Nelle sale il 30 e 31 gennaio
David Hockney: dalla Royal Academy of Arts al grande schermo. La nostra recensione
David Hockney durante le riprese. Courtesy of Nexo Digital
Samantha De Martin
26/01/2018
Mondo - Un viaggio appassionato, scandito dal ritmo e dal colore, inseguendo l’astro della pop art inglese, David Hockney.
Cardigan verde bottiglia, berretto color panna e straccali, o anche giacca grigia e cravatta blu, l’artista britannico tra i più celebri al mondo, durante la chiacchierata con il direttore artistico della Royal Academy of Arts, Tim Marlow, come sbucato da una delle tele di 82 Portraits and One Still Life 2016, assomiglia a uno dei tanti protagonisti delle sue opere, ritratti mentre ammiccano al pubblico, ciascuno con la propria storia, in posa sull’inconfondibile poltrona gialla.
Ed eccolo questo “impressionista del Novecento”, mentre si accende una sigaretta confidando al grande schermo i segreti della propria arte, ripreso mentre dipinge, assorto, i suoi paesaggi en plein air, sensibile all’azione della natura, del vento, o mentre utilizza lo schermo dell’ipad come una tavolozza, il dito al posto per pennello, intinto nel colore virtuale ed ammaliante di una tecnologia che esercita sul pittore una malia potente.
Vedute virtuali ritratte su schermi digitali corrono accanto ai capolavori di pittura o alio, dei quali Hockney è maestro.
Questo trionfo di colori, sguardi e paesaggi, che sarà nelle sale il 30 e il 31 gennaio - inaugurando il 2018 della Grande Arte al Cinema, distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Sky Arte HD e Mymovies.it - è in realtà domato dalla riflessione composta che si snoda sostanzialmente nei due momenti dell’intervista al pittore di Bradford.
La prima chiacchierata tra Marlow e l’artista ruota intorno all'esposizione A Bigger Picture 2012 allestita alla Royal Academy of Arts, la prima grande mostra di nuovi dipinti paesaggistici di Hockney, caratterizzata da imponenti e maestose opere di grandi dimensioni ispirate al paesaggio dello Yorkshire. Un excursus sulla bellezza delle stagioni, ma anche sulle nuove tecnologie esplorate negli ultimi anni dal pittore, membro della Royal Academy dal 1991.
Il rapporto dell’artista con questa prestigiosa istituzione è davvero unico, al punto che per i suoi spazi Hockney ha realizzato le due mostre ad hoc - A Bigger Picture 2012 e 82 Portraits and One Still Life 2016 - entrambe protagoniste del docu-film, trasformate in due eventi spettacolari.
Il contributo di curatori e critici d’arte - da Martin Gayford a Edith Devaney, Senior Contemporary Curator della Royal Academy of Arts, che ha posato per due ritratti realizzati dall’artista, entrambi presenti nel docu-film - aiuta il pubblico ad orientarsi mentre si addentra tra le opere di quello che Jonathan Jones definisce la “quinta essenza dell’arte britannica”, capace di combinare con maestria mani, cuore e spirito per dare vita a soggetti e paesaggi che emanano respiro. Paesaggi - dai fitti boschi alle pianure sconfinate - che avvolgono l’artista mentre dipinge all’aria aperta, con accanto pastelli, pennelli e una lattina di Coca.
E il pubblico se li gode con calma, mentre le riprese corrono lente tra le sale della Royal Academy of Arts, sgombre di visitatori, libere per lo spettatore, invase solo dalla luce delle tele e dai commenti del maestro.
The arrival of spring in Woldgate, Grand Canyon with Ledge, Flight into Italy-Swiss Landscape, Midsummer, A closer winter tunnel, Rocky Mountains and Tired Indians, The Road to York through Sledmere sono solo alcuni dei lavori che accendono lo sguardo in questo viaggio vibrante nella pittura di Hockney.
Nel Grand Tour dell’artista, che scolpisce nelle sue opere numerose esperienze di viaggio, trovano ampio spazio anche la sua prima esperienza all’estero, in Egitto nel 1963, il ricordo doloroso della morte dell’amico Jonathan Silver- un uomo “dinamico e fuori dal comune”, come lo definisce lo stesso artista - e la scomparsa della madre.
«Sono un uomo che vive di giorno, non di notte» confessa Hockney, rivelando di alzarsi molto presto al mattino, soprattutto d’estate, per sfruttare al meglio la luce del sole. E infatti una differenza c’è tra le tele realizzare en plein air - frutto anche delle reazioni, delle sensazioni dell’artista agli stimoli della natura - ed i lavori composti all’interno del proprio studio, come lo stesso pittore confessa a Tim Marlow.
