Dall’11 febbraio a Palazzo Bonaparte
Il grido interiore di Munch arriva a Roma
Edvard Munch, Vampiro, 1895. Olio su tela, 91x109 mm. Photo © Munchmuseet
Francesca Grego
10/02/2025
Roma - Dopo aver registrato il record assoluto di visitatori a Palazzo Reale di Milano, si prepara a emozionare il pubblico di Roma con oltre 100 opere di uno degli artisti oggi più amati, ma anche tra i più difficili da ammirare in una mostra. Aprirà i battenti nella Capitale domani, martedì 11 febbraio, la mostra Munch. Il grido interiore, nutrita da un prestito senza precedenti del Munch Museum di Oslo, che custodisce quasi l’intero corpus di opere dell’artista norvegese. Capolavori come Malinconia, Notte stellata, La morte di Marat, Ragazze sul ponte, Danza sulla spiaggia e una delle versioni dell'iconico Urlo saranno esposti fino al prossimo 2 giugno a Palazzo Bonaparte in un percorso curato da Patricia G. Berman, tra le massime studiose dell’artista, con lo storico dell’arte Costantino D’Orazio.
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Edvard Munch, Disperazione, 1894. Olio su tela, 92x73 cm. Photo © Munchmuseet
“Non dipingo dalla natura – prendo da essa – o meglio mi servo alla sua ricca tavola. Non dipingo ciò che vedo – ma ciò che ho visto”, scriveva Edvard Munch nel 1928. Percezioni, memorie, emozioni si confondono nell’opera di un artista che fu accompagnato per tutta la vita da una pressante urgenza di comunicare. Se il “grido interiore” fu il motore della sua arte, Munch riuscì a tradurre tanto i temi universali - la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita - quanto la propria sofferta sensibilità e le vicissitudini personali in un linguaggio straordinariamente efficace, fatto di colori accesi, campiture uniformi e prospettive discordanti che anticipavano l’Espressionismo e che, ancora oggi, stimolano nello spettatore un’immediata empatia.
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Edvard Munch, La morte nella stanza della malata, 1893. Olio su tela, 134,5x160 cm. Photo © Munchmuseet
“Il vuoto lacerante che segue la perdita di una persona cara, la sensazione espansiva di fuoriuscire dal proprio corpo attraverso il tocco sensuale, la spossatezza della malinconia e la sensibilità estatica alla luce del sole. La capacità di catturare e comunicare sensazioni e sentimenti posiziona Edvard Munch (1863–1944) al vertice dell’arte europea alla fine del secolo scorso”, osserva la direttrice del Munch Museum di Oslo Tone Hansen: “È interessante notare che l’esplorazione artistica di Munch della percezione e il suo continuo mettere in discussione l’oggettività dell’immagine sensoriale si intersecano con le idee maturate nei campi della psicologia e dell’ottica sperimentale in quel periodo. La mostra Edvard Munch. Il grido interiore vuole gettare luce su queste connessioni”.
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"Munch. Il grido interiore", allestimento a Palazzo Bonaparte, Roma I Courtesy Arthemisia
In sette capitoli, l’esposizione a Palazzo Bonaparte ricostruisce la carriera del maestro scandinavo dagli esordi alle ultime opere, soffermandosi sui temi a lui più cari. A legarli tutti, indissolubilmente, è la riflessione sulla tormentata essenza dell’essere umani. “Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria esistenza”, scriveva l’artista.
Punto di partenza del percorso è l’indagine sulla percezione, al centro della ricerca di Munch fin dalla giovinezza: il pittore riteneva infatti che la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione della realtà fino a sostituirla. Il desiderio, la malattia, la morte, i ricordi, le forze invisibili della natura, la rappresentazione di sé negli autoritratti si declinano in modo personalissimo nelle opere esposte, che corrono in parallelo con le vicende biografiche del maestro.
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"Munch. Il grido interiore", allestimento a Palazzo Bonaparte, Roma I Courtesy Arthemisia
Se l’ultima sezione è dedicata alla sua eredità dall’arte al cinema e alla fotografia, un focus inatteso svela il debito di Munch verso l’Italia. Il suo primo soggiorno nel Bel Paese risale al 1899, insieme all’amata Tulla Larsen. “Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze”, scrisse l’artista, ma poi la pittura del Rinascimento lo conquistò: “Penso alla Cappella Sistina… Trovo che sia la più bella stanza del mondo”. Sarebbe tornato in Italia più volte, per studiare gli affreschi di Michelangelo e di Raffaello, ma anche per visitare la tomba dello zio Peter Andreas Munch, il più celebre storico norvegese, morto nell’anno della nascita di Edvard e sepolto nel cimitero acattolico di Roma. Viaggi che lasciarono il segno anche sulla tela, dagli scorci del cimitero romano al Ponte di Rialto a Venezia, tutti esposti a Palazzo Bonaparte.
