Dal 13 settembre al 7 gennaio a Camera, Centro Italiano per la Fotografia
A Torino arrivano i paparazzi
Sophia Loren all'aeroporto di Ciampino di ritorno dagli Stati Uniti. Roma, 14 novembre 1961, Agenzia-Dufoto
Samantha De Martin
12/09/2017
Torino - C'è la via Veneto degli anni Sessanta, percorsa dai ricchi e famosi, ci sono Brigitte Bardot e Lady D, Silvio Berlusconi e Jackie Kennedy Onassis, paparazzati in situazioni private che, forse, avrebbero preferito non affidare all'indiscreta e invadente prepotenza dell'obiettivo.
Arrivano i paparazzi! Fotografi e divi della Dolce Vita a oggi è una mostra fotografica che porta nelle sale di Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino, l'intensa stagione degli “scatti rubati”, un fenomeno che, a partire dal suo sviluppo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, ha avuto un ruolo di primo piano nella storia della fotografia italiana e internazionale.
D'altra parte c'è un motivo se il termine paparazzo - parola d'autore creata e diffusa grazie al film La dolce vita di Federico Fellini, in cui il personaggio che esercita la professione ha il cognome Paparazzo - ha assunto, nel tempo, un ruolo di tutto rispetto all'interno del fotogiornalismo.
La pratica della “fotografia rubata”, infatti, al di là del suo aspetto voyeuristico, consente di indagare e ricostruire momenti storici e fenomeni di costume, attraverso una continua riflessione su ruoli e funzioni della fotografia. Quella che dal 13 settembre al 7 gennaio porta a Torino la Roma degli anni Cinquanta e i grandi volti del cinema grazie al contributo di illustri fotografi - da Tazio Secchiaroli a Marcello Geppetti, da Elio Sorci a Lino Nanni - ricostruisce anche, attraverso un'ampia selezione di stampe, in gran parte d'epoca, il clima visivo e culturale che ha fatto da cornice a queste immagini.
Il contesto nel quale lo spettatore si trova immerso, nelle prime sale di Camera, è quello della Roma della Dolce vita, protagonista di scatti iconici e talvolta inediti, appositamente riuniti in occasione della mostra.
Dopo una passeggiata in compagnia di Anita Ekberg e Michelangelo Antonioni, Richard Burton e Liz Taylor, lo spettatore scivola verso situazioni più “scabrose”, mentre il gusto della sorpresa e dell’assalto che caratterizzava i Paparazzi si trasforma in uno sguardo da lontano.
Se negli anni Sessanta, Jackie Kennedy, poi Onassis, è immortalata in alcuni scatti di Ron Galella mentre passeggia per le vie della città, nel decennio successivo, la donna del trentacinquesimo presidente dgli Stati Uniti diventa protagonista di una serie di scatti che la immortalano senza veli, in situazioni private. Come la celebre sequenza di Settimio Garritano che la ritrae nuda mentre prende il sole in vacanza, scatenando un caso internazionale.
«Il cambiamento radicale nella comunicazione avvenuto con l’avvento del digitale - spiega Francesco Zanot, curatore dell'esposizione, insieme a Walter Guadagnini - muta ancora una volta il panorama di questo genere. Allo stesso tempo si modificano anche i soggetti sul palcoscenico della realtà, poiché non sono più tanto gli attori a catalizzare l’attenzione dei fotografi, ma le figure del potere, politico e non solo».
In mostra, accanto ai lavori dei colleghi, figurano gli scatti di alcuni autori contemporanei che hanno preso spunto dall’immaginario dei Paparazzi e riflettuto sulla loro pratica, portandola al confine tra finzione e realtà.
Il mondo della moda si è appropriato di questo linguaggio con le immagini della fotografa Ellen von Unwerth, che hanno al centro alcune star di oggi, da Kate Moss a Monica Bellucci, e che uniscono l’ironia della citazione alla esplicitazione di uno sguardo al femminile, trasformando la vittima in protagonista.
Le immagini dell'artista inglese Alison Jackson, nelle quali sono ricostruiti scatti apparentemente rubati a personaggi celebri come Marilyn Monroe e la stessa Lady Diana, stupiscono lo spettatore, disorientandolo, in un gioco di inganni e specchi.