Le sue tele, oltre a essere colore e luce, sono un affastellarsi di emozioni, esperienze, viaggi, ricordi, sono - specie quelle al centro della mostra 82 Portraits and One Still Life 2016 - volti e ritratti di amici e colleghi, di bambini e familiari, di visitatori incuriositi dallo studio dell’artista. I lavori di quest’ultima mostra, 82 Portraits and One Still Life 2016, sono stati realizzati, ciscuno, nel giro di due-tre giorni, anche per cercare di catturare il più velocemente possibile la posa dei soggetti, con una breve pausa tra l’uno e l’altro.
Chloe McHugh, Joan Agajanian Quinn, J-P Gonçalves de Lima, l’attore Barry Humphries, ma anche il celebre gallerista Larry Gagosian e il banchiere Jacob Rothschild scrutano il visitatore dalla loro postazione illuminata da colori squillanti.
«I ritratti dipinti sono molto diversi da quelli fotografici» spiega Hockney. Ed in effetti ciascuno, realizzato in silenzio e con assoluta concentrazione, racchiude, dietro audaci abbinamenti cromatici, dietro espressioni ora tristi, ora assorte, ora irrequiete e dubbiose, un’appassionata fisiognomica dell’anima.
Sfilano così, sulla passerella dell’umanità più varia, donne accomodate su alti tacchi, uomini stretti in abiti scuri o mise informali, sneaker, sandali, o stivali, «alcuni vestiti davvero malissimo» scherza Hockney, e ancora bambini, signore distinte, modelli frettolosi e affaccendati. E poi c’è Margaret, sorella maggiore dell’artista, appassionata di tecnologia, distesa e assorta a fissare il fratello.
In questa sorta di backstage dell’arte o, se si vuole, di officina di Hockney, allestita sul grande schermo, il pubblico ha la possibilità di veder crescere le opere del pittore, di scrutare la posa dei protagonisti dei ritratti, che, piano, prendono forma ed espressione.
«Non fumo mentre dipingo, ma solo alla fine, mentre rivedo il mio lavoro. Mi dicono di smettere di fumare e che dovrei pensare un po’ più alla salute. Ma io rispondo che devo invece pensare alla pittura. Ritratti, paesaggi, nature morte. Per me non esiste altro».
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Cardigan verde bottiglia, berretto color panna e straccali, o anche giacca grigia e cravatta blu, l’artista britannico tra i più celebri al mondo, durante la chiacchierata con il direttore artistico della Royal Academy of Arts, Tim Marlow, come sbucato da una delle tele di 82 Portraits and One Still Life 2016, assomiglia a uno dei tanti protagonisti delle sue opere, ritratti mentre ammiccano al pubblico, ciascuno con la propria storia, in posa sull’inconfondibile poltrona gialla.
Ed eccolo questo “impressionista del Novecento”, mentre si accende una sigaretta confidando al grande schermo i segreti della propria arte, ripreso mentre dipinge, assorto, i suoi paesaggi en plein air, sensibile all’azione della natura, del vento, o mentre utilizza lo schermo dell’ipad come una tavolozza, il dito al posto per pennello, intinto nel colore virtuale ed ammaliante di una tecnologia che esercita sul pittore una malia potente.
Vedute virtuali ritratte su schermi digitali corrono accanto ai capolavori di pittura o alio, dei quali Hockney è maestro.
Questo trionfo di colori, sguardi e paesaggi, che sarà nelle sale il 30 e il 31 gennaio - inaugurando il 2018 della Grande Arte al Cinema, distribuita in esclusiva per l’Italia da Nexo Digital con i media partner Sky Arte HD e Mymovies.it - è in realtà domato dalla riflessione composta che si snoda sostanzialmente nei due momenti dell’intervista al pittore di Bradford.
La prima chiacchierata tra Marlow e l’artista ruota intorno all'esposizione A Bigger Picture 2012 allestita alla Royal Academy of Arts, la prima grande mostra di nuovi dipinti paesaggistici di Hockney, caratterizzata da imponenti e maestose opere di grandi dimensioni ispirate al paesaggio dello Yorkshire. Un excursus sulla bellezza delle stagioni, ma anche sulle nuove tecnologie esplorate negli ultimi anni dal pittore, membro della Royal Academy dal 1991.
