Dal 16 novembre a Brescia, aspettando il ritorno della Vittoria Alata
Dal carcere al museo: debutta in Italia l’opera di Zehra Doğan
Zehra Doğan, Fatıma'nın Eli (Fatma's hand), 2018, Diyarbakir Prison, Federa per cuscino, tè, caffè, ricamo, penna a sfera, 34 x 58 cm | Foto: Jef Rabillon
Francesca Grego
14/11/2019
Brescia - Artista, attivista e giornalista curda, Zehra Doğan fu arrestata dalle autorità turche nel luglio del 2016 per aver condiviso una sua opera su Twitter: rielaborando una fotografia scattata da un soldato turco tra le macerie della città di Nusaybin, Zehra aveva sostituito ai blindati di Erdogan degli scorpioni, simbolo di morte e distruzione. Per quasi tre anni è rimasta chiusa in carcere, mentre le sue opere facevano il giro del mondo, Ai Weiwei le dedicava un'appassionata lettera aperta e Banksy un murales a New York. Sul Bowery Wall, il muro più ambito di Manhattan, l'artista curda è rappresentata tra le sbarre mentre brandisce la sua arma più potente: una matita. E in effetti di smettere di disegnare Zehra non ha voluto saperne: di nascosto e con mezzi di fortuna - lenzuola, stracci, frutti e verdure, sangue, cenere di sigarette - ha continuato ad esprimersi senza soluzione di continuità.
Dopo la liberazione nello scorso febbraio e una seguitissima performance alla Tate Modern di Londra, in occasione del Festival della Pace l'artista porta a Brescia il frutto della sua prigionia. Circa 60 disegni, dipinti e lavori a tecnica mista compongono il percorso della mostra Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche, da sabato 16 novembre al Museo di Santa Giulia. “Si tratta di pezzi originali mai esposti in Italia e in assoluto della prima mostra di impianto curatoriale dedicata a Zehra Doğan”, spiega la curatrice Elettra Stamboulis: “Un'occasione per fare il punto sul lavoro di quest'artista, che a mio parere rimarrà un riferimento importante nel panorama dell'arte e dell'attivismo in questo scorcio del XXI secolo”.
“Zehra rappresenta un pezzo poco conosciuto dell’arte contemporanea, sappiamo veramente poco sulla scena del Vicino Oriente”, continua la Stamboulis: “Nonostante la giovane età (30 anni), il suo spessore e la sua capacità di riflessione sono davvero notevoli, considerato che è anche una giornalista e un'attivista politica. Inoltre i suoi lavori il risultato di un processo collettivo: tutte le opere in mostra sono state realizzate insieme alle sue compagne di detenzione. Se l’artista incarcerato, ahimé, non è una novità, questa attività partecipata in prigione, con lo sforzo relazionale che comporta, è qualcosa di inusuale. Secondo Zehra l’attitudine artistica è in ognuno di noi, quello che fa la differenza è semplicemente la disciplina estetica. Ma l’arte e la vita sono la stessa cosa”.
Se in un contesto di estrema limitazione della libertà come quello del carcere l'arte ha rappresentato per la Doğan l'unico spazio di espressione, fondamentale è stato il rapporto con le donne perché, come spiega Elettra, Zehra si sente prima di tutto una femminista. “Spesso le donne del Vicino Oriente sono presentate in maniera fuorviante, in realtà avremmo molto da imparare da loro”, commenta la curatrice.
Ma nel percorso espositivo bresciano l'accento cade sulla poetica per evidenziare tutto il valore dell'artista: “L'arte di Zehra Doğan ha una duplice origine: da un lato una formazione tipicamente accademica, dall'altro la pittura tradizionale del popolo curdo. Oltre a questi, ci sono aspetti legati alla contemporaneità del fare arte: per esempio l'importanza della macchia come errore e occasione per riconoscervi una forma, il segno del nostro passare nel mondo. In mostra vedremo quindi una sezione dedicata alle macchie, una dedicata ai corpi - che per l’artista hanno un'importanza fondamentale, specie quelli femminili - e una parte più politica”.
