Dal 21 novembre al 21 aprile
Alle Terme di Diocleziano Roma incontra la Dacia, l’ultima frontiera della romanità
Glykon di Tomis
Samantha De Martin
20/11/2023
Roma - C’è il Serpente Glykon da Tomis - dove il poeta latino Ovidio, in esilio, concluse i suoi giorni - raffigurazione in marmo di un “demone buono” capace di guarire da una misteriosa epidemia. E c’è il raffinato elmo d’oro di Cotofeneşti di manifattura tracia, con rappresentate diverse scene di sacrificio. E ancora un set da gioco, il tesoro gotico di Pietroasele del IV secolo d.C. con l’eccezionale phiale (coppa) d’oro lavorata a sbalzo e le grandi fibule, che ammicca a bracciali d’oro daci, alle collane incredibilmente contemporanee, alla tavoletta cerata con il contratto di lavoro stipulato nel 164 d.C tra il locatario Aurelio Adiutore, cittadino romano, e Memmio di Asclepio, di origine orientale. Una delle fonti più autorevoli sulle origini del “diritto del lavoro”.
E ancora armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia a far luce sulla religione, l’arte, l’artigianato, il commercio e la vita quotidiana dell'antica Dacia, l’attuale Romania, regione che cambiò per sempre il proprio destino una volta inclusa nel grande Impero romano. Le indagini archeologiche, condotte nel primo decennio del XXI secolo, hanno delineato un mondo favoloso, sebbene complesso, una sorta di California dell’antichità dove le gentes ex toto orbe romano venivano attratte dall’eterno fascino dei giacimenti auriferi attorno ai quali si svilupparono pian piano centri abitati, aree sacre, necropoli, spazi per la lavorazione dei materiali.
Testa dalla tomba principesca di Peretu
Con oltre mille opere provenienti da 47 musei della Romania, oltre che dal Museo Nazionale di Storia della Repubblica di Moldova, per la prima volta mostrate accanto ad alcuni reperti del Museo Nazionale Romano, l'esposizione Dacia. L’ultima frontiera della Romanità porta fino al 21 aprile, al Museo Nazionale Romano, nelle Aule delle Terme di Diocleziano, la più grande e prestigiosa mostra di reperti archeologici organizzata dalla Romania all’estero negli ultimi decenni. Questo interessante viaggio di scoperta, a cura di Ernest Oberlander direttore del Museo Nazionale di Storia della Romania, e di Stéphane Verger direttore del Museo Nazionale Romano, invita a ripercorrere lo sviluppo storico e culturale del territorio nell’arco di oltre millecinquecento anni, dall’VIII secolo a.C. all’VIII d.C.
Il kit magico del I secolo d.C. rinvenuto in uno dei più importanti siti geto-dacici del Basso Danubio, con figurine dalle mani legate dietro la schiena, sepolte in anfore romane, sorprende accanto alla rappresentazione antropomorfa di una donna (forse una testa di divinità) parte di un inventario funerario principesco rinvenuto a nord del Danubio. In un allestimento che abbraccia quattro sezioni, ben scandite da un apparato didascalico non troppo esaustivo, prende forma un avvincente viaggio millenario dove l’evoluzione degli antenati geto-daci verso i popoli geti e daci lascia il posto alla trasformazione di una parte della Dacia in provincia romana, all’integrazione nel mondo romano, alla convivenza degli abitanti del territorio con le popolazioni migranti.
“La mostra sull'antica Dacia - ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano - ci ricorda il glorioso passato che ci lega alla Romania. L’Unione Europea non può reggersi solo su una architettura giuridica e sul mercato unico, che pure sono importantissimi, ma deve ritrovare e valorizzare le radici etiche, culturali e religiose comuni”.
