Strategie contro la crisi post lockdown
Dalla Russia agli States, le sfide della riapertura dei musei
Il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo | Courtesy of MANN, Napoli
Francesca Grego
13/05/2020
Mondo - Si fa presto a dire riapertura. Anche per i musei due mesi di lockdown si lasciano dietro una scia di costi e ricavi mancati, mentre la ripresa delle attività a ritmi e volumi pre-coronavirus sembra lontana. La diminuzione dei flussi turistici prevista per i prossimi mesi e le misure di distanziamento sociale prefigurano un’inevitabile riduzione dei visitatori e, di conseguenza, degli introiti derivanti dai biglietti. A questo si aggiunge l’idea di un futuro un po’ più povero rispetto al mondo in cui abbiamo vissuto fino a poco fa, dove sponsor e donatori potrebbero essere meno disposti a investire in cultura.
Per i musei, insomma, la sfida è duplice: da un lato tornare ad accogliere - e ad attrarre - il pubblico adattandosi nel più breve tempo possibile alle nuove necessità, dall’altro curare i propri bilanci, il che in alcuni casi equivale a sopravvivere. Se la crisi è più o meno generalizzata, le reazioni variano molto in base alla dimensione dei musei, alla loro organizzazione economica e al sistema nazionale in cui sono inseriti. Scopriamone alcune.
Partiamo dall’Europa e voliamo in Francia, uno dei paesi più simili a noi. Come in Italia, anche qui una galassia di piccoli musei si dispone intorno ad attrazioni mondiali come il Louvre, il Musée d’Orsay o il Centre Pompidou, che fino a due mesi fa ospitavano quotidianamente folle di visitatori. Di questi per il momento dovremo fare a meno, e la regola vale anche per gli art lover parigini: i rischi sono alti e le istituzioni abbastanza solide da poter sopportare il protrarsi della chiusura. A fare da apripista saranno invece i piccoli musei, che già da questa settimana potranno tornare ad accogliere il pubblico dotandosi dei requisiti necessari. Via libera per il sito all’aperto del Domain de Chaumont-sur-Loire, per esempio, e per il Musée Ingres-Bourdelle a Montauban, nel Midi, mentre ancora non sappiamo se riapriranno la casa e il giardino di Monet a Giverny. Anche a Parigi i preparativi fervono. Giovedì prossimo a Montparnasse tornerà ad accogliere il pubblico con accessi a tempo e a numero chiuso la Fondazione Giacometti, dove è ricostruito lo studio del grande scultore modernista, ed entro la metà di giugno ripartiranno il Marmottan e il Musée Jacquemart-André con i capolavori arrivati dalla Tate per la grande mostra su Turner.
In America la situazione si presenta più complessa: in molte città non si sa ancora quando il Covid-19 allenterà la presa e la riapertura dei musei è prevista non prima di luglio. Si preparano strategie per fronteggiare i diversi scenari possibili, prevedendo la possibilità di un distanziamento sociale prolungato o premunendosi per l’eventuale ritorno del virus in autunno. Negli Stati Uniti il coinvolgimento pubblico nella gestione dei musei è minore che nella maggior parte dei paesi europei: di qui la preoccupazione per la sopravvivenza delle realtà museali più piccole. Se un colosso come il Metropolitan Museum of Art di New York ha annunciato perdite per 100 milioni di dollari, istituzioni di dimensioni più ridotte si ritrovano ad affrontare una minaccia senza precedenti. In altre parole, anche nel mondo dei musei la pandemia sta amplificando le disparità tipiche del sistema americano. Chi può contare su maggiori risorse le rialloca creando fondi di emergenza, ma questo non significa evitare tagli del personale e degli investimenti. Il MoMa, per esempio, si prepara a diventare “un’istituzione molto più piccola”, come ha dichiarato direttore Glenn D. Lowry, nonostante la recente espansione da 450 milioni di dollari degli spazi espositivi. Si ridimensiona il percorso di visita, si riducono lo staff, il calendario delle mostre e il budget destinato alle pubblicazioni.