Zehra, che in questi mesi si è stabilita a Londra, sarà a Brescia sabato 23 novembre con una sorpresa: una performance dedicata all'attivista curda Hevrin Khalaf, giustiziata barbaramente in Siria un mese fa dalle milizie filo-turche. “Un evento che sono davvero felice di essere riuscito a concretizzare, certamente il più importante degli appuntamenti collaterali alla mostra che abbiamo preparato per soddisfare un pubblico attento e curioso: visite guidate domenicali, laboratori per le famiglie e la proiezione di un documentario dedicato all'artista prima delle festività natalizie ”, annuncia il direttore di Fondazione Brescia Musei Stefano Karadjov.
“Ho appena visto l'ultimo aggiornamento sull'allestimento e l'impatto è incredibile”, prosegue il direttore: “nonostante lavorasse di nascosto, l'artista è riuscita a realizzare su asciugamani, lenzuola e brani di tessuto molte opere di dimensioni ragguardevoli. Il linguaggio figurativo fa dei suoi lavori una testimonianza aperta, con una serie di istantanee fotografiche e incubi visivi catturati in un luogo dove non è assolutamente possibile scattare fotografie. È una sveglia collettiva, un richiamo a tutti gli spiriti liberi che nulla toglie alla dimensione prettamente artistica dell’opera”.
Verso il 2020: il ritorno della Vittoria Alata e il rilancio della Brescia romana
In calendario a Santa Giulia fino al prossimo 1° marzo, la mostra su Zehra Doğan passerà poi il testimone all'ambizioso programma culturale con cui Brescia si accinge a salutare il 2020. Protagonista del nuovo anno sarà l'archeologia, con la valorizzazione del ricco patrimonio di età romana che caratterizza la città. Tra gli eventi più attesi, spiega Karadjov, c'è “il ritorno della Vittoria Alata, lo straordinario bronzo da un anno e mezzo in restauro all'Opificio delle Pietre Dure. Ci aspettiamo una vera e propria detonazione, attorno alla quale ruoteranno mostre e attività temporanee concepite con l'obiettivo di trasformare la percezione della nostra area archeologica, che si estende su sei ettari tra il Museo di Santa Giulia e il Parco Archeologico Romano”.
A giugno l'icona dell'antica Brixia avrà un nuovo scenografico allestimento progettato dal celebre architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg: l'interno dell'imponente Tempio Capitolino evocherà gli spazi aperti in cui la statua era originariamente collocata, con un colpo d'occhio monumentale accentuato dall'impianto di illuminazione pensato ad hoc. Per tutta l'estate lo spettacolo Calma Musa Immortale. Sulle Orme della Vittoria Alata, firmato da Fausto Cabra e Marco Archetti, racconterà al pubblico le vicende di un'opera leggendaria. “Sarà uno spettacolo multipalco alla Ronconi - spiega Karadjov - per gruppi di persone che si sposteranno all'aperto, all'interno del sito archeologico, per rivivere le emozioni del ritrovamento della statua nel 1826, dopo un sonno tra le rovine durato 1400 anni. A riportarla alla luce contro il volere del governo austriaco fu un gruppo di illuministi bresciani, gli stessi che qualche decennio dopo, durante i moti del Risorgimento, fecero della città la Leonessa d'Italia”.
Ma il clou del programma è atteso per novembre con la mostra Vittoria. Il lungo viaggio del mito: “un itinerario nel tempo dalle grandi sculture ellenistiche al bric-à-brac che nel primo Novecento si sviluppò intorno all'icona della Vittoria Alata, per scoprire come questo simbolo antico si sia trasformato nei secoli alimentando un mito che ebbe grande fortuna nel Rinascimento. Con l'aiuto di installazioni multimediali, scopriremo come e perché una statua ricercata in tutta Europa sia arrivata a Brescia e le ipotesi sulla sua collocazione originaria”.
