La fotostoria di Angelo Cricchi
Roma, viaggio ai confini della notte
Angelo Cricchi, Roma, Piazza Navona, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
Angelo Cricchi
13/04/2020
Roma - Dopo trentaquattro giorni di reale lockdown (non ho cani, non sono andato a correre, ho fatto la spesa una volta a settimana), forte di una commessa da parte di un editore per realizzare un instant book su Roma ai tempi del CoV-19 sono uscito all’aperto e sono andato a fotografare.
L’idea, dopo aver visto centinaia di foto di piazze deserte un tempo affollate da orde di turisti, è stata quella di recarmi in spazi che solitamente si presentano vuoti, per vedere se questo vuoto sarebbe stato diverso dal solito e se mi avrebbe raccontato il momento che stiamo vivendo. Quindi di buon mattino mi dirigo verso l’EUR, nella zona Sud-Ovest di Roma, il quartiere razionalista in bianco travertino romano voluto da Mussolini ma ultimato in realtà negli anni 60.
L’EUR è storicamente paradiso dei fotografi, con i suoi spazi vuoti e le sue atmosfere metafisiche tra De Chirico e Dalì.
Per arrivarci vengo fermato due volte dalla Polizia Municipale, che solitamente non brilla per simpatia ed elasticità. Invece non faccio in tempo a concludere la spiegazione del mio progetto che si mostrano incredibilmente interessati al mio lavoro, e, con stupefacente cortesia e disponibilità, mi suggeriscono una lista di angoli della città interessanti da riprendere, non privi di una certa poetica stradaiola. Esterrefatto prendo la macchina fotografica e me ne vado in giro per il quartiere svuotato. Se l’estetica non è molto differente da una normale domenica all’EUR, sento subito che c’è qualcosa di impalpabile tutt’intorno.
Angelo Cricchi, Roma, EUR, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
L’atmosfera ovattata di certe uscite serali in una cittadina di montagna innevata, quel rimbombare sordo di passi quel confondersi di immaginarie figure che si intravedono nella nebbia e tra il nevischio. Il fatto è che c’è un sole brillante ed un aria cristallina. Ed è meraviglioso perdersi tra le linee geometriche aspettando un refolo di vento che faccia garrire le bandiere.
Incontro una mamma con i suoi bambini, mi saluta, forse la conosco. C’è una solidarietà da scampati al diluvio tra i pochi passanti che contrasta con gli sguardi sospetti e carichi di tensione delle file al supermercato dietro casa. Le sei corsie della Colombo totalmente libere possono essere attraversate senza timore, e le rare macchine fanno attenzione al mio passaggio nell’anarchia degli spazi svuotati dalle regole quotidiane, come nei pressi di un megaconcerto rock.
Mi allungo verso il laghetto dell’EUR, solitamente affollato di canoisti in allenamento e filippini in relax sotto gli alberi di ciliegio che ora sono in fiore e rimandano ad un paesaggio giapponese glabro e malato, desertico, se non fosse per due poliziotti a cavallo che mi guardano male dall’altra riva. Torno indietro e decido di volgere lo sguardo verso un'altra zona vuota di Roma.
L’Appia Antica. La via consolare che portava a Capua e che nell’ultima fase dell’impero romano venne trasformata in via cimiteriale per nobili famiglie patrizie. E’ uno dei luoghi che più amo. Perché sono nato a poca distanza, perché ne ho frequentato i parchi da bambino, e perché da adulto vi ho abitato per un paio di lustri. Qui l’identità con il resto dei giorni è ancora più sensibile. L’Appia Antica è scomoda da raggiungere per i turisti, che al più si fermano all’entrata delle Catacombe. Sono chiusi i ristoranti kitsch dove si celebrano cresime e comunioni con i camerieri vestiti da centurioni. Eppure, tra i radi proprietari delle ville a passeggio, o tra i passaggi silenti di corridori illegali, sento subito quel sospetto e quell’astio del “chi sei tu, che ci fai qui?” serpeggiare al posto della solidarietà.
Angelo Cricchi, Roma, Via Appia Antica, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
C’è una irrealtà nella normale quotidianità che non è più normale. Una sorta di cospirazione strisciante come un virus, che non ha estetica o che io non riesco a cogliere sotto il sole primaverile che precede una Pasqua lockdown.
