Un viaggio in occasione della mostra di Vicenza e del film evento Tra il Grano e il Cielo
Van Gogh: i luoghi della vita che hanno ispirato la sua arte
Chiesa di Auvers sur Oise dal film Van Gogh tra il grano e il cielo. Courtesy of Nexo Digital
Samantha De Martin
23/03/2018
Mondo - Alcuni, come la celebre “casa gialla”, non esistono più. Altri, come il Ponte di Langlois, ad Arles, o la chiesa di Auvers-sur-Oise sono rimasti identici a come li vedeva il maestro, regalando ancora oggi al viaggiatore quel senso di angosciosa solitudine nelle quale Vincent pose fine alla sua tormentata esistenza.
Dire luogo è dire anima, quasi sempre. E lo sa bene chi, aggirandosi tra Arles, Saint-Rémy-de-Provence, visitando quel che resta de la Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, si ritrova sulle tracce di Van Gogh, tra i pennelli adagiati sui campi di grano di Auvers, dentro i cieli plumbei, il rosso dei papaveri e gli ulivi di Provenza, rapiti dai colori e dagli occhi penetranti del maestro.
“Quando si cammina per ore e ore attraverso questa campagna, davvero si sente che non esiste altro se non quella distesa infinita di terra, la verde muffa del grano, dell’erica e quel cielo infinito” scriveva Vincent.
Mai come nel caso del pittore olandese i luoghi sono così indissolubilmente legati al cuore, al respiro di qualcuno. Ed è questo legame intenso, forte, quasi con le impronte lasciate sul terreno dall’artista, a caratterizzare l’ultima produzione di 3D Produzioni e Nexo Digital, dal titolo "Van Gogh. Tra il Grano e il Cielo" - diretto da Giovanni Piscaglia e scritto da Matteo Moneta con la consulenza scientifica e la partecipazione di Marco Goldin - e soprattutto la straordinaria mostra di Vicenza, un’esperienza emozionale più che una semplice rassegna, dalla quale la produzione cinematografica prende spunto.
Perché il nuovo film evento - che sarà nelle sale solo il 9,10 e 11 aprile - offre un inedito sguardo su Van Gogh attraverso il lascito di Helene Kröller-Müller, la più grande collezionista privata di opere del pittore olandese, e soprattutto attraverso la mostra curata dallo storico dell'arte Marco Goldin, che, nella Basilica Palladiana, fino all’8 aprile - e che a pochi giorni dalla chiusura conta già oltre 370mila visitatori - raccoglie 40 dipinti e 85 disegni provenienti dall’importante eredità di Helene, il Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda.
Soffermarsi sui luoghi del film e del percorso espositivo non significa soltanto descrivere le case, le persone care a Van Gogh, ma soprattutto percorrere quell’intricato dedalo di “strade” che hanno portato Vincent ed Helene a incontrarsi, sebbene virtualmente, sugli appassionati e appassionanti sentieri dell’arte.
Fu infatti un viaggio in Italia, tra Milano, Roma e Firenze, ai primi del Novecento, ad ammaliare a tal punto Helene Kröller-Müller da indurla, sull'esempio del mecenatismo dei Medici, ad acquistare quasi 300 opere del maestro, tra dipinti e disegni, letteralmente folgorata dalla sua arte. Una cospicua parte di questo patrimonio inestimabile descrive, nella Basilica Palladiana di Vicenza, un’autentica via crucis del dolore, aprendo al visitatore il "laboratorio dell’anima di Van Gogh", come lo definisce Goldin, il vero luogo privilegiato, segreto, solo a lui noto, nel quale hanno preso forma le sue immagini.
Tra i luoghi della mostra - e quindi del film - che, con l’apporto fondamentale di quello scrigno vangoghiano che è il Kröller-Müller Museum, ricostruiscono con precisione l’intera vicenda biografica dell’artista, ci sono le miniere del Borinage, la regione carbonifera del Belgio dove i lavoratori vivevano in condizioni di estremo disagio e dove van Gogh si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. C'è Etten, dove si trasferirà nella primavera del 1881 e c’è la chiesa di Nuenen, sempre nel Brabante - dove il pittore si tratterrà dal 1883 al 1885 e dove creerà i primi capolavori - presente in numerosi quadri e disegni degli anni olandesi che fanno da sfondo al capitolo dedicato all’ansia religiosa di Vincent.
Fu proprio a Nuenen che il pittore realizzò quasi duecento tele e numerosissimi acquerelli e disegni.
Protagonisti delle opere di questi anni sono i tessitori al lavoro, il villaggio di Nuenen e, ovviamente, i contadini, ai quali Vincent dedicò I mangiatori di patate, il capolavoro del suo periodo olandese.
