere il peso dell’arte nei suoi disegni di potere. Ma Bonaparte è stato anche un uomo dall’ironia tagliente, una persona franca, pratica e alla mano, tutt’altro che inavvicinabile”.
Jacques-Louis David, Bonaparte valica le Alpi, 1803, Vienna, Palazzo del Belvedere | Courtesy NEXO Digital
Come prende forma la sua storia sullo schermo?
“Nel film si intrecciano diversi fili conduttori. La dimensione artistica è il cuore del racconto, con il tema controverso delle spoliazioni nei paesi conquistati e delle restituzioni, ma anche con la nascita dei grandi musei europei. Questa strada ci porta a viaggiare nella grande arte, tra i tesori del Louvre e della Pinacoteca di Brera, dalla Francia a Milano, da Roma all’Egitto.
Poi c’è un’interessante componente musicale, che ha all’origine nel ritrovamento di uno storico spartito da parte di Lucia Sirch, musicologa del conservatorio di Milano. Si tratta del Te Deum di Francesco Pollini, suonato per l’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia nel 1805 e poi caduto nell’oblio per volontà degli austriaci. È un brano molto bello, che abbiamo fatto orchestrare ed eseguire appositamente per il film. Sullo schermo ricostruiamo le vicende dello spartito dalla riscoperta alle prove generali a Palazzo Reale, fino all’esecuzione nel Duomo di Milano. Questo filo percorre tutto il documentario, offrendo momenti musicali di piacere e distensione rispetto a una vicenda dal ritmo denso e serrato come quella di Napoleone.
Infine c’è l’eredità iconica e comunicativa di un leader moderno, capace di parlare alle masse anche con il corpo e con le immagini. Questa parte riguarda il lavoro che Napoleone fa con pittori come David, Ingres, Gros, il suo modo di farsi ritrarre, ma anche di essere presente in mezzo alla gente. Napoleone è il primo leader mediatico della storia. Mussolini lo studierà compulsivamente, si immedesimerà nella sua figura e si ispirerà a lui in molte occasioni. Il giorno della nomina a primo ministro, per esempio, il duce dice a suo fratello: ‘Se papà potesse vederci…’. La stessa identica frase che Napoleone aveva rivolto al fratello Giuseppe quando fu incoronato imperatore”.
Il film è frutto di un lungo lavoro di ricerca. Ci sono dettagli che ti hanno sorpreso e che desideri condividere con gli spettatori?
“La vita di Napoleone è una miniera di aneddoti e curiosità, un grande romanzo di avventura pieno di drammi e colpi di scena come sono le opere del Romanticismo, perché Napoleone è l’incarnazione dell’eroe romantico. Nel film raccontiamo che tipo di amante fu e scopriamo la sua infanzia punteggiata di presagi: dalle battaglie a palle di neve che diresse da bambino a quando segnò sul quaderno l’isola di Sant’Elena, cerchiandola e scrivendo ‘piccola isola’, come se avesse visto il suo futuro. Oppure le frasi memorabili che sembrava avere avere pronte per ogni evento e che oggi farebbero impallidire qualsiasi autore o ghostwriter...”.
La corona di ferro di Napoleone I Courtesy Nexo Digital
Nel documentario sono presenti oggetti rari e preziosi, capaci di mostrarci un gigante della storia sotto una luce nuova… Che impressione ti ha fatto poterli osservare da vicino?
“Mi ha emozionato tenere in mano la biblioteca dell’Elba, così come vedere la culla del figlio di Napoleone a Fontainebleau: un figlio atteso a lungo, il desiderio del quale portò Bonaparte a rinunciare al primo matrimonio con Josephine, la donna che amava, per sposare Maria Luisa d’Austria. Impossibile racchiudere in un film la quantità di storie in cui ci siamo imbattuti, spero però che la sua visione invogli gli spettatori a prendere in mano una biografia di Napoleone, perché ne vale veramente la pena”.
Come vi siete accostati al tema spinoso delle spoliazioni napoleoniche, primo episodio in epoca moderna di una storia che non smette di alimentare controversie?