Il Cleveland Museum of Art, invece, avrebbe dovuto inaugurare a maggio una grande mostra dedicata a Pablo Picasso e alle sue opere su carta. L’evento è rinviato a data da destinarsi non solo a causa del lockdown, ma anche perché in seguito l’emergenza ha cambiato le politiche del museo: meno prestiti internazionali, più progetti basati sulla collezione residente, valorizzazione di un deposito in grado di riservare interessanti sorprese. Intanto si aspettano come una boccata di ossigeno gli aiuti del CARES Act, che il mese scorso ha destinato 200 milioni di dollari alle istituzioni culturali statunitensi in lotta per la sopravvivenza. Ma c’è chi è costretto a sacrifici maggiori. Come il MOCAD - Museum of Contemporary Art di Detroit, che ha già tagliato considerevolmente il personale e si prepara a ridurre i giorni di apertura, magari sfruttando qualche serata per coinvolgere i visitatori. In attesa degli aiuti statali e in mancanza di donazioni insperate - che, in qualche misura, continuano ad affluire nelle casse dei musei più grandi - ha organizzato una raccolta fondi mettendo in vendita opere di artisti basati a Detroit.
Dall’altro capo del mondo, in Russia i musei sono stretti tra due fuochi: da un lato i danni del Covid-19 e del lockdown, dall’altro la crisi del prezzo del petrolio, particolarmente significativa perché le compagnie petrolifere sono da tempo tra i maggiori sponsor delle istituzioni culturali di questo paese. Con la chiusura del 17 marzo l’Ermitage ha già perso la metà delle sue entrate annuali, ha dichiarato il direttore Mikhail Piotrovsky all’agenzia Interfax. E non stanno meglio la Galleria Tret’yakov e il Museo Puskin di Mosca.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui folle di turisti cinesi erano quasi diventate parte del panorama degli ex palazzi imperiali di San Pietroburgo, con il museo - il più grande di tutta la Russia - in ascesa per entrate e prestigio internazionale. Sulla Neva come nella capitale, il coronavirus domina la scena e nessuno si azzarda a indicare una data per la riapertura degli spazi espositivi. Mentre si attendono i finanziamenti statali necessari a pagare gli stipendi dello staff, l’Ermitage guarda alle esperienze in partenza nel resto del mondo per tornare a mostrare Leonardo e Caravaggio, Canova e Raffaello, Rembrandt, Velàsquez, Monet e Picasso. “Avremo una grande consultazione con i musei dell’America, dell’Europa e dell’Asia”, ha annunciato Piotrovsky, “e discuteremo su come riaprire. Come evitare gli assembramenti, come regolare le entrate e le distanze nelle code. E' un bene che alcuni musei escano prima dalla quarantena. Avremo un’idea di come potrà essere il futuro”.
Leggi anche:
• Sopravvivere vendendo un Van Gogh? Le strategie dei musei americani
• Oltre il lockdown. Il museo del futuro in attesa della riapertura
• Guido Guerzoni: ripartire dai depositi e dalle collezioni per portare un nuovo museo ai visitatori
Per i musei, insomma, la sfida è duplice: da un lato tornare ad accogliere - e ad attrarre - il pubblico adattandosi nel più breve tempo possibile alle nuove necessità, dall’altro curare i propri bilanci, il che in alcuni casi equivale a sopravvivere. Se la crisi è più o meno generalizzata, le reazioni variano molto in base alla dimensione dei musei, alla loro organizzazione economica e al sistema nazionale in cui sono inseriti. Scopriamone alcune.
Partiamo dall’Europa e voliamo in Francia, uno dei paesi più simili a noi. Come in Italia, anche qui una galassia di piccoli musei si dispone intorno ad attrazioni mondiali come il Louvre, il Musée d’Orsay o il Centre Pompidou, che fino a due mesi fa ospitavano quotidianamente folle di visitatori. Di questi per il momento dovremo fare a meno, e la regola vale anche per gli art lover parigini: i rischi sono alti e le istituzioni abbastanza solide da poter sopportare il protrarsi della chiusura. A fare da apripista saranno invece i piccoli musei, che già da questa settimana potranno tornare ad accogliere il pubblico dotandosi dei requisiti necessari. Via libera per il sito all’aperto del Domain de Chaumont-sur-Loire, per esempio, e per il Musée Ingres-Bourdelle a Montauban, nel Midi, mentre ancora non sappiamo se riapriranno la casa e il giardino di Monet a Giverny. Anche a Parigi i preparativi fervono. Giovedì prossimo a Montparnasse tornerà ad accogliere il pubblico con accessi a tempo e a numero chiuso la Fondazione Giacometti, dove è ricostruito lo studio del grande scultore modernista, ed entro la metà di giugno ripartiranno il Marmottan e il Musée Jacquemart-André con i capolavori arrivati dalla Tate per la grande mostra su Turner.
