Presso il Salone di Raffaello alla Pinacoteca Vaticana
L'arazzo ispirato al Cenacolo di Leonardo brilla ai Vaticani
Artista fiammingo (?), dettaglio dell’arazzo ispirato all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Pinacoteca Vaticana. Courtesy Musei Vaticani
Samantha De Martin
15/05/2019
Roma - Nella sala VIII della Pinacoteca Vaticana, dove è esposto dal 1931, la sua bellezza toglie il fiato. Come anche i colori che - resi più brillanti dal recente restauro eseguito presso il Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti dei Musei Vaticani - accentuano i moti dell’animo dei protagonisti, la loro gestualità concitata, l’espressione sconcertata dei volti.
L’arazzo più famoso dei Musei Vaticani, grande come un monolocale di 45 metri quadrati, ispirato all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, splende oggi, dopo un intervento durato un anno e mezzo, tra gli affreschi di Raffaello.
Nel Cinquecento lo avremmo visto in bella mostra all’aperto, in piazza San Pietro durante le solenni festività religiose come il Corpus Domini o, nella fastosa Sala Ducale, in occasione della tradizionale Lavanda dei piedi.
In attesa di raggiungere il Castello di Clos Lucé ad Amboise - dove sarà esposto, per la prima volta in Francia, dal 7 giugno all'8 settembre in occasione della mostra "La Cène de Léonard de Vinci pour François Ier, un chef-d'oeuvre en or et soie” - e, in autunno, Palazzo Reale, a Milano, il prezioso panno, tessuto esclusivamente in filati di seta, oro e argento, si fa ammirare nel Salone di Raffaello, in tutta la sua raffinata, magnetica imponenza.
Un’opera “enigmatica” legata a Leonardo
Con le sue dimensioni pari a 9,19 X 5,45 metri, quest’opera fragile, che riproduce le medesime misure dell’affresco accolto nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, compare per la prima volta nel 1533 in un inventario del Castello di Blois tra i tessuti scelti per essere portati a Marsiglia in occasione di un matrimonio speciale. Ed è così che l’enigmatico arazzo irrompe improvvisamente sul palcoscenico della storia in occasione delle nozze tra i due quattordicenni Caterina de’Medici, nipote di papa Clemente VII, ed Enrico di Valois, secondogenito di Francesco I re di Francia. In questa festosa occasione sarebbe avvenuto uno scambio di doni tra papa Clemente VII e Francesco I. Il pontefice consegnò al re di Francia una scatola di cristallo di rocca e argento dorato, oltre a un prezioso un corno di liocorno, mentre il sovrano francese fece dono al Papa del prezioso arazzo in seta, argento e oro che riproduceva l’Ultima Cena.
Ma da cosa si evince il probabile contributo del maestro? Le maglie del prezioso tessuto, dalla forte impronta leonardesca, farebbero pensare ad una possibile realizzazione del modello o del cartone in Francia, dopo il febbraio del 1516, durante l’ultima permanenza di Leonardo che, anziano e sul finire della vita, avrebbe potuto esser coinvolto nella supervisione del lavoro. Sarebbe pertanto il frutto di una sapiente mano fiamminga che lo avrebbe realizzato su commissione del re Francesco I e di sua madre Luisa di Savoia, grande appassionata di stoffe e tessuti e molto sensibile alle arti decorative.
Leonardo arrivò ad Amboise nell’autunno del 1516, al servizio di Luisa e di Francesco I, suo amico fraterno e compagno di dissertazioni filosofiche. A fine novembre giunge a Clos-Lucé dove rimarrà fino alla sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1519. Come spiega Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, “lo studio del retro dell’arazzo, condotto nel solco dei tanti quesiti posti nei decenni precedenti, l’analisi dei filati e dei pigmenti di colore, hanno offerto risposte fondamentali circa la sua datazione e la realizzazione. L’intervento ha inoltre reso possibile una serie di scoperte e precisazioni cronologiche che hanno contribuito a restringere il campo di una datazione che oscillava in uno spazio di tempo molto più ampio”.