“La campagna di spoliazioni che Napoleone portò avanti nei territori conquistati è stata forse il più grande spostamento di opere d’arte della storia. Solo in rari casi si trattò di furti veri e propri, piuttosto di ‘prelievi’ autorizzati dai trattati di pace in cui i vincitori approfittavano della posizione di potere per appropriarsi di dipinti, sculture e manoscritti.
Per i territori interessati - l’Italia, ma anche i Paesi Bassi e la Germania - furono eventi dall’impatto drammatico, ma ebbero anche dei risvolti positivi. Napoleone aveva infatti ereditato dalla Rivoluzione Francese il concetto di museo pubblico, l’idea dell’arte come bene universale a disposizione del popolo e strumento per la sua educazione. Prima di allora, a eccezione delle opere esposte nelle chiese, l’arte si trovava nei palazzi nobiliari, dove poteva essere vista solo da pochi privilegiati. Il Louvre a Parigi, la Pinacoteca di Brera a Milano, il Rijksmuseum in Olanda, le Gallerie dell’Accademia di Venezia furono creazioni di Napoleone e dei suoi uomini”.
Louis-François Lejeune, La bataille des Pyramides, 1808 I Courtesy Nexo Digital
Non accadde lo stesso durante la campagna d’Egitto, dalla quale, anche se sconfitti, gli eserciti napoleonici tornarono carichi di reperti preziosi…
“È innegabile che la campagna d’Egitto abbia dato il via a una lunga serie di spoliazioni, portate avanti non solo dai francesi ma anche dalle altre grandi potenze presenti di volta in volta nel paese. Tuttavia è grazie a Napoleone e ai suoi 167 savant - scienziati, letterati, artisti che Bonaparte portò con sé per studiare i territori conquistati - che l’Egitto divenne per la prima volta materia di interesse da parte dell’Occidente. Questo ha condotto alla preservazione e alla valorizzazione di un immenso patrimonio storico, artistico e culturale. Nel film gli spettatori potranno ammirare l’edizione originale della Description de l’Égypt, un’opera in 23 volumi che racchiude gli studi compiuti dai savant, con tavole che ritraggono i templi, le rovine, la fauna e la flora, i paesaggi e gli abitanti del paese: un viaggio veramente impressionante nell’Egitto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. L’opera è conservata a Milano nella Biblioteca Braidense, dove abbiamo ripreso anche un altro oggetto di culto, il manoscritto del Cinque Maggio che Manzoni dedicò alla morte di Napoleone”.
Di fronte a Bonaparte qualsiasi personaggio sembra privo di importanza. Quali altre figure riescono ad emergere nel racconto di Napoleone. Nel nome dell’arte?
“Uno dei personaggi più interessanti che ruotano intorno a Napoleone è Vivant Denon, un nobile libertino che durante la Rivoluzione francese era scampato per un soffio alla ghigliottina. Scrittore, artista e storico dell’arte, diventerà il principale punto di riferimento dell’imperatore in campo artistico e dirigerà il Louvre fin dalla sua fondazione. Sarà il primo direttore museale nel senso moderno del termine: il primo a porsi il problema di come esporre le opere per favorirne la fruizione da parte del pubblico o a immaginare percorsi adatti agli allievi delle scuole d’arte, evidenziando influenze, cronologia, filiazioni, innovazioni, ma anche il primo direttore al mondo a pubblicare la guida di un museo. A lui e ai suoi compagni di strada si deve inoltre la riscoperta dei cosiddetti Primitivi, i pittori che precedettero il Rinascimento, le cui opere fino ad allora erano considerate oggetti devozionali privi di valore artistico. Il principe del Louvre rimane Raffaello, ma per la prima volta diventa importante mostrare come si arrivi alla sua arte”.
La statua di Napoleone alla Pinacoteca di Brera | Courtesy NEXO Digital
Per quali eredità artistiche dovremmo ringraziare Napoleone e per che cosa invece possiamo ancora rimproverarlo?