Se il 2020 inaugura ufficialmente ad aprile con un progetto espositivo su Baldeweg nelle vesti di architetto, pittore e scultore, a maggio c'è spazio anche per la fotografia con la prima grande retrospettiva italiana su Alfred Seiland: Brescia Imperium Romanum sarà infatti il pezzo forte della quarta edizione del Brescia Photofestival, che quest'anno si intitolerà Patrimoni. Dieci scatti dedicati all'archeologia cittadina si aggiungeranno così ai 30 scelti all'interno del progetto che il fotografo austriaco porta avanti da un decennio intorno alle rovine dell’Impero romano evidenziandone le relazioni con gli scenari del XXI secolo. E sul dialogo con il contemporaneo sono imperniati anche due progetti legati alla scultura: a confrontarsi con il patrimonio bresciano saranno Francesco Vezzoli a luglio ed Emilio Isgrò all'inizio del 2021, in occasione del decennale dell'ingresso di Brescia nell'Unesco World Heritage con il sito seriale I Longobardi in Italia.
Leggi anche:
• Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche
• FOTO - Zehra Doğan – Poesia per un futuro possibile
Dopo la liberazione nello scorso febbraio e una seguitissima performance alla Tate Modern di Londra, in occasione del Festival della Pace l'artista porta a Brescia il frutto della sua prigionia. Circa 60 disegni, dipinti e lavori a tecnica mista compongono il percorso della mostra Avremo anche giorni migliori – Zehra Doğan. Opere dalle carceri turche, da sabato 16 novembre al Museo di Santa Giulia. “Si tratta di pezzi originali mai esposti in Italia e in assoluto della prima mostra di impianto curatoriale dedicata a Zehra Doğan”, spiega la curatrice Elettra Stamboulis: “Un'occasione per fare il punto sul lavoro di quest'artista, che a mio parere rimarrà un riferimento importante nel panorama dell'arte e dell'attivismo in questo scorcio del XXI secolo”.
“Zehra rappresenta un pezzo poco conosciuto dell’arte contemporanea, sappiamo veramente poco sulla scena del Vicino Oriente”, continua la Stamboulis: “Nonostante la giovane età (30 anni), il suo spessore e la sua capacità di riflessione sono davvero notevoli, considerato che è anche una giornalista e un'attivista politica. Inoltre i suoi lavori il risultato di un processo collettivo: tutte le opere in mostra sono state realizzate insieme alle sue compagne di detenzione. Se l’artista incarcerato, ahimé, non è una novità, questa attività partecipata in prigione, con lo sforzo relazionale che comporta, è qualcosa di inusuale. Secondo Zehra l’attitudine artistica è in ognuno di noi, quello che fa la differenza è semplicemente la disciplina estetica. Ma l’arte e la vita sono la stessa cosa”.
Se in un contesto di estrema limitazione della libertà come quello del carcere l'arte ha rappresentato per la Doğan l'unico spazio di espressione, fondamentale è stato il rapporto con le donne perché, come spiega Elettra, Zehra si sente prima di tutto una femminista. “Spesso le donne del Vicino Oriente sono presentate in maniera fuorviante, in realtà avremmo molto da imparare da loro”, commenta la curatrice.
Ma nel percorso espositivo bresciano l'accento cade sulla poetica per evidenziare tutto il valore dell'artista: “L'arte di Zehra Doğan ha una duplice origine: da un lato una formazione tipicamente accademica, dall'altro la pittura tradizionale del popolo curdo. Oltre a questi, ci sono aspetti legati alla contemporaneità del fare arte: per esempio l'importanza della macchia come errore e occasione per riconoscervi una forma, il segno del nostro passare nel mondo. In mostra vedremo quindi una sezione dedicata alle macchie, una dedicata ai corpi - che per l’artista hanno un'importanza fondamentale, specie quelli femminili - e una parte più politica”.
Zehra, che in questi mesi si è stabilita a Londra, sarà a Brescia sabato 23 novembre con una sorpresa: una performance dedicata all'attivista curda Hevrin Khalaf, giustiziata barbaramente in Siria un mese fa dalle milizie filo-turche. “Un evento che sono davvero felice di essere riuscito a concretizzare, certamente il più importante degli appuntamenti collaterali alla mostra che abbiamo preparato per soddisfare un pubblico attento e curioso: visite guidate domenicali, laboratori per le famiglie e la proiezione di un documentario dedicato all'artista prima delle festività natalizie ”, annuncia il direttore di Fondazione Brescia Musei Stefano Karadjov.
