Aurelio Gravina. The false sublime
Dal 10 Ottobre 2020 al 22 Ottobre 2020
Mantova
Luogo: Galleria Arianna Sartori
Indirizzo: via Ippolito Nievo 10
Orari: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Telefono per informazioni: +39 0376 324260
La Galleria Arianna Sartori di Mantova, nella sala di via Ippolito Nievo 10, presenterà la mostra personale dell’artista Aurelio Gravina “The false sublime”, dal 10 ottobre al 22 ottobre 2020.
L’inaugurazione si terrà sabato 10 ottobre alle ore 17.30, alla presenza dell’artista.
Aurelio Gravina è già stato ospite della Galleria Arianna Sartori nel 2009 con la personale “Il buio, l’oblio… esserci”, nel 2010 con la personale “Dieci modi di morire in-versi”, nel 2011 con la personale “Il fenomeno dell’occhio che non sente” e nel 2016 con la personale “Dalla perdita della materia alla condizione di spirito”, artista che è sempre riuscito a suscitare l’interesse del pubblico e della critica.
Giungla metropolitana
L’habitat artificiale dell’uomo, per Aurelio Gravina, ha il carattere della giungla. Bestie più o meno feroci si tra le case e sovrastano panoramiche cementificate. Forse non sono lì in perlustrazione, forse smarrite o cacciatrici in nuovi territori, forse sono solo metafora dell’uomo snaturato.
L’uomo e l’animale si contendono un ruolo da protagonisti nelle tele di Aurelio Gravina, Costringono chi guarda a un confronto diretto e ravvicinato con la bestia o con Io sguardo di uno sconosciuto. I soggetti compaiono come di passaggio e si avvicinano all’osservatore, a volte, fino alla deformazione visiva,
Le figure entrano nella scena pittorica da destra o da sinistra, dal basso o dall’alto e si pongono all’osservatore quasi sempre come se fossero in movimento, un attimo prima di fermarsi. Il colore e la pennellata sono gli alleati di Gravina per ottenere questo effetto. La stesura col pennello è rapida, il colore corposo, multistrato e qualche volta colato. Che sia l’uomo o la bestia, entrambi emergono da sfondi scuri, cupi, che abbozzano spesso lontani contesti metropolitani, o spazi irreali, estranianti. Nelle tele di Gravina capita di trovare un leone in città, o un essere umano raffigurato dall’alto come se ad osservarlo non sia un altro uomo, ma piuttosto un animale: un uccello esploratore.
L’uomo e la bestia si confondono, si mescolano, si contendono la scena. Entrambi condividono uno stesso dentino e una stessa sensibilità con l’unica differenza che non I’habitat animale, ma la casa dell’uomo, come un cancro, si e moltiplicata a dismisura fagocitando territori della mente. L’occhio dell’animale dell’uomo sono come persi nel vuoto. L’espressione è quasi interrogativa e stimola l’osservatore a porsi delle domande. I personaggi é come se entrassero improvvisamente nella tela del pittore. Sembrano catturati nel corso di una sequenza cinematografica. Le figure, dai contorni volutamente più o meno incerti, come fotografie mosse azionano il desiderio di capire a quale storia appartenga il frame proposto. È un pasto appena consumato, come il quadro del leone che si muove sovrastando la città? È la fuga da un fantomatico zoo, come il ritratto dello scimpanzé?
Le domande restano aperte. Specie quando gli animali sembrano diventare un tutt’uno con le architetture quasi consustanziali. Le città appena abbozzate, o i palazzi sembrano gli unici testimoni della storia del vivere, l’unica presenza oggettivamente immobile, per loro natura intrinseca. Tuttavia Gravina mette in discussione persino la loro staticità e per farlo usa la luce.
I chiaroscuri sono un elemento importante della sua composizione pittorica. I bianchi puri delineano le forme e le figure. Le aiutano ad emergere dall’oscurità e da spazi indeterminati. Questa luce è fredda, non ha nulla di naturale, nonostante la gran parte dei lavori raffiguri scene all’aperto. In qualche caso, la luce sembra quella di un neon puntato violentemente davanti al soggetto ritratto, scoprendolo e sorprendendolo in un atto di intimità, nella sua nudità.
Non c’è nulla della positività del movimento e del dinamismo delle città futuriste nelle opere di Gravina, La sua pittura è vicina al racconto dei contesti metropolitani di molti artisti contemporanei come Papetti, Guaitamacchi, Ottieri, Cerri, dove il contesto urbano viene raffigurato come luogo di perdizione, di annientamento, di estraneazione, di declino. Emblematica la tela di Gravina, “Promenade” dove un leone sovrasta una città a perdita d’occhio su cui pesa un cielo rosso sangue che abbandona ogni riferimento simbolico al celeste e alla celestialità per diventare carne grondante. La città è per Gravina meta di uomini e animali. È come se la migrazione di massa verso i grandi agglomerati urbani riguardi tutti gli esseri viventi, alludendo a campagne e savane desertificate, inospitali. Tutto gravita attorno alla città e l’osservazione del paesaggio artificiale da parte dei suoi abitanti sembra contenere un interrogativo comune a uomini e animali dove “stiamo andando?”, (Ognuno di loro è passeggero di una grande arca di Noè in attesa che si definisca o raggiunga una meta. Il somarello in città, ritratto in una delle tele di Gravina, ne è un esempio significativo. L’animale guarda con aria smarrita verso l’osservatore, alle spalle la città. L’asino, da sempre è legato all’uomo attraverso il lavoro contadino, è chiaramente decontestualizzato, espropriato della sua identità, del suo ruolo. Rivolgendosi all’uomo che lo guarda fuori dalla tela sembra cercare un nuovo padrone: forse spera di trovare l’uomo perduto.
Melina Scalise
Falso Sublime
Nel 1507 Caravaggio conosce il Cardinale Francesco Maria Del Monte, grande uomo di cultura e di arte che incantato dalla sua pittura gli acquista alcuni quadri. Da questo momento comincia il viaggio pittorico nei meandri del realismo rivoluzionario, nella magia della “luce”.
Il “sublime falso” racchiude in sé il possibile sdoppiamento dei fatti: la sottrazione/divisione degli spazi decreta la perdita della narrazione storica, confonde i tempi e mette in evidenza i particolari del realismo scenico caravaggesco accostandoli ai suoi successori nordici Vermeer, Rembrandt.
Il falso sta nei tempi, nel rapporto fra soggetto e luce, nella condivisione dei meccanismi pittorici.
Così si perde la drammaticità del racconto fissandone quella del particolare (falso). La divisione degli spazi rimanda alla tecnica filmica, al “repechage” scenico dell’intero percorso.
A.G.G.
Aurelio Gravina è nato a Francavilla Marittima / Sibaritide.
Scenografo, attore e regista diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, lavora in teatro con l’Out Off di Milano e collabora con Studio Azzurro dal 1981 al 1986 con il video arte “Il nuotatore” e altre produzioni.
Dopo diverse performance di Teatro/Arte e dopo aver sperimentato la scrittura sia come linguaggio che come forma pittorica continua la sua ricerca affrontando la pittura come possibilità atta a fondere i due linguaggi (teatro/pittura) in direzione di un unico contenuto: quello del segno pittorico/attore nello spazio scenico della tela.
Vive e lavora a Milano.
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