“Con Napoleone si avviano grandissimi lavori di architettura a Parigi, ma anche a Milano, capitale del Regno d’Italia. È in quest’epoca che si delinea il volto della Parigi moderna, con i grandi mercati pubblici e i primi larghi boulevard, che diventeranno la cifra distintiva dell’urbanistica di Haussmann sotto Napoleone III. A Milano sorge il Foro Bonaparte e viene ridisegnata l’area intorno al Castello Sforzesco ma, soprattutto, i milanesi vedono finalmente il loro Duomo completato: dopo secoli di attesa, la facciata viene approntata per fare da scenografia all’incoronazione del 1805. Imponenti sono anche gli scavi condotti a Roma. Per la prima volta chi ha il potere si rende conto dell’importanza delle rovine antiche e spazi incolti dove pascolavano le pecore diventano aree di interesse archeologico. Il lascito culturale di Napoleone è incredibile, nell’arte come nella letteratura europea.
Gli aspetti negativi certo non mancano. Alla base delle spoliazioni napoleoniche c’è la stessa idea presente durante il Sacco di Roma del 1527 o durante le campagne degli eserciti romani: l’arte è un bene mobile a disposizione dei vincitori, che può essere trafugato, spostato e perfino mutilato: come avvenne per il dipinto delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, tagliato a pezzi per facilitarne il trasporto da Venezia al Louvre”.
Il film è impreziosito dalla partecipazione di Jeremy Irons. Come definiresti il suo contributo?
“Di fronte a un personaggio titanico come Napoleone, Irons si è davvero caricato sulle spalle la conduzione del racconto, dando prova di una grandissima serietà di artista e dimostrando di essere un maestro dello spettacolo come oggi forse non ce ne sono più. La sua è una presenza molto forte, che si erge all’interno del Duomo di Milano e nella Biblioteca Braidense. Nel film non ci siamo sottratti al racconto di risvolti umani, affettivi ed emotivi: in queste circostanze una personalità come quella di Irons fa la differenza, conferendo alla narrazione spessore, fascino e umanità”.
François Gérard, Napoleone con gli abiti dell’incoronazione, Olio su tela, 1805, Ajaccio, Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts | Courtesy Reunion des Musees Nationaux – Grand Palais
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• Napoleone e l'arte: il racconto di una passione sul grande schermo
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“Il film è un viaggio visivo di ampio respiro sia artistico che paesaggistico - continua Moneta - Una grande, turbinosa cavalcata che va dalla Corsica a Sant’Elena, passa dall’Egitto e attraversa mezza Europa: è la vita di Napoleone vista con la magnificenza dei suoi occhi. Opere d’arte già bellissime entrando dentro questa avventura si caricano di emozioni. E poi naturalmente c’è Jeremy Irons, un maestro dal carisma davvero potente”.
Quello di Napoleone è un personaggio complesso, ricco di contrasti e sfaccettature. Qual è il ritratto che emerge dal film?
“Abbiamo scelto di raccontare Napoleone prima di tutto come persona: un uomo colto, per il quale i libri sono compagni di vita fin da quando era bambino. Perfino mentre infuria la Rivoluzione Francese Napoleone divora i classici latini, soprattutto Cesare, che resterà uno dei suoi principali punti di riferimento, e durante le campagne militari avrà sempre con sé una biblioteca portatile. La passione per i libri ci aiuta a comprendere il peso dell’arte nei suoi disegni di potere. Ma Bonaparte è stato anche un uomo dall’ironia tagliente, una persona franca, pratica e alla mano, tutt’altro che inavvicinabile”.
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Come prende forma la sua storia sullo schermo?
“Nel film si intrecciano diversi fili conduttori. La dimensione artistica è il cuore del racconto, con il tema controverso delle spoliazioni nei paesi conquistati e delle restituzioni, ma anche con la nascita dei grandi musei europei. Questa strada ci porta a viaggiare nella grande arte, tra i tesori del Louvre e della Pinacoteca di Brera, dalla Francia a Milano, da Roma all’Egitto.
