Fino al 17 giugno in mostra alla GAM di Milano

Una Tempesta dal Paradiso: parla Sara Raza, curatrice al Guggenheim di New York

© Joana Hadjithomas and Khalil Joreige Veduta dell’installazione: Una Tempesta dal Paradiso: Arte Contemporanea del Medio Oriente e Nord Africa Galleria d’Arte Moderna, Milano, 11 aprile-17 giugno, 2018 © Solomon R. Guggenheim Foundation, 2018 Foto: | Joana Hadjithomas and Khalil Joreige Immagini Latenti, Diario di un Fotografo, 177 Giorni di Performance, 2015 354 copie del libro dell’artista stampato, 177 scaffali di metallo, e video a colori, con suono, 120 min., dimensioni variabili Solomon R.
 

Francesca Grego

16/04/2018

Milano - “C’è un quadro di Paul Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”. Così Walter Benjamin descrisse il dipinto ricevuto in dono da Klee in una delle ultime pagine vergate nella sua vita, prima di troncarla con una dose letale di morfina a Portbou, terrorizzato dai nazisti che lo braccavano.
Alle sue parole, filtrate attraverso le immagini dell’artista iraniano Rokni Haerizadeh, si ispira l’ultimo progetto della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, fino al 17 giugno in mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. I tempi sono cambiati, sembra voler dire la mostra, ma la tempesta del cambiamento continua a mettere in subbuglio ogni apparente certezza con cui, per abitudine o per desiderio di rassicurazione, siamo soliti guardare al divenire storico, alle categorie geografiche e alla stessa storia dell’arte.
 
Ultima tappa del programma di MAP Global Art Initiative, che con 126 nuove acquisizioni negli ultimi cinque anni ha allargato le collezioni Guggenheim oltre l’orizzonte eurocentrico, “Una Tempesta dal Paradiso. Arte contemporanea dal Medio Oriente e Nord Africa” presenta le ricerche di 13 artisti provenienti da alcune delle aree più calde di un sistema globale in trasformazione. Sedici installazioni, sculture, fotografie, video e lavori su carta esplorano la galassia del presente globalizzato con una molteplicità di sguardi e di stili.
Ci sono le riproduzioni in bronzo di piante ormai estinte nella mezzaluna fertile tra il Tigri e l’Eufrate, la “culla delle civiltà” che ospitò i Giardini Pensili di Babilonia (Abbas Akhavan, Study for a Monument, 2013), ma anche la città algerina di Ghardaïa, che ispirò Le Courbusier, ricostruita con il couscous da Kader Attia (Ghardaïa, 2009); le mappe di Susan Hefuna, trasposizione astratta dei pensieri dell’artista in giro per New York (Building, 2009), e l’Allevamento di Polvere (2011)di Ergin Çavuşoğlu che, citando una fotografia di Man Ray, invita i visitatori a camminare nella rappresentazione anamorfica di una fabbrica di cemento turca: “È l’immagine di un mondo in transito – spiega Çavuşoğlu - il manifesto del mio interesse per il lavoro di Duchamp: specialmente per la sua de-costruzione della pittura nei suoi aspetti di liquidità, colore, dimensione. Ma il mio lavoro va oltre la pittura e la scultura, in qualche modo si colloca all'interno dell'architettura informale. Sono cresciuto negli anni Ottanta. La mia ricerca si focalizza sulle modalità che mi permettono di andare oltre l'oggetto. È un'opera che contiene diversi livelli di coinvolgimento e lettura. Si tratta di un luogo sospeso, liminale. Una forma di trasgressione della geografia. In passato ho lavorato molto sul concetto di confine”.
 
Il progetto, nel suo insieme, ce lo racconta Sara Raza, curatrice del Guggenheim Museum di New York e di UBS MAP Global Art Initiative in quest’ultimo significativo capitolo in mostra alla GAM.

Come nascono i progetti “MAP” e “Una Tempesta dal Paradiso”? A quali esigenze rispondono?
“La Guggenheim UBS MAP Global Art Initiative è stata lanciata nel 2012 all’interno di una partnership culturale tra il Solomon R. Guggenheim Museum e UBS, con la prospettiva di diversificare la collezione del museo statunitense a partire da tre regioni distinte: Sud e Sud Asia, America Latina, e Medio Oriente e Nord Africa. Io sono stata selezionata per condurre la fase finale del progetto, quella dedicata appunto Medio Oriente e Nord Africa. La missione è stata duplice: costruire la collezione tramite le acquisizioni di opere di artisti poco rappresentati e proporre, attraverso la borsa di studio curatoriale ricevuta, una specifica prospettiva, scambiando e condividendo quella conoscenza con i colleghi di dipartimenti trasversali del Guggenheim e con i partner del museo nel mondo.
Le origini di ‘Una Tempesta dal Paradiso’ sono implicite nella missione di allontanarsi da semplicistiche visioni geografiche, offrendo una narrazione ragionata, basata su idee e tematiche capaci di riflettere l’arte del nostro tempo in modo veritiero”.
 
“Una Tempesta dal Paradiso” contiene un’ampia gamma di voci, linguaggi e sguardi sul Medio Oriente e sul Nord Africa contemporanei. Quali criteri hanno guidato la selezione delle opere? Quale panorama viene fuori da questo nuovo segmento delle collezioni Guggenheim?
“La collezione del Guggenheim venne costituita secondo tre principi di raccolta: l’arte del nostro tempo, la pittura non oggettiva e l’arte dell’astrazione. Questi stessi principi mi hanno guidata nelle mie scelte. Era necessario per me allontanarmi dagli stereotipi legati al Medio Oriente e riuscire a fornire una visione alternativa. Dal punto di vista tematico un’attenzione particolare viene riservata ai nuovi linguaggi legati alla cultura visiva e alle ideologie dell’architettura”.
 