Un arazzo originale caro a Francesco I
Il prezioso panno ha le medesime misure del Cenacolo. Pur riproducendo fedelmente, nella disposizione e nell’attitudine delle figure, il consesso leonardesco degli apostoli riuniti attorno alla mensa del Signore, l’arazzo vaticano mostra tuttavia un’ambientazione diversa, inquadrando la scena all’interno di ricche quinte architettoniche di impianto rinascimentale.
“È suggestivo pensare - spiega Alessandra Rodolfo, curatrice del Reparto Arazzi e Tessuti, che ha coordinato il delicato lavoro di ricerca - che possa essere stato lo stesso maestro “Peintre du roi” a supervisionare il modello dell’opera trasportando il suo capolavoro in un ambiente cortigiano, nordico e rinascimentale”.
L’opera è infatti molto vicina al capolavoro del maestro. I personaggi, così come la tavola imbandita, riprendono fedelmente il dipinto dell'artista. La delicata pennellata leonardesca, il celebre “sfumato” sono imitati nel panno attraverso la tecnica con la quale l’arazziere riesce a creare sfumature rendendo quasi “umani” gli apostoli che si agitano, si interrogano, gesticolano, riuniti per l’ultima volta intorno alla mensa del Signore.
Eppure la scena riprodotta dall’estroso e misterioso artista è immersa in uno spazio e in tempo completamente mutati, lontani dalla sobria austerità dell’ambientazione leonardesca. C’è adesso la Francia, e non più Milano a fare da sfondo alla vicenda. Le tre sontuose arcate che si aprono dietro alla scena lasciano intravedere colonnine con capitelli riccamente scolpiti, mentre la balaustra fa emergere edifici che richiamano l’architettura del Rinascimento lombardo e milanese, Bramante, ma anche le costruzioni francesi lungo la Loira, i castelli amati da Francesco e Luisa. Se l’intera scena riconduce a un linguaggio ibrido, commistione di italiano, francese, fiammingo, le bordure riportano a Roma, alla moda delle grottesche studiate nella Domus Aurea da schiere di artisti.
“L’opera, che ritrae l’Ultima cena di Leonardo - spiega Alessandra Rodolfo - è circondata da una bordatura criptica che reca, agli angoli bassi, il monogramma riferito a Luisa di Savoia, mentre i nodi rimandano all’emblema di Casa Savoia e all’Ordine dei Francescani. La salamandra è invece un chiaro rimando a Francesco I”.
Il gioiello fragile
L’arazzo iniziò a deteriorarsi molto presto a causa dell’esposizione all’aperto durante le solenni cerimonie in Vaticano. Un lungo restauro fu condotto già nel 1681, ma le condizioni erano così peggiorate che si decise, nel 1780, di affidare all’arazziere Felice Cettomai la realizzazione di una copia da utilizzare al posto del vecchio e iconico panno. E infine, ultimo, il restauro, concluso meno di un mese fa, durato da dicembre 2017 ad aprile 2019 ed eseguito interamente presso il Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti dei Musei Vaticani grazie al sostegno della direzione del Castello di Clos Lucé e del Polo Mostre di Palazzo Reale a Milano.
“L’opera - spiega Chiara Pavan, responsabile del Laboratorio di restauro Arazzi e Tessuti - aveva subito la depolimerizzazione della seta e versava in uno stato di forte degrado. Abbiamo realizzato un restauro di tipo conservativo mettendo a punto un nuovo protocollo. È stata necessaria una pulitura a secco, meccanica, per rimuovere le particelle incoerenti. Abbiamo inoltre fatto ricorso a un processo di reidratazione delle fibre attraverso l’umidificazione. Una delicata spugnatura è stata poi necessaria per rimuovere lo sporco prima di effettuare un consolidamento ad ago”.
Il risultato è una vera festa per gli occhi.