“Di tutti i miei lavori, ritengo il quadro dei contadini che mangiano patate, che ho dipinto a Nuenen, decisamente il migliore che abbia fatto” scriveva alla sorella Wilhelmina nel 1887.
La mostra sfoglia anche i tre mesi meravigliosi trascorsi nella regione del Drenthe, quella più amata dai paesaggisti olandesi, con i suoi canali, i campi, gli ampi orizzonti, e nella quale Van Gogh realizza alcuni fogli di squisita eleganza.
In questo corteo di luoghi che, dalla mostra di Vicenza scivola sul grande schermo, sfilano poi l’Accademia di Belle arti di Anversa, nelle cui aule Vincent trascorse tre mesi, e soprattutto Parigi, vera mecca dell’arte e della vita dell’Ottocento.
La Ville lumière era davvero, al tempo di Vincent, il centro della cultura mondiale.
“E non dimenticare, mio caro, che Parigi è Parigi. Non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria della Francia schiarisce la mente e fa star veramente bene” confidava il pittore, entusiasta, al collega Horace Lievens.
Quelli parigini sono gli anni de Le Moulin de la Galette - che sorgeva nei pressi dell’appartamento, a Rue Lepic 54, dove Thèo e Vincent vissero per due anni - che l’artista dipinse nel 1886, della vigna di Montmartre, delle frequentazioni dell’atelier di Fernand-Anne Piestre, detto Cormon, dove van Gogh conobbe Louis Anquetin, Émile Bernard ed Henri de Toulouse-Lautrec. Conoscenze cui si aggiungeva l'amicizia con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley, Seurat, Signac, l’incontro con Paul Gauguin, avvenuto nell’inverno 1886.
Uno degli straordinari punti di forza del film è l'opportunità, rara, offerta al pubblico di penetrare in tele inamovibili dal posto in cui si trovano, restituendoci luoghi iconici e tra i più celebri dell’artista, come Terrazza del caffè la sera, Palce du Forum, Arles, realizzato nel 1888 e conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.
La mostra dedica ampio spazio alla tanto desiderata immersione nel Sud, prima ad Arles, dal 20 febbraio 1888 fino al principio di maggio 1889, e poi per un anno a Saint-Rémy, fino a metà maggio del 1890. Una parabola che si conclude con i settanta febbrili giorni ad Auvers-sur-Oise, quando tutto giunge a compimento nelle orizzontali distese dei campi, "stirati sotto un cielo assolato o gonfio di una pioggia che pare non finire mai".
Nel ripercorrere i luoghi del genio e dell’uomo Van Gogh la mostra di Goldin, e di riflesso il film, segue la parabola dell’artista, da quando “decise di diventare pittore” alla morte, e lo fa soprattutto attraverso i suoi disegni.
Se in mostra, un plastico di 20 metri quadrati ricostruisce la casa di cura per malattie mentali di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy, dove Van Gogh scelse di ricoverarsi dal maggio 1889 al maggio 1890, il film concede al pubblico un’incursione “più libera” nei luoghi della follia di questo genio dalla straziata fragilità. Ed è a questo punto che mostra e film divergono, scegliendo la produzione due luoghi storicamente meno puntuali, sebbene fortemente evocativi, come l’ex manicomio di Mombello, in provincia di Monza, e il Nederlands Openluchtmuseum di Arnhem, museo all’aperto che, tra mulini a vento, carrozze e caseifici, ricostruisce la vita e gli aspetti culturali ed economici dei Paesi Bassi nel XIX secolo.
Dalla topografia dell’anima di Van Gogh non poteva infine mancare Auvers-sur-Oise, un villaggio a una trentina di chilometri da Parigi dove Vincent arriva nel 1890 per trascorrervi le ultime dieci settimane di vita, fuggito da quell’ambiente - Saint-Rémy - che iniziava a pesargli, facendolo sentire "oppresso dalla noia e dal dolore” . “Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca” scriveva.
E poi qui c’era il dottor Gachet, protagonista di una delle sue opere più celebri, che si sarebbe preso cura di lui. Ed è qui che Vincent muore, due giorni dopo essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo di Auvers.
Nella vita di questo artista che, come nessun altro nella storia dell’arte, ha saputo rappresentare nei suoi quadri quel vero e proprio "scandaglio di una profondità che si è espressa in immagine in ogni modo", è come se i luoghi giocassero un ruolo chiave. È come se, a conclusione della sua travagliata, drammatica esistenza, la sua anima, scalzata dal corpo dal colpo letale, fosse divenuta essa stessa luogo, proprio in una delle ambientazioni così care alla sua pittura.