La rassegna si conclude con un progetto del fotografo italo-tedesco Armin Linke, che ha lavorato sull’archivio di Corrado Calvo, paparazzo reso celebre dalle sue istantanee sulle vacanze di Silvio Berlusconi: un lavoro, quello di Linke, che si pone anche come una riflessione sul senso di una professione controversa e affascinante.
Leggi anche:
• Robert Capa in Italia. A Trieste postazioni multimediali per raccontare lo sbarco degli Alleati
• I Mountain Men di Steve McCurry al Forte di Bard
Arrivano i paparazzi! Fotografi e divi della Dolce Vita a oggi è una mostra fotografica che porta nelle sale di Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino, l'intensa stagione degli “scatti rubati”, un fenomeno che, a partire dal suo sviluppo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, ha avuto un ruolo di primo piano nella storia della fotografia italiana e internazionale.
D'altra parte c'è un motivo se il termine paparazzo - parola d'autore creata e diffusa grazie al film La dolce vita di Federico Fellini, in cui il personaggio che esercita la professione ha il cognome Paparazzo - ha assunto, nel tempo, un ruolo di tutto rispetto all'interno del fotogiornalismo.
La pratica della “fotografia rubata”, infatti, al di là del suo aspetto voyeuristico, consente di indagare e ricostruire momenti storici e fenomeni di costume, attraverso una continua riflessione su ruoli e funzioni della fotografia. Quella che dal 13 settembre al 7 gennaio porta a Torino la Roma degli anni Cinquanta e i grandi volti del cinema grazie al contributo di illustri fotografi - da Tazio Secchiaroli a Marcello Geppetti, da Elio Sorci a Lino Nanni - ricostruisce anche, attraverso un'ampia selezione di stampe, in gran parte d'epoca, il clima visivo e culturale che ha fatto da cornice a queste immagini.
Il contesto nel quale lo spettatore si trova immerso, nelle prime sale di Camera, è quello della Roma della Dolce vita, protagonista di scatti iconici e talvolta inediti, appositamente riuniti in occasione della mostra.
Dopo una passeggiata in compagnia di Anita Ekberg e Michelangelo Antonioni, Richard Burton e Liz Taylor, lo spettatore scivola verso situazioni più “scabrose”, mentre il gusto della sorpresa e dell’assalto che caratterizzava i Paparazzi si trasforma in uno sguardo da lontano.
Se negli anni Sessanta, Jackie Kennedy, poi Onassis, è immortalata in alcuni scatti di Ron Galella mentre passeggia per le vie della città, nel decennio successivo, la donna del trentacinquesimo presidente dgli Stati Uniti diventa protagonista di una serie di scatti che la immortalano senza veli, in situazioni private. Come la celebre sequenza di Settimio Garritano che la ritrae nuda mentre prende il sole in vacanza, scatenando un caso internazionale.
«Il cambiamento radicale nella comunicazione avvenuto con l’avvento del digitale - spiega Francesco Zanot, curatore dell'esposizione, insieme a Walter Guadagnini - muta ancora una volta il panorama di questo genere. Allo stesso tempo si modificano anche i soggetti sul palcoscenico della realtà, poiché non sono più tanto gli attori a catalizzare l’attenzione dei fotografi, ma le figure del potere, politico e non solo».
In mostra, accanto ai lavori dei colleghi, figurano gli scatti di alcuni autori contemporanei che hanno preso spunto dall’immaginario dei Paparazzi e riflettuto sulla loro pratica, portandola al confine tra finzione e realtà.
Il mondo della moda si è appropriato di questo linguaggio con le immagini della fotografa Ellen von Unwerth, che hanno al centro alcune star di oggi, da Kate Moss a Monica Bellucci, e che uniscono l’ironia della citazione alla esplicitazione di uno sguardo al femminile, trasformando la vittima in protagonista.
Le immagini dell'artista inglese Alison Jackson, nelle quali sono ricostruiti scatti apparentemente rubati a personaggi celebri come Marilyn Monroe e la stessa Lady Diana, stupiscono lo spettatore, disorientandolo, in un gioco di inganni e specchi.
La rassegna si conclude con un progetto del fotografo italo-tedesco Armin Linke, che ha lavorato sull’archivio di Corrado Calvo, paparazzo reso celebre dalle sue istantanee sulle vacanze di Silvio Berlusconi: un lavoro, quello di Linke, che si pone anche come una riflessione sul senso di una professione controversa e affascinante.
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