A Parma per la mostra internazionale di modernariato, antichità e collezionismo

Nella wunderkammer di Mercante in Fiera, un viaggio nel tempo tra arte, cinema, curiosità

Uno scorcio di un padiglione di Mercante in Fiera con gli allestimenti degli espositori
 

Samantha De Martin

05/03/2018

Parma - I pantaloni in tela blu che Giuseppe Garibaldi indossava durante lo sbarco a Marsala e la guerra in Sicilia, nel maggio del 1860, erano jeans e provenivano da Genova.
Perché questa icona, storicamente associata al nome dell’imprenditore tedesco, naturalizzato statunitense, fondatore del noto marchio di abbigliamento Levi Strauss & Co, è in realtà un prodotto tutto italiano, frutto del genio di un intraprendente popolo di navigatori. D’altra parte, il termine jeans - nome apposto alle balle di fustagno bianco e marrone inviate dalla città ligure e scaricate al porto di Londra - altro non è che l’anglicizzazione di “Gênes”, Genova in francese.

Si scopre anche questo a Mercante in Fiera di Parma, un autentico viaggio nel tempo e tra le storie che parlano di uomini e affetti, più che una semplice fiera nella quale circa mille espositori da tutta Europa e 5mila buyer da tutto il mondo si incontrano di fronte alla passione comune per l’antiquariato e non solo.
La caccia all’oggetto raro, all’introvabile capo vintage, ai trumeau settecenteschi, a un Vacheron-Constantin a una lampada Frank Lloyd Wright ha luogo a Parma, su una superficie di oltre 40mila metri quadri, dal 3 all’11 marzo.

Arriviamo di venerdì, il giorno che precede la grande apertura, perché, assicurano, è il momento giusto per assaporare a pieno il déballage, il fermento dei preparativi, tra cartoni e imballi da scartare. Ed in effetti è così. Qualche espositore, per bruciare le distanze tra i padiglioni 3, 4, 5, 6 - dove ha luogo la kermesse - utilizza la bici. Qualcun altro consuma un pasto veloce, mentre vivaci cagnolini condividono l’atmosfera di questa affascinante wunderkammer pronta a schiudersi per sedurre occhi e ricordi con pezzi di antiquariato, collezioni vintage, oggetti di design e modernariato.
Ed è la lentezza, la pazienza certosina degli espositori che allestiscono con sapienza i loro stand, a farla da padrone in questo labirinto luccicante dove non è raro trovare il lusso, ma anche il suo contrario.

Apre la Fiera: quattro passi tra pezzi di antiquariato, abiti vintage e curiosità
Mentre l’ultimo zampino dell’inverno grattugia da un cielo bianchissimo pingui e copiosi fiocchi di neve, ha ufficialmente inizio l’edizione numero 24 di Mercante in Fiera Primavera, l'atteso appuntamento che due volte all’anno riunisce a Parma, capitale della Food Valley, appassionati, collezionisti e semplici curiosi, attratti da ogni forma d’arte e mirabilia.

Perché questo evento, dal 1981 - anno in cui è nato su idea dell’artista parmigiano Stefano Spagnoli, con l’intento di avvicinare al mercato dell’antiquariato un pubblico ampio - non ha mai lasciato la città. Anzi l’ha arricchita di una nuova facies che, negli anni, ha attratto e sedotto una porzione sempre più larga di visitatori grazie alla sua poliedrica offerta.

Aggirandosi nel dedalo di corridoi, tra un Brancusi e una tela di Mario Schifano, tra uno Schiaccianoci di dimensioni gigantesche e il “nonno” del flipper datato 1860, muovendosi tra poltrone anni Venti, fioriere ottocentesche e tavolini da viaggio cinesi di fine Ottocento, sgranando gli occhi di fronte a vecchi biliardini e jukebox scintillanti, sembra di fare un salto indietro, riscoprendo storie di uomini e oggetti, rese più belle dal tempo che passa.

E riaffiorano alla mente i vecchi tabacchini con le insegne “Totocalcio” o i bar con lo “storico” logo del telefono giallo, e si rivedono le mode sfogliando gli abiti dello stand di A.N.G.E.L.O - un autentico tempio del vintage - tra un montgomery Burberry e una giacca Chanel.

Arrivano i buyer, in molti conoscono gli espositori e il vederli chiacchierare davanti alla tela, al paio di orecchini, ai vecchi bauli Louis Vuitton, con la lentezza e il calore di vecchi amici che si rincontrano, fa pensare ad una gigantesca piazza nella quale ritrovarsi è semplice, basta seguire l’oggetto del cuore o sogno di una vita nel cassetto.