In questa sorta di apoteosi nell'olimpo dell'arte dell’uomo e dell’artista Van Gogh, sembra di sentire le parole del maestro. “Il mondo mi riguarda solo perché sento un certo debito. Voglio lasciare di me un qualche ricordo sotto forma di disegni o dipinti”. Un lascito che a distanza di quasi 130 anni continua a costituire il fil rouge di un viaggio, fisico, mentale, spirituale che ognuno di noi ha la possibilità di compiere, grazie anche al supporto della settima arte, tra i luoghi che vibrano ancora del respiro dei pennelli di questo genio immenso.
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Dire luogo è dire anima, quasi sempre. E lo sa bene chi, aggirandosi tra Arles, Saint-Rémy-de-Provence, visitando quel che resta de la Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, si ritrova sulle tracce di Van Gogh, tra i pennelli adagiati sui campi di grano di Auvers, dentro i cieli plumbei, il rosso dei papaveri e gli ulivi di Provenza, rapiti dai colori e dagli occhi penetranti del maestro.
“Quando si cammina per ore e ore attraverso questa campagna, davvero si sente che non esiste altro se non quella distesa infinita di terra, la verde muffa del grano, dell’erica e quel cielo infinito” scriveva Vincent.
Mai come nel caso del pittore olandese i luoghi sono così indissolubilmente legati al cuore, al respiro di qualcuno. Ed è questo legame intenso, forte, quasi con le impronte lasciate sul terreno dall’artista, a caratterizzare l’ultima produzione di 3D Produzioni e Nexo Digital, dal titolo "Van Gogh. Tra il Grano e il Cielo" - diretto da Giovanni Piscaglia e scritto da Matteo Moneta con la consulenza scientifica e la partecipazione di Marco Goldin - e soprattutto la straordinaria mostra di Vicenza, un’esperienza emozionale più che una semplice rassegna, dalla quale la produzione cinematografica prende spunto.
Perché il nuovo film evento - che sarà nelle sale solo il 9,10 e 11 aprile - offre un inedito sguardo su Van Gogh attraverso il lascito di Helene Kröller-Müller, la più grande collezionista privata di opere del pittore olandese, e soprattutto attraverso la mostra curata dallo storico dell'arte Marco Goldin, che, nella Basilica Palladiana, fino all’8 aprile - e che a pochi giorni dalla chiusura conta già oltre 370mila visitatori - raccoglie 40 dipinti e 85 disegni provenienti dall’importante eredità di Helene, il Kröller-Müller Museum di Otterlo in Olanda.
Soffermarsi sui luoghi del film e del percorso espositivo non significa soltanto descrivere le case, le persone care a Van Gogh, ma soprattutto percorrere quell’intricato dedalo di “strade” che hanno portato Vincent ed Helene a incontrarsi, sebbene virtualmente, sugli appassionati e appassionanti sentieri dell’arte.
Fu infatti un viaggio in Italia, tra Milano, Roma e Firenze, ai primi del Novecento, ad ammaliare a tal punto Helene Kröller-Müller da indurla, sull'esempio del mecenatismo dei Medici, ad acquistare quasi 300 opere del maestro, tra dipinti e disegni, letteralmente folgorata dalla sua arte. Una cospicua parte di questo patrimonio inestimabile descrive, nella Basilica Palladiana di Vicenza, un’autentica via crucis del dolore, aprendo al visitatore il "laboratorio dell’anima di Van Gogh", come lo definisce Goldin, il vero luogo privilegiato, segreto, solo a lui noto, nel quale hanno preso forma le sue immagini.
Tra i luoghi della mostra - e quindi del film - che, con l’apporto fondamentale di quello scrigno vangoghiano che è il Kröller-Müller Museum, ricostruiscono con precisione l’intera vicenda biografica dell’artista, ci sono le miniere del Borinage, la regione carbonifera del Belgio dove i lavoratori vivevano in condizioni di estremo disagio e dove van Gogh si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. C'è Etten, dove si trasferirà nella primavera del 1881 e c’è la chiesa di Nuenen, sempre nel Brabante - dove il pittore si tratterrà dal 1883 al 1885 e dove creerà i primi capolavori - presente in numerosi quadri e disegni degli anni olandesi che fanno da sfondo al capitolo dedicato all’ansia religiosa di Vincent.
Fu proprio a Nuenen che il pittore realizzò quasi duecento tele e numerosissimi acquerelli e disegni.
Protagonisti delle opere di questi anni sono i tessitori al lavoro, il villaggio di Nuenen e, ovviamente, i contadini, ai quali Vincent dedicò I mangiatori di patate, il capolavoro del suo periodo olandese.
“Di tutti i miei lavori, ritengo il quadro dei contadini che mangiano patate, che ho dipinto a Nuenen, decisamente il migliore che abbia fatto” scriveva alla sorella Wilhelmina nel 1887.
La mostra sfoglia anche i tre mesi meravigliosi trascorsi nella regione del Drenthe, quella più amata dai paesaggisti olandesi, con i suoi canali, i campi, gli ampi orizzonti, e nella quale Van Gogh realizza alcuni fogli di squisita eleganza.
