Dal 21 febbraio a Rovigo, Palazzo Roverella
Hammershøi, il maestro del silenzio, per la prima volta in Italia
 
										
										 
										
										
																		
																									Vilhelm Hammershøi, Riposo, 1905, Parigi, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais / Martine Beck-Coppola/ Dist. Foto Scala, Firenze
															
							Francesca Grego
23/01/2025
							Rovigo -  Erede di Vermeer, precursore di Hopper. Così lo hanno definito. Ma quale artista è in grado di riunire in sè figure così distanti? Qual è il filo che porta il maestro del Seicento olandese e il celebre pittore americano a incontrarsi sulle tele di Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864-1916)? Noto come il “pittore del silenzio” - e questa è già una prima risposta -  il gigante della pittura scandinava approda finalmente nel Bel Paese per la sua prima grande mostra italiana. Apprezzato e conosciuto sulle scene di tutta Europa quando era in vita, l’artista è stato riscoperto a livello internazionale nel 1997 grazie a una memorabile esposizione al Musée d’Orsay, per poi girare tra i principali musei del mondo da Londra a Tokyo. Per il debutto in Italia l’appuntamento è a Palazzo Roverella di Rovigo, dove dal 21 febbraio al 29 giugno ne ammireremo i quadri in un progetto curato da Paolo Bolpagni. Scopriremo così l’intimismo minimalista delle sue scene tranquille e inquietanti ad un tempo, gli interni domenistici, spogli ed essenziali, pervasi di bianca luce del Nord, e le famose “donne di spalle” - quasi sempre Ida, la moglie dell’artista - che rappresentano un’altra cifra distintiva di Hammershøi, considerato l’inventore del “ritratto da dietro”. 

Vilhelm Hammershøi, Sunshine in the Drawing Room III. Strandgade 30, 1903. Stoccolma, Nationalmuseum
“La mostra di Palazzo Roverella, tuttavia, non si propone semplicemente di offrire al pubblico del Bel Paese un’occasione per conoscere da vicino le opere di un pittore straordinario”, spiega il curatore Bolpagni, “ma di scandagliare filoni di ricerca rimasti finora pressoché inesplorati: da una parte il rapporto tra Hammershøi e l’Italia, dall’altra il confronto con artisti europei soprattutto coevi che, con sfumature diverse, praticarono una poetica basata sui temi del silenzio, della solitudine, delle ‘città morte’, dei ‘paesaggi dell’anima’”.

Vilhelm Hammershøi, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma, 1902, Odense, Kunstmuseum Brandts © Kunstmuseum Brandts
A più riprese Hammershøi viaggiò nella penisola. Visitò Roma e partecipò alla Quadriennale del 1911, collezionò cartoline con vedute di città, rifletté sull’arte del passato, studiando le opere della classicità ma anche Giotto, Beato Angelico, Masolino, Masaccio, Luca Signorelli, Desiderio da Settignano. Gli ambienti artistici del Bel Paese, a loro volta, si interessarono alle ricerche del danese: “Non pochi pittori italiani di differenti provenienze geografiche - racconta Bolpagni - furono suggestionati dalla visione o della conoscenza di opere di Hammershøi, sia a lui contemporanei, sia della generazione successiva. Inoltre alcuni critici, nella Penisola, si interessarono piuttosto precocemente al suo lavoro: Vittorio Pica, Ugo Ojetti, Emilio Cecchi, e riviste importanti come «Il Marzocco» ed «Emporium» gli dedicarono articoli”.
In Hammershøi e i pittori del silenzio avremo modo di esplorare l'arte del maestro danese nelle sue diverse declinazioni - i caratteristici “interni silenti”, ma anche vedute architettoniche, paesaggi e ritratti - prima di metterlo a confronto con gli artisti a lui contemporanei - francesi, belgi, olandesi, scandinavi - per apprezzarne appieno la peculiare personalità.

Vilhelm Hammershøi, Luce del sole nel salotto III, 1900 circa, Stoccolma, Nationalmuseum © Nationalmuseum / foto Cecilia Heisser
						
						
					
Vilhelm Hammershøi, Sunshine in the Drawing Room III. Strandgade 30, 1903. Stoccolma, Nationalmuseum
“La mostra di Palazzo Roverella, tuttavia, non si propone semplicemente di offrire al pubblico del Bel Paese un’occasione per conoscere da vicino le opere di un pittore straordinario”, spiega il curatore Bolpagni, “ma di scandagliare filoni di ricerca rimasti finora pressoché inesplorati: da una parte il rapporto tra Hammershøi e l’Italia, dall’altra il confronto con artisti europei soprattutto coevi che, con sfumature diverse, praticarono una poetica basata sui temi del silenzio, della solitudine, delle ‘città morte’, dei ‘paesaggi dell’anima’”.

Vilhelm Hammershøi, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma, 1902, Odense, Kunstmuseum Brandts © Kunstmuseum Brandts
A più riprese Hammershøi viaggiò nella penisola. Visitò Roma e partecipò alla Quadriennale del 1911, collezionò cartoline con vedute di città, rifletté sull’arte del passato, studiando le opere della classicità ma anche Giotto, Beato Angelico, Masolino, Masaccio, Luca Signorelli, Desiderio da Settignano. Gli ambienti artistici del Bel Paese, a loro volta, si interessarono alle ricerche del danese: “Non pochi pittori italiani di differenti provenienze geografiche - racconta Bolpagni - furono suggestionati dalla visione o della conoscenza di opere di Hammershøi, sia a lui contemporanei, sia della generazione successiva. Inoltre alcuni critici, nella Penisola, si interessarono piuttosto precocemente al suo lavoro: Vittorio Pica, Ugo Ojetti, Emilio Cecchi, e riviste importanti come «Il Marzocco» ed «Emporium» gli dedicarono articoli”.
In Hammershøi e i pittori del silenzio avremo modo di esplorare l'arte del maestro danese nelle sue diverse declinazioni - i caratteristici “interni silenti”, ma anche vedute architettoniche, paesaggi e ritratti - prima di metterlo a confronto con gli artisti a lui contemporanei - francesi, belgi, olandesi, scandinavi - per apprezzarne appieno la peculiare personalità.

Vilhelm Hammershøi, Luce del sole nel salotto III, 1900 circa, Stoccolma, Nationalmuseum © Nationalmuseum / foto Cecilia Heisser
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