Allestimento della mostra Dacia. L’ultima frontiera della Romanità | Courtesy Muzeul Național de Istorie a României
Se la prima sezione illustra la conquista del territorio all’epoca dell’imperatore Traiano (101-106 d.C.), evidenziando lo stretto legame e le analogie tra i reperti provenienti dai musei rumeni e quelli del Museo Nazionale Romano, la seconda tappa della mostra racconta la formazione della cultura dacica nell’età del Ferro con l’influsso dei Traci, degli Sciti e dei Greci delle colonie sul Mar Nero. Al confronto tra civiltà urbane mediterranee e civiltà tribali e nomadi continentali e all’inserimento della Dacia nelle reti culturali ellenistiche mediterranee, dell’epoca di Alessandro Magno, e continentali, con nuove popolazioni centro europee quali i Celti, i Geto-Traci, i Bastarni di origine germanica, è invece dedicata la terza sezione.
L'ultima tappa di questo percorso che assurge a un intreccio di culture assiste alla dissoluzione dell’Impero, tra confini insicuri, mescolanze, la presenza di popoli come gli Unni, mentre il potere di Roma si sposta a Oriente con Bisanzio. Il ruolo della cristianizzazione e la diffusione della lingua latina sono punti forti dell’eredità di Roma che preannunciano la nascita della Romania attuale.
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• Dacia. L'ultima frontiera della romanità
E ancora armi, vasi, ceramiche, monete, gioielli e corredi per i riti di magia a far luce sulla religione, l’arte, l’artigianato, il commercio e la vita quotidiana dell'antica Dacia, l’attuale Romania, regione che cambiò per sempre il proprio destino una volta inclusa nel grande Impero romano. Le indagini archeologiche, condotte nel primo decennio del XXI secolo, hanno delineato un mondo favoloso, sebbene complesso, una sorta di California dell’antichità dove le gentes ex toto orbe romano venivano attratte dall’eterno fascino dei giacimenti auriferi attorno ai quali si svilupparono pian piano centri abitati, aree sacre, necropoli, spazi per la lavorazione dei materiali.
Testa dalla tomba principesca di Peretu
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Il kit magico del I secolo d.C. rinvenuto in uno dei più importanti siti geto-dacici del Basso Danubio, con figurine dalle mani legate dietro la schiena, sepolte in anfore romane, sorprende accanto alla rappresentazione antropomorfa di una donna (forse una testa di divinità) parte di un inventario funerario principesco rinvenuto a nord del Danubio. In un allestimento che abbraccia quattro sezioni, ben scandite da un apparato didascalico non troppo esaustivo, prende forma un avvincente viaggio millenario dove l’evoluzione degli antenati geto-daci verso i popoli geti e daci lascia il posto alla trasformazione di una parte della Dacia in provincia romana, all’integrazione nel mondo romano, alla convivenza degli abitanti del territorio con le popolazioni migranti.
“La mostra sull'antica Dacia - ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano - ci ricorda il glorioso passato che ci lega alla Romania. L’Unione Europea non può reggersi solo su una architettura giuridica e sul mercato unico, che pure sono importantissimi, ma deve ritrovare e valorizzare le radici etiche, culturali e religiose comuni”.
Allestimento della mostra Dacia. L’ultima frontiera della Romanità | Courtesy Muzeul Național de Istorie a României
Se la prima sezione illustra la conquista del territorio all’epoca dell’imperatore Traiano (101-106 d.C.), evidenziando lo stretto legame e le analogie tra i reperti provenienti dai musei rumeni e quelli del Museo Nazionale Romano, la seconda tappa della mostra racconta la formazione della cultura dacica nell’età del Ferro con l’influsso dei Traci, degli Sciti e dei Greci delle colonie sul Mar Nero. Al confronto tra civiltà urbane mediterranee e civiltà tribali e nomadi continentali e all’inserimento della Dacia nelle reti culturali ellenistiche mediterranee, dell’epoca di Alessandro Magno, e continentali, con nuove popolazioni centro europee quali i Celti, i Geto-Traci, i Bastarni di origine germanica, è invece dedicata la terza sezione.
L'ultima tappa di questo percorso che assurge a un intreccio di culture assiste alla dissoluzione dell’Impero, tra confini insicuri, mescolanze, la presenza di popoli come gli Unni, mentre il potere di Roma si sposta a Oriente con Bisanzio. Il ruolo della cristianizzazione e la diffusione della lingua latina sono punti forti dell’eredità di Roma che preannunciano la nascita della Romania attuale.
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