Ada Egidio, di Collezionando Gallery, ha deciso di investire sui giovani proponendo pezzi decisamente accessibili a tutte le tasche. Ed ecco, allo stand E 026, i coloratissimi e irriverenti nani di Ottmar Hörl, un Karl Marx o un Richard Wagner a misura d’uomo e ancora le ultime illustrazioni di Alessandra Carloni, i brillanti lavori in ferro dell’artista israeliano David Gerstein.
Con gli occhi pieni e tanta voglia di curiosare ancora, cambiamo padiglione ed è ancora, di stand in stand, l’ennesima sorpresa.

Una traccia di Picasso a Mercante in Fiera
Al padiglione 3 c’è un pezzo forte, ci dicono. Così aguzziamo la vista e raggiungiamo la “vetrina” di una minuta signora dai capelli rossi che espone con orgoglio un vecchio disco con i versi del poeta francese Paul Éluard. La copertina - donata da Dominique, moglie del poeta, a una certa signora Rina - reca la firma e un piccolo disegno di Picasso. Scattiamo qualche foto guardando con meraviglia questo prezioso cimelio, prima di riprendere il nostro viaggio nel tempo.


La copertina del disco del poeta francese Paul Éluard con la firma di Picasso


“Blu Genova”: il museo sbarca in fiera per raccontare la storia del jeans
Mercante in Fiera è anche arte, tradizione, scoperta. La mostra Blu di Genova. Il jeans è una storia italiana, che attende i visitatori al padiglione 4 - a cura di Serena Bertolucci, direttrice di Palazzo Reale di Genova e da Paolo Aquilini direttore del Museo della Seta di Como - racconta attraverso filati, tessuti e attrezzi d’epoca, i segreti della tintura del tessuto genovese che ha fatto nel mondo la storia dell’abbigliamento moderno. Un segreto legato all’estratto della indigofera tinctoria che arrivava in Europa sotto forma di panetti compressi detti coquaigne, lavorati a Genova per dare colore al fustagno.
Mentre la città italiana incarnava la capitale di questa tradizione tessile, nel Nuovo Mondo, nel 1873, il tedesco Levis Strauss, brevettava il primo paio di pantaloni da lavoro con doppie cuciture, rivetti di metallo e rigorosamente in fustagno tinto di blu: il “Blu di Genova” appunto o Blu Jeans come li chiamiamo da allora.

Ed eccolo uno dei tanti corsetti a testimonianza del fatto che il colore blu fosse assoluto protagonista nelle creazioni di moda in voga in quel periodo, caratterizzati da appliques di paillettes nere luccicanti e da tessuti blu a fiori.

La mostra, piccola ma estremamente interessante, ospita anche alcune fotografie storiche di fine Ottocento, prestate dai camalli - gli scaricatori del porto di Genova - che testimoniano come il fustagno genovese, caratterizzato da una stoffa molto resistente, impermeabile e versatile fosse da questi molto utilizzato. Tra gli scatti esposti ce n’è uno particolarmente curioso datato 1910, in cui compare, da destra, Bartolomeo Pagano, primo Maciste del cinema italiano, rigorosamente in jeans.

Questo interessante appuntamento che porta in Fiera il Museo di Palazzo Reale di Genova e quello Didattico della Seta di Como, è un’occasione per tutti per scoprire notizie e curiosità poco note, ma soprattutto per portare gli oggetti fuori dal museo e renderli accessibili a un’ampia fetta di pubblico, e non soltanto agli addetti ai lavori.
«Un museo - spiega Serena Bertolucci, direttrice di Palazzo Reale di Genova e curatrice della mostra insieme a Paolo Aquilini, direttore del Museo della Seta di Como - deve essere un presidio vivo, deve parlare attraverso gli oggetti e restituire la memoria».


Un pezzo della mostra Blu di Genova. Il jeans è una storia italiana, evento collaterale di Mercante in Fiera 


Il cinema a Mercante in Fiera: un omaggio ad Anton Giulio Majano
Basta spostarsi di pochi passi dalla mostra dedicata al jeans per essere catapultati nell’universo del “sovrano del feuilleton televisivo”, Anton Giulio Majano, presente in Fiera nella sua inedita veste di regista cinematografico.
Fedele al progetto della RAI - che negli anni Sessanta ambiva ad elevare culturalmente la popolazione ancora schiacciata dall’analfabetismo - Majano inventò una sorta di esperanto televisivo traducendo in una stessa lingua, e con spirito nostrano, la poetica dei grandi della letteratura straniera.

La mostra E i teleromanzi stanno a guardare accoglie i manifesti - provenienti dalla collezione privata del curatore Mario Gerosa, studioso di cinema e televisione - di alcune delle produzioni alle quali lavorarono attori del calibro di Sophia Loren, Virna Lisi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Alberto Lupo, solo per citarne alcuni.