Poi c’è un’interessante componente musicale, che ha all’origine nel ritrovamento di uno storico spartito da parte di Lucia Sirch, musicologa del conservatorio di Milano. Si tratta del Te Deum di Francesco Pollini, suonato per l’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia nel 1805 e poi caduto nell’oblio per volontà degli austriaci. È un brano molto bello, che abbiamo fatto orchestrare ed eseguire appositamente per il film. Sullo schermo ricostruiamo le vicende dello spartito dalla riscoperta alle prove generali a Palazzo Reale, fino all’esecuzione nel Duomo di Milano. Questo filo percorre tutto il documentario, offrendo momenti musicali di piacere e distensione rispetto a una vicenda dal ritmo denso e serrato come quella di Napoleone.
Infine c’è l’eredità iconica e comunicativa di un leader moderno, capace di parlare alle masse anche con il corpo e con le immagini. Questa parte riguarda il lavoro che Napoleone fa con pittori come David, Ingres, Gros, il suo modo di farsi ritrarre, ma anche di essere presente in mezzo alla gente. Napoleone è il primo leader mediatico della storia. Mussolini lo studierà compulsivamente, si immedesimerà nella sua figura e si ispirerà a lui in molte occasioni. Il giorno della nomina a primo ministro, per esempio, il duce dice a suo fratello: ‘Se papà potesse vederci…’. La stessa identica frase che Napoleone aveva rivolto al fratello Giuseppe quando fu incoronato imperatore”.
Il film è frutto di un lungo lavoro di ricerca. Ci sono dettagli che ti hanno sorpreso e che desideri condividere con gli spettatori?
“La vita di Napoleone è una miniera di aneddoti e curiosità, un grande romanzo di avventura pieno di drammi e colpi di scena come sono le opere del Romanticismo, perché Napoleone è l’incarnazione dell’eroe romantico. Nel film raccontiamo che tipo di amante fu e scopriamo la sua infanzia punteggiata di presagi: dalle battaglie a palle di neve che diresse da bambino a quando segnò sul quaderno l’isola di Sant’Elena, cerchiandola e scrivendo ‘piccola isola’, come se avesse visto il suo futuro. Oppure le frasi memorabili che sembrava avere avere pronte per ogni evento e che oggi farebbero impallidire qualsiasi autore o ghostwriter...”.
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“Mi ha emozionato tenere in mano la biblioteca dell’Elba, così come vedere la culla del figlio di Napoleone a Fontainebleau: un figlio atteso a lungo, il desiderio del quale portò Bonaparte a rinunciare al primo matrimonio con Josephine, la donna che amava, per sposare Maria Luisa d’Austria. Impossibile racchiudere in un film la quantità di storie in cui ci siamo imbattuti, spero però che la sua visione invogli gli spettatori a prendere in mano una biografia di Napoleone, perché ne vale veramente la pena”.
Come vi siete accostati al tema spinoso delle spoliazioni napoleoniche, primo episodio in epoca moderna di una storia che non smette di alimentare controversie?
“La campagna di spoliazioni che Napoleone portò avanti nei territori conquistati è stata forse il più grande spostamento di opere d’arte della storia. Solo in rari casi si trattò di furti veri e propri, piuttosto di ‘prelievi’ autorizzati dai trattati di pace in cui i vincitori approfittavano della posizione di potere per appropriarsi di dipinti, sculture e manoscritti.
Per i territori interessati - l’Italia, ma anche i Paesi Bassi e la Germania - furono eventi dall’impatto drammatico, ma ebbero anche dei risvolti positivi. Napoleone aveva infatti ereditato dalla Rivoluzione Francese il concetto di museo pubblico, l’idea dell’arte come bene universale a disposizione del popolo e strumento per la sua educazione. Prima di allora, a eccezione delle opere esposte nelle chiese, l’arte si trovava nei palazzi nobiliari, dove poteva essere vista solo da pochi privilegiati. Il Louvre a Parigi, la Pinacoteca di Brera a Milano, il Rijksmuseum in Olanda, le Gallerie dell’Accademia di Venezia furono creazioni di Napoleone e dei suoi uomini”.