Il giorno dopo, Venerdì di Pasqua, decido di darmi ad un percorso “Roma Classic” al tramonto. Parcheggio l’auto in fondo a Via Cavour e mi incammino lungo i Fori Imperiali. Il Colosseo è privo di anime, fatta eccezione per un fotografo e per i mezzi dell’esercito. Sembra il coprifuoco durante un colpo di stato. Fotografo la Via Sacra, dove in tempi normali stasera si sarebbe celebrata la Via Crucis e poi mi dirigo verso il Circo Massimo ma, al posto di Ben-Hur, trovo un ragazzotto delle consegne che si prende una pausa per vedere la bellezza di Roma e della Casa Di Livia sul prospiciente Palatino.
A passo veloce saluto il mascherone della Bocca della Verità, attraverso il fiume, costeggio l’Isola Tiberina e Trastevere per poi rientrare nella Roma dei Cesari e dirigermi verso Campo de Fiori e Piazza Navona.
Si è abbassata la temperatura e sta facendo buio. Campo de Fiori in penombra incute paura.
La camionetta dell’esercito smonta in tutta fretta il piccolo gazebo e rimaniamo soli io e Giordano Bruno che questa volta sembra avere una sua corretta collocazione, solo ed abbandonato al centro della piazza.
A Piazza Navona vedo due uomini andarsene inusualmente in giro in coppia e senza alcuna protezione. Sono ovviamente due miei amici. Com’è strano incontrarsi in questa solitudine. Verrebbe da abbracciarci ma non lo facciamo. Due macchine della Municipale ci sorvegliano a vista ma non intervengono.
Sono i piccoli rami arteriosi della città quali i vicoli ad impressionarmi maggiormente. Non c'è nessuno, come in una delle più cupe notti invernali nelle calli veneziane fuori dal centro. Aria di peste e di iettatura rotte solo dalla presenza di un homeless in cerca di una sigaretta. Striscio lungo i muri e riparto verso la mia meta finale.
Angelo Cricchi, Roma, Ponte Sant'Angelo, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
Attraverso Ponte Sant’Angelo. Le copie degli Angeli del Bernini si stagliano bagnate di luce dorata dietro un cielo blu sposo. Una macchina accosta per fotografarli. Io me ne posso rimanere comodamente al centro della carreggiata di un Lungotevere deserto per fare l’inquadratura. Poi arrivo su Via della Conciliazione. Passo il blocco dell’esercito. All’entrata della piazza la polizia mi fa storie. Attendo giustamente che facciano le dovute verifiche e controllino i documenti e dopo una nuova dettagliatissima autocertificazione mi inoltro nello spazio prossimo alla piazza dove sono radunati i fotografi e le televisioni accreditate (non più di una cinquantina di persone da tutto il mondo) e le forze dell’ordine.
In lontananza il baldacchino rosso, il percorso illuminato delle stazioni della Via Crucis, il puntino bianco di papa Francesco. Intorno fotografi ed operatori con giganteschi teleobiettivi. Io con il mio 50mm di ordinanza mi vergogno un po’, e mi concentro più sulle persone intorno a me: “Ao c’ho fame, ma ‘ndo annamo a magnà che è tutto chiuso? Io me sparo ‘na sigaretta mentre se ricarica er computer”. Se tutti i posteggiatori del mondo sono napoletani, tutti i fotografi di eventi sono romani e sei subito a Cinecittà. I teleobiettivi, la conduttrice sexy che si fa i selfie, lo spagnolo che recita le news in tono grave e concitato. La bella carabiniera in posa, e lontano, più lontano di quanto sia lontano normalmente, anche a causa di un volume molto basso, il vicario di Dio all’orizzonte.
Angelo Cricchi, Roma, Piazza San Pietro, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
Reggo fino alla quinta stazione. La Veronica passa il telo sul volto di Dio, realizzando quel che viene considerata la prima fotografia al mondo. Me ne vado. Prendo un taxi che ha una struttura in plastica come divisorio che mi fa sembrare in un cab a Manhattan o a Shibuya se non fosse per il tassinaro che mi ricorda che “nun se fa ‘na lira”. Mentre passiamo per Piazza Venezia gli chiedo di fermarsi. Voglio scattare un’ultima foto al Campidoglio illuminato a tricolore. Mentre metto a fuoco compare una strana troupe: una sorta di film nel film tanto caro a certi registi francesi della Nouvelle Vague. Sono una decina vestiti di nero e senza mezzi, ma molto concentrati e presi nei ruoli. Sarà un cortometraggio sperimentale ai tempi del Coronavirus. Però è già una cosa. E’ vitale, è piacevole, è la speranza che il mondo non si fermi, dell’immaginario, ai tempi del virus.
Rientro in taxi sorridendo.
