UN RESTAURO LUNGO TRE SECOLI
Leonardo
15/06/2001
La storia dell’Ultima Cena è intrecciata strettamente con quella dei numerosissimi interventi che nel corso dei secoli si sono succeduti per tentare di salvare un’opera caratterizzata fin da subito dalla difficile conservabilità, a causa non solo degli agenti esterni, ed in particolare dell’umidità del refettorio delle Grazie, ma anche dalla tecnica sperimentale usata da Leonardo, dagli imprevisti effetti collaterali di una precoce deperibilità.
Se infatti le innumerevoli copie del Cenacolo, cominciate ancora a lavori in corso, testimoniano una fortuna notevole e un riconoscimento immediato dell’opera come exemplum, indicano anche una preoccupazione fin da subito avvertita, quella relativa al deterioramento dell’opera. I primi allarmi sono quasi contemporanei, a cominciare con l’avvertimento di Andrea de Beatis nel 1517, e con quello del Vasari a metà del ‘500, ma sono numerose nel corso dei secoli le grida di ‘morte’ del Cenacolo, fino all’”Ode per la morte di un capolavoro” di D’Annunzio. Questo perché l’infinita serie di restuari e ridipinture il più delle volte non hanno fatto altro che peggiorare la situazione.
Gli interventi documentati sono almeno dieci: il primo è del 1726, di Michelangelo Belotti, e si risolve in una estesa ridipintura. Cinquant’anni dopo, poiché ovviamente il Cenacolo continua a peggiorare, non essendo state rimosse le cause del degrado, è il governo austriaco a voler rimediare agli errori del precedente restauro. Ma l’intervento di Pietro Mazza è, se possibile, ancora peggiore: rimuove le aggiunte del Belotti raschiando la pittura (compresa quindi parte di quella vinciana) per poi eseguire niente altro che una propria ridipintura. Sull’onda di un rinnovato interesse verso Leonardo e in particolare il Cenacolo, Stefano Barezzi, a cavallo del 1820, prima tenta di staccare il dipinto, provocando ingenti danni (tuttora visibili), poi inizia un restauro che si rivela fallimentare. Dopo la polemica suscitata dall’ode di D’Annunzio, si procede ad un lungo restauro da parte di Luigi Cavenaghi, nel primo decennio del 1900. L’intervento si dimostra però sbagliato nelle techiche e così nel 1924 si è costretti a ricorrere ad un nuovo intervento di Oreste Silvestri, orientato principalmente al fissaggio delle scaglie di colore pericolanti. La bomba che colpisce il refettorio delle Grazie nel 1943 salva sì il Cenacolo, ma lo espone per diversi anni alla polvere, agli agenti atmosferici e soprattutto all’umidità, provocando uno sbiancamento e un indebolimento della pittura. Il restauro che ne segue, ad opera di Mauro Pelliccioli, serve solo a fissare la superficie, con pochissimi interventi di rimozione delle ridipinture.
Infine, l’ultimo intervento, eseguito da Pinin Brambilla, inizia nel 1977 per concludersi solo nel 1999.
Quello che ne esce fuori è però l’opera di Leonardo, o almeno ciò che dell’opera di Leonardo è rimasto: vengono finalmente rimosse le ridipinture e la patina di sporco accumulata da secoli. Il Cenacolo ne guadagna senz’altro in plasticità e in profondità, nei suoi valori coloristici (principalmente nei panneggi degli apostoli) e luministici; riemergono inoltre molti particolari dello sfondo, diversi dettagli chiaroscurali, come nello splendido lavoro sulle mani, frutto degli studi leonardeschi di anatomia.
Un intervento difficilissimo che giustamente la mostra omaggia fin dalla prima sala dando la possibilità al visitatore di vedere (o rivedere) due dei sei documentari che la Rai ha realizzato nel corso dell’ultimo ventennio per testimoniare lo stato di avanzamento dei lavori. La visione di entrambi i documentari (della durata totale di 50 minuti) è caldamente consigliata per capire la complessità dell’intervento della restauratrice Pinin Brambilla.
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