Louis-François Lejeune, La bataille des Pyramides, 1808 I Courtesy Nexo Digital
Non accadde lo stesso durante la campagna d’Egitto, dalla quale, anche se sconfitti, gli eserciti napoleonici tornarono carichi di reperti preziosi…
“È innegabile che la campagna d’Egitto abbia dato il via a una lunga serie di spoliazioni, portate avanti non solo dai francesi ma anche dalle altre grandi potenze presenti di volta in volta nel paese. Tuttavia è grazie a Napoleone e ai suoi 167 savant - scienziati, letterati, artisti che Bonaparte portò con sé per studiare i territori conquistati - che l’Egitto divenne per la prima volta materia di interesse da parte dell’Occidente. Questo ha condotto alla preservazione e alla valorizzazione di un immenso patrimonio storico, artistico e culturale. Nel film gli spettatori potranno ammirare l’edizione originale della Description de l’Égypt, un’opera in 23 volumi che racchiude gli studi compiuti dai savant, con tavole che ritraggono i templi, le rovine, la fauna e la flora, i paesaggi e gli abitanti del paese: un viaggio veramente impressionante nell’Egitto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. L’opera è conservata a Milano nella Biblioteca Braidense, dove abbiamo ripreso anche un altro oggetto di culto, il manoscritto del Cinque Maggio che Manzoni dedicò alla morte di Napoleone”.
Di fronte a Bonaparte qualsiasi personaggio sembra privo di importanza. Quali altre figure riescono ad emergere nel racconto di Napoleone. Nel nome dell’arte?
“Uno dei personaggi più interessanti che ruotano intorno a Napoleone è Vivant Denon, un nobile libertino che durante la Rivoluzione francese era scampato per un soffio alla ghigliottina. Scrittore, artista e storico dell’arte, diventerà il principale punto di riferimento dell’imperatore in campo artistico e dirigerà il Louvre fin dalla sua fondazione. Sarà il primo direttore museale nel senso moderno del termine: il primo a porsi il problema di come esporre le opere per favorirne la fruizione da parte del pubblico o a immaginare percorsi adatti agli allievi delle scuole d’arte, evidenziando influenze, cronologia, filiazioni, innovazioni, ma anche il primo direttore al mondo a pubblicare la guida di un museo. A lui e ai suoi compagni di strada si deve inoltre la riscoperta dei cosiddetti Primitivi, i pittori che precedettero il Rinascimento, le cui opere fino ad allora erano considerate oggetti devozionali privi di valore artistico. Il principe del Louvre rimane Raffaello, ma per la prima volta diventa importante mostrare come si arrivi alla sua arte”.
La statua di Napoleone alla Pinacoteca di Brera | Courtesy NEXO Digital
Per quali eredità artistiche dovremmo ringraziare Napoleone e per che cosa invece possiamo ancora rimproverarlo?
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Gli aspetti negativi certo non mancano. Alla base delle spoliazioni napoleoniche c’è la stessa idea presente durante il Sacco di Roma del 1527 o durante le campagne degli eserciti romani: l’arte è un bene mobile a disposizione dei vincitori, che può essere trafugato, spostato e perfino mutilato: come avvenne per il dipinto delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, tagliato a pezzi per facilitarne il trasporto da Venezia al Louvre”.
Il film è impreziosito dalla partecipazione di Jeremy Irons. Come definiresti il suo contributo?
“Di fronte a un personaggio titanico come Napoleone, Irons si è davvero caricato sulle spalle la conduzione del racconto, dando prova di una grandissima serietà di artista e dimostrando di essere un maestro dello spettacolo come oggi forse non ce ne sono più. La sua è una presenza molto forte, che si erge all’interno del Duomo di Milano e nella Biblioteca Braidense. Nel film non ci siamo sottratti al racconto di risvolti umani, affettivi ed emotivi: in queste circostanze una personalità come quella di Irons fa la differenza, conferendo alla narrazione spessore, fascino e umanità”.
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