In questo corteo di luoghi che, dalla mostra di Vicenza scivola sul grande schermo, sfilano poi l’Accademia di Belle arti di Anversa, nelle cui aule Vincent trascorse tre mesi, e soprattutto Parigi, vera mecca dell’arte e della vita dell’Ottocento.
La Ville lumière era davvero, al tempo di Vincent, il centro della cultura mondiale.
“E non dimenticare, mio caro, che Parigi è Parigi. Non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria della Francia schiarisce la mente e fa star veramente bene” confidava il pittore, entusiasta, al collega Horace Lievens.
Quelli parigini sono gli anni de Le Moulin de la Galette - che sorgeva nei pressi dell’appartamento, a Rue Lepic 54, dove Thèo e Vincent vissero per due anni - che l’artista dipinse nel 1886, della vigna di Montmartre, delle frequentazioni dell’atelier di Fernand-Anne Piestre, detto Cormon, dove van Gogh conobbe Louis Anquetin, Émile Bernard ed Henri de Toulouse-Lautrec. Conoscenze cui si aggiungeva l'amicizia con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley, Seurat, Signac, l’incontro con Paul Gauguin, avvenuto nell’inverno 1886.
Uno degli straordinari punti di forza del film è l'opportunità, rara, offerta al pubblico di penetrare in tele inamovibili dal posto in cui si trovano, restituendoci luoghi iconici e tra i più celebri dell’artista, come Terrazza del caffè la sera, Palce du Forum, Arles, realizzato nel 1888 e conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.
La mostra dedica ampio spazio alla tanto desiderata immersione nel Sud, prima ad Arles, dal 20 febbraio 1888 fino al principio di maggio 1889, e poi per un anno a Saint-Rémy, fino a metà maggio del 1890. Una parabola che si conclude con i settanta febbrili giorni ad Auvers-sur-Oise, quando tutto giunge a compimento nelle orizzontali distese dei campi, "stirati sotto un cielo assolato o gonfio di una pioggia che pare non finire mai".
Nel ripercorrere i luoghi del genio e dell’uomo Van Gogh la mostra di Goldin, e di riflesso il film, segue la parabola dell’artista, da quando “decise di diventare pittore” alla morte, e lo fa soprattutto attraverso i suoi disegni.
Se in mostra, un plastico di 20 metri quadrati ricostruisce la casa di cura per malattie mentali di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy, dove Van Gogh scelse di ricoverarsi dal maggio 1889 al maggio 1890, il film concede al pubblico un’incursione “più libera” nei luoghi della follia di questo genio dalla straziata fragilità. Ed è a questo punto che mostra e film divergono, scegliendo la produzione due luoghi storicamente meno puntuali, sebbene fortemente evocativi, come l’ex manicomio di Mombello, in provincia di Monza, e il Nederlands Openluchtmuseum di Arnhem, museo all’aperto che, tra mulini a vento, carrozze e caseifici, ricostruisce la vita e gli aspetti culturali ed economici dei Paesi Bassi nel XIX secolo.
Dalla topografia dell’anima di Van Gogh non poteva infine mancare Auvers-sur-Oise, un villaggio a una trentina di chilometri da Parigi dove Vincent arriva nel 1890 per trascorrervi le ultime dieci settimane di vita, fuggito da quell’ambiente - Saint-Rémy - che iniziava a pesargli, facendolo sentire "oppresso dalla noia e dal dolore” . “Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca” scriveva.
E poi qui c’era il dottor Gachet, protagonista di una delle sue opere più celebri, che si sarebbe preso cura di lui. Ed è qui che Vincent muore, due giorni dopo essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo di Auvers.
Nella vita di questo artista che, come nessun altro nella storia dell’arte, ha saputo rappresentare nei suoi quadri quel vero e proprio "scandaglio di una profondità che si è espressa in immagine in ogni modo", è come se i luoghi giocassero un ruolo chiave. È come se, a conclusione della sua travagliata, drammatica esistenza, la sua anima, scalzata dal corpo dal colpo letale, fosse divenuta essa stessa luogo, proprio in una delle ambientazioni così care alla sua pittura.
In questa sorta di apoteosi nell'olimpo dell'arte dell’uomo e dell’artista Van Gogh, sembra di sentire le parole del maestro. “Il mondo mi riguarda solo perché sento un certo debito. Voglio lasciare di me un qualche ricordo sotto forma di disegni o dipinti”. Un lascito che a distanza di quasi 130 anni continua a costituire il fil rouge di un viaggio, fisico, mentale, spirituale che ognuno di noi ha la possibilità di compiere, grazie anche al supporto della settima arte, tra i luoghi che vibrano ancora del respiro dei pennelli di questo genio immenso.
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