“Ho appena visto l'ultimo aggiornamento sull'allestimento e l'impatto è incredibile”, prosegue il direttore: “nonostante lavorasse di nascosto, l'artista è riuscita a realizzare su asciugamani, lenzuola e brani di tessuto molte opere di dimensioni ragguardevoli. Il linguaggio figurativo fa dei suoi lavori una testimonianza aperta, con una serie di istantanee fotografiche e incubi visivi catturati in un luogo dove non è assolutamente possibile scattare fotografie. È una sveglia collettiva, un richiamo a tutti gli spiriti liberi che nulla toglie alla dimensione prettamente artistica dell’opera”.
Verso il 2020: il ritorno della Vittoria Alata e il rilancio della Brescia romana
In calendario a Santa Giulia fino al prossimo 1° marzo, la mostra su Zehra Doğan passerà poi il testimone all'ambizioso programma culturale con cui Brescia si accinge a salutare il 2020. Protagonista del nuovo anno sarà l'archeologia, con la valorizzazione del ricco patrimonio di età romana che caratterizza la città. Tra gli eventi più attesi, spiega Karadjov, c'è “il ritorno della Vittoria Alata, lo straordinario bronzo da un anno e mezzo in restauro all'Opificio delle Pietre Dure. Ci aspettiamo una vera e propria detonazione, attorno alla quale ruoteranno mostre e attività temporanee concepite con l'obiettivo di trasformare la percezione della nostra area archeologica, che si estende su sei ettari tra il Museo di Santa Giulia e il Parco Archeologico Romano”.
A giugno l'icona dell'antica Brixia avrà un nuovo scenografico allestimento progettato dal celebre architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg: l'interno dell'imponente Tempio Capitolino evocherà gli spazi aperti in cui la statua era originariamente collocata, con un colpo d'occhio monumentale accentuato dall'impianto di illuminazione pensato ad hoc. Per tutta l'estate lo spettacolo Calma Musa Immortale. Sulle Orme della Vittoria Alata, firmato da Fausto Cabra e Marco Archetti, racconterà al pubblico le vicende di un'opera leggendaria. “Sarà uno spettacolo multipalco alla Ronconi - spiega Karadjov - per gruppi di persone che si sposteranno all'aperto, all'interno del sito archeologico, per rivivere le emozioni del ritrovamento della statua nel 1826, dopo un sonno tra le rovine durato 1400 anni. A riportarla alla luce contro il volere del governo austriaco fu un gruppo di illuministi bresciani, gli stessi che qualche decennio dopo, durante i moti del Risorgimento, fecero della città la Leonessa d'Italia”.
Ma il clou del programma è atteso per novembre con la mostra Vittoria. Il lungo viaggio del mito: “un itinerario nel tempo dalle grandi sculture ellenistiche al bric-à-brac che nel primo Novecento si sviluppò intorno all'icona della Vittoria Alata, per scoprire come questo simbolo antico si sia trasformato nei secoli alimentando un mito che ebbe grande fortuna nel Rinascimento. Con l'aiuto di installazioni multimediali, scopriremo come e perché una statua ricercata in tutta Europa sia arrivata a Brescia e le ipotesi sulla sua collocazione originaria”.
Se il 2020 inaugura ufficialmente ad aprile con un progetto espositivo su Baldeweg nelle vesti di architetto, pittore e scultore, a maggio c'è spazio anche per la fotografia con la prima grande retrospettiva italiana su Alfred Seiland: Brescia Imperium Romanum sarà infatti il pezzo forte della quarta edizione del Brescia Photofestival, che quest'anno si intitolerà Patrimoni. Dieci scatti dedicati all'archeologia cittadina si aggiungeranno così ai 30 scelti all'interno del progetto che il fotografo austriaco porta avanti da un decennio intorno alle rovine dell’Impero romano evidenziandone le relazioni con gli scenari del XXI secolo. E sul dialogo con il contemporaneo sono imperniati anche due progetti legati alla scultura: a confrontarsi con il patrimonio bresciano saranno Francesco Vezzoli a luglio ed Emilio Isgrò all'inizio del 2021, in occasione del decennale dell'ingresso di Brescia nell'Unesco World Heritage con il sito seriale I Longobardi in Italia.
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