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Per approfondire il personaggio e conoscere da vicino la mente del genio, attendiamo l'uscita del film Io, Leonardo, dove l’artista, scienziato e inventore toscano avrà il volto di Luca Argentero. Il viaggio cinematografico nella mente e tra le opere del genio, prodotto da Sky e Progetto Immagine, sarà nelle sale, distribuito da Lucky Red, a partire dal 2 ottobre 2019.
L’arazzo più famoso dei Musei Vaticani, grande come un monolocale di 45 metri quadrati, ispirato all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, splende oggi, dopo un intervento durato un anno e mezzo, tra gli affreschi di Raffaello.
Nel Cinquecento lo avremmo visto in bella mostra all’aperto, in piazza San Pietro durante le solenni festività religiose come il Corpus Domini o, nella fastosa Sala Ducale, in occasione della tradizionale Lavanda dei piedi.
In attesa di raggiungere il Castello di Clos Lucé ad Amboise - dove sarà esposto, per la prima volta in Francia, dal 7 giugno all'8 settembre in occasione della mostra "La Cène de Léonard de Vinci pour François Ier, un chef-d'oeuvre en or et soie” - e, in autunno, Palazzo Reale, a Milano, il prezioso panno, tessuto esclusivamente in filati di seta, oro e argento, si fa ammirare nel Salone di Raffaello, in tutta la sua raffinata, magnetica imponenza.
Un’opera “enigmatica” legata a Leonardo
Con le sue dimensioni pari a 9,19 X 5,45 metri, quest’opera fragile, che riproduce le medesime misure dell’affresco accolto nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, compare per la prima volta nel 1533 in un inventario del Castello di Blois tra i tessuti scelti per essere portati a Marsiglia in occasione di un matrimonio speciale. Ed è così che l’enigmatico arazzo irrompe improvvisamente sul palcoscenico della storia in occasione delle nozze tra i due quattordicenni Caterina de’Medici, nipote di papa Clemente VII, ed Enrico di Valois, secondogenito di Francesco I re di Francia. In questa festosa occasione sarebbe avvenuto uno scambio di doni tra papa Clemente VII e Francesco I. Il pontefice consegnò al re di Francia una scatola di cristallo di rocca e argento dorato, oltre a un prezioso un corno di liocorno, mentre il sovrano francese fece dono al Papa del prezioso arazzo in seta, argento e oro che riproduceva l’Ultima Cena.
Ma da cosa si evince il probabile contributo del maestro? Le maglie del prezioso tessuto, dalla forte impronta leonardesca, farebbero pensare ad una possibile realizzazione del modello o del cartone in Francia, dopo il febbraio del 1516, durante l’ultima permanenza di Leonardo che, anziano e sul finire della vita, avrebbe potuto esser coinvolto nella supervisione del lavoro. Sarebbe pertanto il frutto di una sapiente mano fiamminga che lo avrebbe realizzato su commissione del re Francesco I e di sua madre Luisa di Savoia, grande appassionata di stoffe e tessuti e molto sensibile alle arti decorative.
Leonardo arrivò ad Amboise nell’autunno del 1516, al servizio di Luisa e di Francesco I, suo amico fraterno e compagno di dissertazioni filosofiche. A fine novembre giunge a Clos-Lucé dove rimarrà fino alla sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1519. Come spiega Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, “lo studio del retro dell’arazzo, condotto nel solco dei tanti quesiti posti nei decenni precedenti, l’analisi dei filati e dei pigmenti di colore, hanno offerto risposte fondamentali circa la sua datazione e la realizzazione. L’intervento ha inoltre reso possibile una serie di scoperte e precisazioni cronologiche che hanno contribuito a restringere il campo di una datazione che oscillava in uno spazio di tempo molto più ampio”.
Un arazzo originale caro a Francesco I
Il prezioso panno ha le medesime misure del Cenacolo. Pur riproducendo fedelmente, nella disposizione e nell’attitudine delle figure, il consesso leonardesco degli apostoli riuniti attorno alla mensa del Signore, l’arazzo vaticano mostra tuttavia un’ambientazione diversa, inquadrando la scena all’interno di ricche quinte architettoniche di impianto rinascimentale.