Alcuni manifesti della mostra E i teleromanzi stanno a guardare, ospitata a Mercante in Fiera


Il labirinto più grande al mondo a pochi chilometri da Parma 
Fu l’incontro e la frequentazione con Jeorge Louis Borges a far maturare nell’editore e designer Franco Maria Ricci - nel periodo in cui, a più riprese lo scrittore argentino fu ospite nella sua casa di campagna vicino a Fontanellato, a una trentina di chilometri dalla città della Pilotta - l’idea di realizzare il labirinto più grande al mondo. E così l’editore parmigiano, nel giugno del 2015, inaugurò quel suo ambizioso progetto - costruito grazie all’architetto Pier Carlo Bontempi, che avrebbe dovuto rappresentare un equivalente del labirinto di Minosse, ma in versione “addolcita”, un giardino in cui la gente potesse passeggiare, smarrendosi di tanto in tanto, ma senza pericolo.

In questo romantico scorcio grande sette ettari è il bambù, la pianta sempreverde, elegante e sinuosa capace di crescere in fretta e bisognosa di poca cura, a farla da padrone, con oltre 200mila esemplari presenti, appartenenti a venti specie diverse. Quando raggiungiamo il dedalo Ricci, l’ultima neve marzolina pesa sulle ancora sulle canne e il ghiaccio rende pericoloso l’accesso al Labirinto. Senza avventurarci tra i suoi intricati sentieri, ammiriamo dall’alto della torretta questa elegante architettura ispirata ai mosaici delle ville e delle terme romane, ma anche ai sogni e alle utopie dei grandi architetti del periodo della Rivoluzione Francese, Boullée, Ledoux, Lequeu, e l’italiano Antolini.

Limitandoci a fotografare il Labirinto dall’alto ci addentriamo nell’universo artistico di Franco Maria Ricci all’interno del Museo che accoglie l’intera collezione di opere d’arte messe insieme in cinquant’anni.
La jaguar E-Type disegnata da Malcolm Sayer e presentata al Salone dell’automobile di Ginevra il 15 marzo del 1961 apre il percorso.

In questo tempio in stile neoclassico, la collezione di dipinti, sculture e oggetti d’arte si compone di circa cinquecento opere disposte su cinquemila metri quadrati. Dai pezzi di Valentin de Boulogne e Francesco Hayez alle terracotte di ambito francese e alla Beatrice in marmo bianco di Antonio Canova, il percorso è un grande omaggio all’arte tra Cinque e Novecento.
Ed ecco un modello ligneo del Duomo di Milano e di quello di Ulm, due denti di narvalo, un altarolo in pietre dure ed ebano, e ancora due dipinti di Antonio Ligabue e Alberto Savinio.

Non passa inosservato, in questo affascinante tempio, l’amore di Ricci per Giovanni Battista Bodoni, i cui volumi, caratterizzati da preziose rilegature, furono raccolti negli anni dal noto designer.
D’altronde l’editore - che nel 1963 scoprì l’opera del tipografo e il suo sublime Manuale, decidendo di intraprendere la professione di editore riprendendo l’utilizzo esclusivo dei caratteri bodoniani - aveva fatto suo il motto del tipografo piemontese, Je ne veux que du magnifique et je ne travaille pas pour le vulgaire.

Ma il Labirinto della Masone è anche sede di percorsi espositivi di grande impatto.
Dopo la mostra dedicata alle affascinanti sculture dell’artista messicano Javier Marín, sarà la volta di Museo di Pangea, che accoglierà, dall’11 marzo al 10 giugno, manufatti di civiltà immaginarie realizzati negli ultimi dieci anni dall’artista contemporaneo romano Marco Barina.
Per realizzare i suoi assemblages, Barina ha battuto il mercato delle pulci di Porta Portese e altri negozi di rigattieri, rovistando tra cianfrusaglie e frantumi di un Pantheon smembrato, con lo scopo di ricomporlo, restituendogli potenza ed eficacia.

«Sono felice e orgoglioso - è il commento di Franco Maria Ricci - di ospitare una mostra il cui titolo, Museo di Pangea, non stona con la mia prima professione di geologo. La penombra dei musei etnografici somiglia a quella di teatri e cinema, e mi fa pensare anche al nero dei miei libri. Spero che molti visitatori, guardando i feticci del mondo parallelo immaginato da Marco Barina, proveranno l’emozione di un riaccostamento a dei, a culture e archetipi che esistevano già nelle soffitte o nelle cantine della loro mente».

E il pensiero non può non tornare a Mercante in Fiera, dove la nostra visita ha avuto inizio. E il cerchio - che stringe in un abbraccio il Labirinto più grande al mondo e la mostra internazionale di modernariato, antichità e collezionismo in corso fino all'11 marzo nella città eletta Capitale italiana della Cultura 2020 - si chiude, lasciando nel visitatore una sorta di stupore e la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza piena, appagante, divertente, a 360 gradi.


Una veduta dall'alto del Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, a Fontanellato