Quale esperienza offre la mostra ai visitatori della GAM di Milano?
“L’esposizione presenta opere che esplorano i temi intrecciati della migrazione, della dislocazione, e della geometria concettuale, attraverso un’ampia gamma di linguaggi espressivi – pittura, fotografia, video e installazioni, di cui fan parte elementi inaspettati come i vestiti o il couscous. Le opere, inoltre, fanno riferimento alla storia – e la presentazione all’interno dell’architettura della GAM, meravigliosa e intrisa di diversi strati di storia, in prossimità della sua collezione di fondamentali dipinti europei del XIX e XX secolo, illumina queste storie interconnesse tra il Medio Oriente e l’Europa.
GAM, Guggenheim e UBS hanno inoltre sviluppato un programma pubblico con visite guidate e talk tenute dagli artisti, che ci auguriamo possano intensificare il coinvolgimento dei visitatori nell’opera”.
 
Nella mostra di Milano ci saranno novità rispetto all’allestimento di “But a Stormi is Blowing in from Paradise” proposto al Guggenheim Museum di New York? Vorresti commentare per i lettori di ARTE.it un’opera che ritieni particolarmente interessante e rappresentativa?
“Questa mostra presenta 7 nuovi lavori che non sono stati inclusi nella precedente esposizione di New York. Tra questi c’è l’opera di Gülsün Karamustafa, un’artista che vive a Istanbul. In Crea la tua storia con il materiale dato l’artista ha chiuso con un filo nero alcune camicie bianche per bambini, per ricordare la situazione dei migranti e dei loro figli in Turchia, dove era normale che le persone nascondessero oggetti personali cucendoli nei loro vestiti. L’opera, creata oltre 20 anni fa, continua purtroppo ad essere attuale viste le crisi migratorie in tante aree del mondo odierno”.
 
“Nella mia regione – spiega Gülsün Karamustafa ad ARTE.it - queste camiciole realizzate con un cotone molto soffice sono usate per avvolgere i bambini appena nati. Il materiale è molto fragile. È stata una grande sfida eseguire il lavoro di cucitura con uno spago nero. L'opera è stata realizzata nel 1997 al tempo della guerra Iran-Iraq, da cui sono sorti molti problemi nel Medio Oriente. Per lungo tempo il lavoro è stato dimenticato. All'inizio si poteva toccare, palpare con mano la leggerezza del tessuto, ma ora che l'opera è entrata a far parte di un museo non è più possibile. È ritornata attuale anche in tempi successivi, con la guerra dei Balcani che in Turchia abbiamo sentito molto vicina".
Non resistiamo alla tentazione di chiedere a Gülsün quali siano i margini di libertà per un artista che vive oggi in Turchia: “Da quando sono nata nel mio paese ci sono stati quattro colpi di stato. Nel primo mio padre finì in prigione, quando il governo di cui aveva fatto parte fu messo gambe all'aria. Nel secondo, io e mio marito, che al tempo vivevamo il nostro '68 ed eravamo attivisti, dichiaravamo apertamente le nostre idee e volevamo cambiare il mondo: finimmo in prigione. Il terzo fu molto repressivo e violento. Adesso io personalmente non ho idee per il futuro. Ma ci sono sempre per un artista dei momenti per creare la propria libertà. Ci sono modi per dire quello che si pensa e trovare le occasioni per farlo”.
 
Torniamo a parlare con Sara Raza di “Una Tempesta dal Paradiso”:
Come indica il riferimento al saggio di Benjamin, le opere acquisite dal Guggenheim sono legate a doppio filo al divenire storico. Come si concilia la loro scottante attualità con l’esigenza di conservare un valore oltre il tempo all’interno della collezione?
“Sono molto legata alla scrittura e alla filosofia di Walter Benjamin e a quella di altri scrittori di questo periodo della storia europea, ma sono anche profondamente convinta del fatto che le idee non cadano dal cielo: esse si evolvono e viaggiano attraverso la storia. Nello specifico mi interessa molto anche la scrittura di studiosi islamici vissuti tra il VII e il XIII secolo che stavano esplorando, perseguendo e promuovendo il pensiero scientifico ed indagando nozioni di verità.
Questo è il cuore del mio approccio: mi interessa esplorare e procedere a zig zag tra le storie. È importante anche dire che non sono una nostalgica, forse una nostalgica progressista. Ciò che questi pensatori e filosofi a distanza di secoli stavano cercando di fare era esplorare le idee attorno alla coscienza umana”.
 
Il desiderio di abbracciare il mondo in una collezione risale agli albori del concetto di museo: già nelle wunderkammern seicentesche nobili e amatori mostravano ai propri ospiti un compendio del mondo allora conosciuto. Come si colloca il progetto del Guggenheim Museum all’interno di questo lungo percorso?
“Sin dalla sua fondazione, il Guggenheim sostiene il potere trasformativo dell'arte e la sua capacità di influenzare il comportamento umano e, con esso, la società. Per questo consideriamo il progetto MAP come una coraggiosa e naturale estensione di questo principio originario per raccogliere, supportare e presentare l'arte del nostro tempo. Grazie a 126 opere aggiunte alla collezione del museo attraverso MAP, opere provenienti da regioni meno rappresentate in una storia dell'arte tradizionalmente eurocentrica, il Guggenheim è in grado di condividere una narrativa della storia dell'arte più ricca e più inclusiva che riflette il mondo in cui viviamo oggi”.
 
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