In America la situazione si presenta più complessa: in molte città non si sa ancora quando il Covid-19 allenterà la presa e la riapertura dei musei è prevista non prima di luglio. Si preparano strategie per fronteggiare i diversi scenari possibili, prevedendo la possibilità di un distanziamento sociale prolungato o premunendosi per l’eventuale ritorno del virus in autunno. Negli Stati Uniti il coinvolgimento pubblico nella gestione dei musei è minore che nella maggior parte dei paesi europei: di qui la preoccupazione per la sopravvivenza delle realtà museali più piccole. Se un colosso come il Metropolitan Museum of Art di New York ha annunciato perdite per 100 milioni di dollari, istituzioni di dimensioni più ridotte si ritrovano ad affrontare una minaccia senza precedenti. In altre parole, anche nel mondo dei musei la pandemia sta amplificando le disparità tipiche del sistema americano. Chi può contare su maggiori risorse le rialloca creando fondi di emergenza, ma questo non significa evitare tagli del personale e degli investimenti. Il MoMa, per esempio, si prepara a diventare “un’istituzione molto più piccola”, come ha dichiarato direttore Glenn D. Lowry, nonostante la recente espansione da 450 milioni di dollari degli spazi espositivi. Si ridimensiona il percorso di visita, si riducono lo staff, il calendario delle mostre e il budget destinato alle pubblicazioni.
Il Cleveland Museum of Art, invece, avrebbe dovuto inaugurare a maggio una grande mostra dedicata a Pablo Picasso e alle sue opere su carta. L’evento è rinviato a data da destinarsi non solo a causa del lockdown, ma anche perché in seguito l’emergenza ha cambiato le politiche del museo: meno prestiti internazionali, più progetti basati sulla collezione residente, valorizzazione di un deposito in grado di riservare interessanti sorprese. Intanto si aspettano come una boccata di ossigeno gli aiuti del CARES Act, che il mese scorso ha destinato 200 milioni di dollari alle istituzioni culturali statunitensi in lotta per la sopravvivenza. Ma c’è chi è costretto a sacrifici maggiori. Come il MOCAD - Museum of Contemporary Art di Detroit, che ha già tagliato considerevolmente il personale e si prepara a ridurre i giorni di apertura, magari sfruttando qualche serata per coinvolgere i visitatori. In attesa degli aiuti statali e in mancanza di donazioni insperate - che, in qualche misura, continuano ad affluire nelle casse dei musei più grandi - ha organizzato una raccolta fondi mettendo in vendita opere di artisti basati a Detroit.
Dall’altro capo del mondo, in Russia i musei sono stretti tra due fuochi: da un lato i danni del Covid-19 e del lockdown, dall’altro la crisi del prezzo del petrolio, particolarmente significativa perché le compagnie petrolifere sono da tempo tra i maggiori sponsor delle istituzioni culturali di questo paese. Con la chiusura del 17 marzo l’Ermitage ha già perso la metà delle sue entrate annuali, ha dichiarato il direttore Mikhail Piotrovsky all’agenzia Interfax. E non stanno meglio la Galleria Tret’yakov e il Museo Puskin di Mosca.
Sembrano lontanissimi i tempi in cui folle di turisti cinesi erano quasi diventate parte del panorama degli ex palazzi imperiali di San Pietroburgo, con il museo - il più grande di tutta la Russia - in ascesa per entrate e prestigio internazionale. Sulla Neva come nella capitale, il coronavirus domina la scena e nessuno si azzarda a indicare una data per la riapertura degli spazi espositivi. Mentre si attendono i finanziamenti statali necessari a pagare gli stipendi dello staff, l’Ermitage guarda alle esperienze in partenza nel resto del mondo per tornare a mostrare Leonardo e Caravaggio, Canova e Raffaello, Rembrandt, Velàsquez, Monet e Picasso. “Avremo una grande consultazione con i musei dell’America, dell’Europa e dell’Asia”, ha annunciato Piotrovsky, “e discuteremo su come riaprire. Come evitare gli assembramenti, come regolare le entrate e le distanze nelle code. E' un bene che alcuni musei escano prima dalla quarantena. Avremo un’idea di come potrà essere il futuro”.
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