Ho davvero voglia di tornare a casa. Nella mia comfort zone.
Roma comunque e come sempre, sopravviverà.
Angelo Cricchi, Roma, Cordonata del Campidoglio, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
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• Angelo Cricchi
• Three Gates of In-Perfection: la parola ad Angelo Cricchi
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L’idea, dopo aver visto centinaia di foto di piazze deserte un tempo affollate da orde di turisti, è stata quella di recarmi in spazi che solitamente si presentano vuoti, per vedere se questo vuoto sarebbe stato diverso dal solito e se mi avrebbe raccontato il momento che stiamo vivendo. Quindi di buon mattino mi dirigo verso l’EUR, nella zona Sud-Ovest di Roma, il quartiere razionalista in bianco travertino romano voluto da Mussolini ma ultimato in realtà negli anni 60.
L’EUR è storicamente paradiso dei fotografi, con i suoi spazi vuoti e le sue atmosfere metafisiche tra De Chirico e Dalì.
Per arrivarci vengo fermato due volte dalla Polizia Municipale, che solitamente non brilla per simpatia ed elasticità. Invece non faccio in tempo a concludere la spiegazione del mio progetto che si mostrano incredibilmente interessati al mio lavoro, e, con stupefacente cortesia e disponibilità, mi suggeriscono una lista di angoli della città interessanti da riprendere, non privi di una certa poetica stradaiola. Esterrefatto prendo la macchina fotografica e me ne vado in giro per il quartiere svuotato. Se l’estetica non è molto differente da una normale domenica all’EUR, sento subito che c’è qualcosa di impalpabile tutt’intorno.
Angelo Cricchi, Roma, EUR, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
L’atmosfera ovattata di certe uscite serali in una cittadina di montagna innevata, quel rimbombare sordo di passi quel confondersi di immaginarie figure che si intravedono nella nebbia e tra il nevischio. Il fatto è che c’è un sole brillante ed un aria cristallina. Ed è meraviglioso perdersi tra le linee geometriche aspettando un refolo di vento che faccia garrire le bandiere.
Incontro una mamma con i suoi bambini, mi saluta, forse la conosco. C’è una solidarietà da scampati al diluvio tra i pochi passanti che contrasta con gli sguardi sospetti e carichi di tensione delle file al supermercato dietro casa. Le sei corsie della Colombo totalmente libere possono essere attraversate senza timore, e le rare macchine fanno attenzione al mio passaggio nell’anarchia degli spazi svuotati dalle regole quotidiane, come nei pressi di un megaconcerto rock.
Mi allungo verso il laghetto dell’EUR, solitamente affollato di canoisti in allenamento e filippini in relax sotto gli alberi di ciliegio che ora sono in fiore e rimandano ad un paesaggio giapponese glabro e malato, desertico, se non fosse per due poliziotti a cavallo che mi guardano male dall’altra riva. Torno indietro e decido di volgere lo sguardo verso un'altra zona vuota di Roma.
L’Appia Antica. La via consolare che portava a Capua e che nell’ultima fase dell’impero romano venne trasformata in via cimiteriale per nobili famiglie patrizie. E’ uno dei luoghi che più amo. Perché sono nato a poca distanza, perché ne ho frequentato i parchi da bambino, e perché da adulto vi ho abitato per un paio di lustri. Qui l’identità con il resto dei giorni è ancora più sensibile. L’Appia Antica è scomoda da raggiungere per i turisti, che al più si fermano all’entrata delle Catacombe. Sono chiusi i ristoranti kitsch dove si celebrano cresime e comunioni con i camerieri vestiti da centurioni. Eppure, tra i radi proprietari delle ville a passeggio, o tra i passaggi silenti di corridori illegali, sento subito quel sospetto e quell’astio del “chi sei tu, che ci fai qui?” serpeggiare al posto della solidarietà.
Angelo Cricchi, Roma, Via Appia Antica, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
C’è una irrealtà nella normale quotidianità che non è più normale. Una sorta di cospirazione strisciante come un virus, che non ha estetica o che io non riesco a cogliere sotto il sole primaverile che precede una Pasqua lockdown.
Il giorno dopo, Venerdì di Pasqua, decido di darmi ad un percorso “Roma Classic” al tramonto. Parcheggio l’auto in fondo a Via Cavour e mi incammino lungo i Fori Imperiali. Il Colosseo è privo di anime, fatta eccezione per un fotografo e per i mezzi dell’esercito. Sembra il coprifuoco durante un colpo di stato. Fotografo la Via Sacra, dove in tempi normali stasera si sarebbe celebrata la Via Crucis e poi mi dirigo verso il Circo Massimo ma, al posto di Ben-Hur, trovo un ragazzotto delle consegne che si prende una pausa per vedere la bellezza di Roma e della Casa Di Livia sul prospiciente Palatino.