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Edvard Munch, La tomba di P. A. Munch a Roma, 1927. Olio su tela, 93,5x72,5 cm. Photo © Munchmuseet
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Edvard Munch, Disperazione, 1894. Olio su tela, 92x73 cm. Photo © Munchmuseet
“Non dipingo dalla natura – prendo da essa – o meglio mi servo alla sua ricca tavola. Non dipingo ciò che vedo – ma ciò che ho visto”, scriveva Edvard Munch nel 1928. Percezioni, memorie, emozioni si confondono nell’opera di un artista che fu accompagnato per tutta la vita da una pressante urgenza di comunicare. Se il “grido interiore” fu il motore della sua arte, Munch riuscì a tradurre tanto i temi universali - la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita - quanto la propria sofferta sensibilità e le vicissitudini personali in un linguaggio straordinariamente efficace, fatto di colori accesi, campiture uniformi e prospettive discordanti che anticipavano l’Espressionismo e che, ancora oggi, stimolano nello spettatore un’immediata empatia.
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Edvard Munch, La morte nella stanza della malata, 1893. Olio su tela, 134,5x160 cm. Photo © Munchmuseet
“Il vuoto lacerante che segue la perdita di una persona cara, la sensazione espansiva di fuoriuscire dal proprio corpo attraverso il tocco sensuale, la spossatezza della malinconia e la sensibilità estatica alla luce del sole. La capacità di catturare e comunicare sensazioni e sentimenti posiziona Edvard Munch (1863–1944) al vertice dell’arte europea alla fine del secolo scorso”, osserva la direttrice del Munch Museum di Oslo Tone Hansen: “È interessante notare che l’esplorazione artistica di Munch della percezione e il suo continuo mettere in discussione l’oggettività dell’immagine sensoriale si intersecano con le idee maturate nei campi della psicologia e dell’ottica sperimentale in quel periodo. La mostra Edvard Munch. Il grido interiore vuole gettare luce su queste connessioni”.
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"Munch. Il grido interiore", allestimento a Palazzo Bonaparte, Roma I Courtesy Arthemisia
In sette capitoli, l’esposizione a Palazzo Bonaparte ricostruisce la carriera del maestro scandinavo dagli esordi alle ultime opere, soffermandosi sui temi a lui più cari. A legarli tutti, indissolubilmente, è la riflessione sulla tormentata essenza dell’essere umani. “Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria esistenza”, scriveva l’artista.
Punto di partenza del percorso è l’indagine sulla percezione, al centro della ricerca di Munch fin dalla giovinezza: il pittore riteneva infatti che la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione della realtà fino a sostituirla. Il desiderio, la malattia, la morte, i ricordi, le forze invisibili della natura, la rappresentazione di sé negli autoritratti si declinano in modo personalissimo nelle opere esposte, che corrono in parallelo con le vicende biografiche del maestro.
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"Munch. Il grido interiore", allestimento a Palazzo Bonaparte, Roma I Courtesy Arthemisia
Se l’ultima sezione è dedicata alla sua eredità dall’arte al cinema e alla fotografia, un focus inatteso svela il debito di Munch verso l’Italia. Il suo primo soggiorno nel Bel Paese risale al 1899, insieme all’amata Tulla Larsen. “Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze”, scrisse l’artista, ma poi la pittura del Rinascimento lo conquistò: “Penso alla Cappella Sistina… Trovo che sia la più bella stanza del mondo”. Sarebbe tornato in Italia più volte, per studiare gli affreschi di Michelangelo e di Raffaello, ma anche per visitare la tomba dello zio Peter Andreas Munch, il più celebre storico norvegese, morto nell’anno della nascita di Edvard e sepolto nel cimitero acattolico di Roma. Viaggi che lasciarono il segno anche sulla tela, dagli scorci del cimitero romano al Ponte di Rialto a Venezia, tutti esposti a Palazzo Bonaparte.
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Edvard Munch, La tomba di P. A. Munch a Roma, 1927. Olio su tela, 93,5x72,5 cm. Photo © Munchmuseet
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