“È suggestivo pensare - spiega Alessandra Rodolfo, curatrice del Reparto Arazzi e Tessuti, che ha coordinato il delicato lavoro di ricerca - che possa essere stato lo stesso maestro “Peintre du roi” a supervisionare il modello dell’opera trasportando il suo capolavoro in un ambiente cortigiano, nordico e rinascimentale”.
L’opera è infatti molto vicina al capolavoro del maestro. I personaggi, così come la tavola imbandita, riprendono fedelmente il dipinto dell'artista. La delicata pennellata leonardesca, il celebre “sfumato” sono imitati nel panno attraverso la tecnica con la quale l’arazziere riesce a creare sfumature rendendo quasi “umani” gli apostoli che si agitano, si interrogano, gesticolano, riuniti per l’ultima volta intorno alla mensa del Signore.
Eppure la scena riprodotta dall’estroso e misterioso artista è immersa in uno spazio e in tempo completamente mutati, lontani dalla sobria austerità dell’ambientazione leonardesca. C’è adesso la Francia, e non più Milano a fare da sfondo alla vicenda. Le tre sontuose arcate che si aprono dietro alla scena lasciano intravedere colonnine con capitelli riccamente scolpiti, mentre la balaustra fa emergere edifici che richiamano l’architettura del Rinascimento lombardo e milanese, Bramante, ma anche le costruzioni francesi lungo la Loira, i castelli amati da Francesco e Luisa. Se l’intera scena riconduce a un linguaggio ibrido, commistione di italiano, francese, fiammingo, le bordure riportano a Roma, alla moda delle grottesche studiate nella Domus Aurea da schiere di artisti.
“L’opera, che ritrae l’Ultima cena di Leonardo - spiega Alessandra Rodolfo - è circondata da una bordatura criptica che reca, agli angoli bassi, il monogramma riferito a Luisa di Savoia, mentre i nodi rimandano all’emblema di Casa Savoia e all’Ordine dei Francescani. La salamandra è invece un chiaro rimando a Francesco I”.
Il gioiello fragile
L’arazzo iniziò a deteriorarsi molto presto a causa dell’esposizione all’aperto durante le solenni cerimonie in Vaticano. Un lungo restauro fu condotto già nel 1681, ma le condizioni erano così peggiorate che si decise, nel 1780, di affidare all’arazziere Felice Cettomai la realizzazione di una copia da utilizzare al posto del vecchio e iconico panno. E infine, ultimo, il restauro, concluso meno di un mese fa, durato da dicembre 2017 ad aprile 2019 ed eseguito interamente presso il Laboratorio di Restauro Arazzi e Tessuti dei Musei Vaticani grazie al sostegno della direzione del Castello di Clos Lucé e del Polo Mostre di Palazzo Reale a Milano.
“L’opera - spiega Chiara Pavan, responsabile del Laboratorio di restauro Arazzi e Tessuti - aveva subito la depolimerizzazione della seta e versava in uno stato di forte degrado. Abbiamo realizzato un restauro di tipo conservativo mettendo a punto un nuovo protocollo. È stata necessaria una pulitura a secco, meccanica, per rimuovere le particelle incoerenti. Abbiamo inoltre fatto ricorso a un processo di reidratazione delle fibre attraverso l’umidificazione. Una delicata spugnatura è stata poi necessaria per rimuovere lo sporco prima di effettuare un consolidamento ad ago”.
Il risultato è una vera festa per gli occhi.
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Per approfondire il personaggio e conoscere da vicino la mente del genio, attendiamo l'uscita del film Io, Leonardo, dove l’artista, scienziato e inventore toscano avrà il volto di Luca Argentero. Il viaggio cinematografico nella mente e tra le opere del genio, prodotto da Sky e Progetto Immagine, sarà nelle sale, distribuito da Lucky Red, a partire dal 2 ottobre 2019.
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