A passo veloce saluto il mascherone della Bocca della Verità, attraverso il fiume, costeggio l’Isola Tiberina e Trastevere per poi rientrare nella Roma dei Cesari e dirigermi verso Campo de Fiori e Piazza Navona.
Si è abbassata la temperatura e sta facendo buio. Campo de Fiori in penombra incute paura.
La camionetta dell’esercito smonta in tutta fretta il piccolo gazebo e rimaniamo soli io e Giordano Bruno che questa volta sembra avere una sua corretta collocazione, solo ed abbandonato al centro della piazza.
A Piazza Navona vedo due uomini andarsene inusualmente in giro in coppia e senza alcuna protezione. Sono ovviamente due miei amici. Com’è strano incontrarsi in questa solitudine. Verrebbe da abbracciarci ma non lo facciamo. Due macchine della Municipale ci sorvegliano a vista ma non intervengono.
Sono i piccoli rami arteriosi della città quali i vicoli ad impressionarmi maggiormente. Non c'è nessuno, come in una delle più cupe notti invernali nelle calli veneziane fuori dal centro. Aria di peste e di iettatura rotte solo dalla presenza di un homeless in cerca di una sigaretta. Striscio lungo i muri e riparto verso la mia meta finale.
Angelo Cricchi, Roma, Ponte Sant'Angelo, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
Attraverso Ponte Sant’Angelo. Le copie degli Angeli del Bernini si stagliano bagnate di luce dorata dietro un cielo blu sposo. Una macchina accosta per fotografarli. Io me ne posso rimanere comodamente al centro della carreggiata di un Lungotevere deserto per fare l’inquadratura. Poi arrivo su Via della Conciliazione. Passo il blocco dell’esercito. All’entrata della piazza la polizia mi fa storie. Attendo giustamente che facciano le dovute verifiche e controllino i documenti e dopo una nuova dettagliatissima autocertificazione mi inoltro nello spazio prossimo alla piazza dove sono radunati i fotografi e le televisioni accreditate (non più di una cinquantina di persone da tutto il mondo) e le forze dell’ordine.
In lontananza il baldacchino rosso, il percorso illuminato delle stazioni della Via Crucis, il puntino bianco di papa Francesco. Intorno fotografi ed operatori con giganteschi teleobiettivi. Io con il mio 50mm di ordinanza mi vergogno un po’, e mi concentro più sulle persone intorno a me: “Ao c’ho fame, ma ‘ndo annamo a magnà che è tutto chiuso? Io me sparo ‘na sigaretta mentre se ricarica er computer”. Se tutti i posteggiatori del mondo sono napoletani, tutti i fotografi di eventi sono romani e sei subito a Cinecittà. I teleobiettivi, la conduttrice sexy che si fa i selfie, lo spagnolo che recita le news in tono grave e concitato. La bella carabiniera in posa, e lontano, più lontano di quanto sia lontano normalmente, anche a causa di un volume molto basso, il vicario di Dio all’orizzonte.
Angelo Cricchi, Roma, Piazza San Pietro, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
Reggo fino alla quinta stazione. La Veronica passa il telo sul volto di Dio, realizzando quel che viene considerata la prima fotografia al mondo. Me ne vado. Prendo un taxi che ha una struttura in plastica come divisorio che mi fa sembrare in un cab a Manhattan o a Shibuya se non fosse per il tassinaro che mi ricorda che “nun se fa ‘na lira”. Mentre passiamo per Piazza Venezia gli chiedo di fermarsi. Voglio scattare un’ultima foto al Campidoglio illuminato a tricolore. Mentre metto a fuoco compare una strana troupe: una sorta di film nel film tanto caro a certi registi francesi della Nouvelle Vague. Sono una decina vestiti di nero e senza mezzi, ma molto concentrati e presi nei ruoli. Sarà un cortometraggio sperimentale ai tempi del Coronavirus. Però è già una cosa. E’ vitale, è piacevole, è la speranza che il mondo non si fermi, dell’immaginario, ai tempi del virus.
Rientro in taxi sorridendo.
Ho davvero voglia di tornare a casa. Nella mia comfort zone.
Roma comunque e come sempre, sopravviverà.
Angelo Cricchi, Roma, Cordonata del Campidoglio, Aprile 2020 | Foto: © Angelo Cricchi
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