Il rapporto dell’artista con questa prestigiosa istituzione è davvero unico, al punto che per i suoi spazi Hockney ha realizzato le due mostre ad hoc - A Bigger Picture 2012 e 82 Portraits and One Still Life 2016 - entrambe protagoniste del docu-film, trasformate in due eventi spettacolari.
Il contributo di curatori e critici d’arte - da Martin Gayford a Edith Devaney, Senior Contemporary Curator della Royal Academy of Arts, che ha posato per due ritratti realizzati dall’artista, entrambi presenti nel docu-film - aiuta il pubblico ad orientarsi mentre si addentra tra le opere di quello che Jonathan Jones definisce la “quinta essenza dell’arte britannica”, capace di combinare con maestria mani, cuore e spirito per dare vita a soggetti e paesaggi che emanano respiro. Paesaggi - dai fitti boschi alle pianure sconfinate - che avvolgono l’artista mentre dipinge all’aria aperta, con accanto pastelli, pennelli e una lattina di Coca.
E il pubblico se li gode con calma, mentre le riprese corrono lente tra le sale della Royal Academy of Arts, sgombre di visitatori, libere per lo spettatore, invase solo dalla luce delle tele e dai commenti del maestro.
The arrival of spring in Woldgate, Grand Canyon with Ledge, Flight into Italy-Swiss Landscape, Midsummer, A closer winter tunnel, Rocky Mountains and Tired Indians, The Road to York through Sledmere sono solo alcuni dei lavori che accendono lo sguardo in questo viaggio vibrante nella pittura di Hockney.
Nel Grand Tour dell’artista, che scolpisce nelle sue opere numerose esperienze di viaggio, trovano ampio spazio anche la sua prima esperienza all’estero, in Egitto nel 1963, il ricordo doloroso della morte dell’amico Jonathan Silver- un uomo “dinamico e fuori dal comune”, come lo definisce lo stesso artista - e la scomparsa della madre.
«Sono un uomo che vive di giorno, non di notte» confessa Hockney, rivelando di alzarsi molto presto al mattino, soprattutto d’estate, per sfruttare al meglio la luce del sole. E infatti una differenza c’è tra le tele realizzare en plein air - frutto anche delle reazioni, delle sensazioni dell’artista agli stimoli della natura - ed i lavori composti all’interno del proprio studio, come lo stesso pittore confessa a Tim Marlow.
Le sue tele, oltre a essere colore e luce, sono un affastellarsi di emozioni, esperienze, viaggi, ricordi, sono - specie quelle al centro della mostra 82 Portraits and One Still Life 2016 - volti e ritratti di amici e colleghi, di bambini e familiari, di visitatori incuriositi dallo studio dell’artista. I lavori di quest’ultima mostra, 82 Portraits and One Still Life 2016, sono stati realizzati, ciscuno, nel giro di due-tre giorni, anche per cercare di catturare il più velocemente possibile la posa dei soggetti, con una breve pausa tra l’uno e l’altro.
Chloe McHugh, Joan Agajanian Quinn, J-P Gonçalves de Lima, l’attore Barry Humphries, ma anche il celebre gallerista Larry Gagosian e il banchiere Jacob Rothschild scrutano il visitatore dalla loro postazione illuminata da colori squillanti.
«I ritratti dipinti sono molto diversi da quelli fotografici» spiega Hockney. Ed in effetti ciascuno, realizzato in silenzio e con assoluta concentrazione, racchiude, dietro audaci abbinamenti cromatici, dietro espressioni ora tristi, ora assorte, ora irrequiete e dubbiose, un’appassionata fisiognomica dell’anima.
Sfilano così, sulla passerella dell’umanità più varia, donne accomodate su alti tacchi, uomini stretti in abiti scuri o mise informali, sneaker, sandali, o stivali, «alcuni vestiti davvero malissimo» scherza Hockney, e ancora bambini, signore distinte, modelli frettolosi e affaccendati. E poi c’è Margaret, sorella maggiore dell’artista, appassionata di tecnologia, distesa e assorta a fissare il fratello.
In questa sorta di backstage dell’arte o, se si vuole, di officina di Hockney, allestita sul grande schermo, il pubblico ha la possibilità di veder crescere le opere del pittore, di scrutare la posa dei protagonisti dei ritratti, che, piano, prendono forma ed espressione.
«Non fumo mentre dipingo, ma solo alla fine, mentre rivedo il mio lavoro. Mi dicono di smettere di fumare e che dovrei pensare un po’ più alla salute. Ma io rispondo che devo invece pensare alla pittura. Ritratti, paesaggi, nature morte. Per me non esiste altro».
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