Fino al 2 febbraio alla Galleria d’Arte Moderna

Un racconto di arte libera. I protagonisti dell'espressionismo italiano in mostra a Roma

Alberto Ziveri, Il postribolo,1945, Olio su tela, 125 x 100 cm | Foto: © Studio Vandrasch | Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
 

Samantha De Martin

05/07/2024

Roma - Una linea, un danno solo in apparenza, divide quasi a metà l’Autoritratto con lettera di Antonietta Raphaël.
In realtà la piega sulla tela nella quale la pittrice e scultrice lituana naturalizzata italiana si ritrae mentre compone un'epistola al marito Mario Mafai, è il segno di una cucitura che lega insieme due vecchie opere dell’artista. L’esigenza dell’espressione spinge “la sorellina di latte di Chagall”, come Roberto Longhi definì Raphaël, a tagliare addirittura i propri lavori per restituirci, attraverso una poetica dell’est Europa fatta di di cromie eccentriche che spaziano dal viola al turchese, un frammento di vita estremamente soggettivo, l’urgenza di realizzare una tela di grandi dimensioni per rivolgersi all’amato.
Il ritratto con lettera è solo uno dei 130 capolavori che arricchiscono la bella mostra che dal 6 luglio al 2 febbraio ripercorre alla Galleria d’Arte Moderna di Roma una delle stagioni più originali della cultura artistica italiana della prima metà del XX secolo. All’espressionismo degli anni Venti-Quaranta, esperienza estetica e poetica a cavallo fra le due guerre, è dedicato il percorso L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano, ideato in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025). Promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, il progetto espositivo è curato da Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta.


Scipione (Gino Bonichi), Il Cardinal Decano, 1930, Olio su tavola, 133.7 x 117.3 cm, Roma, Galleria d’Arte Moderna

Ospiti d’eccezione, per la prima volta nella capitale, le opere provenienti dalla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, oltre che dai Musei di Villa Torlonia, dalla Casa Museo Alberto Moravia.
Specializzata non solo nell’arte contemporanea, ma anche nell’arte italiana tra le due guerre, la collezione Iannaccone, nata dalla passione collezionistica di Giuseppe Iannaccone, unica nel panorama italiano e internazionale, illustra la stagione dell’espressionismo italiano degli anni Venti-Quaranta, con una predilezione per quei gruppi che hanno costruito una proposta artistica “neoromantica” alternativa e successiva alla stagione neo-classica del Novecento sarfattiano e di Valori Plastici.

“Siamo in un momento storico in cui l’arte era imposta e doveva guardare solo all’Italia - spiega Daniele Fenaroli, curatore della Collezione Iannaccone -. I nostri artisti hanno avuto la lungimiranza di guardare all’estero, alla Spagna, alla Germania, e sono riusciti a raccontare la storia veritiera dell’Italia. Si tratta di una parentesi unica, di un racconto di arte libera”.


Mario Mafai, Tramonto sul lungotevere,1929, Olio su compensato, 50.8 x  41.3 cm | Foto: © Studio Vandrasch | Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

Un linguaggio spiccatamente antiaccademico, incentrato sulla trascrizione del dato soggettivo interiore, un’idea di forma deviante rispetto al canone “classico” di bellezza, prende vita attraverso la Galleria. Questi protagonisti prendono le distanze dalla rappresentazione asettica delle cose, dalla mera “trascrizione” del dato percepito dai sensi, concentrandosi piuttosto, nei loro dipinti, sull’esternazione delle proprie visioni interiori, sull’“interpretazione” di quel dato. D’altra parte il termine Espressionismo affonda le radici nel latino exprimĕre da "ex" e "premĕre", cioè, "premere fuori, spremere, esternare attraverso il filtro soggettivo". In questo modo il Cardinal Decano rappresentato da Scipione assiso su uno scranno con sullo sfondo una Piazza san Pietro che si colora di tinte apocalittiche diventa una sorta di visione. Nella stessa sala che apre il percorso, dove la capitale è protagonista, le vedute di Roma diventano visioni dai cieli rossastri e i toni apocalittici.
Le trasformazioni urbanistiche degli anni Trenta con una via della Conciliazione in costruzione rendono la città simile a una natura morta che si decostruisce per ricrearsi di nuovo. Se Antonietta Raphaël ci trasporta in una Roma sognante, De Pisis sfoggia una poetica del colore mettendo a punto un scrittura fatta di piccoli tocchi, come è evidente nella rappresentazione del Foro Bonaparte di Milano.
Ci sono gli strumenti abbandonati di Fausto Pirandello, avvolti da una luce fioca, come era la libertà di quegli anni, in attesa di un nuovo ritorno. Un lessico disfatto trascrive emozioni. Nell’arte di Afro un liuto suona nella rappresentazione idealizzata. Forme deformanti e colori ribelli, aggressivi e spregiudicati, offrono alle idee un adeguato strumento linguistico. Non passa inosservata in mostra la tela di Alberto Ziveri che decide di dedicare una scena al gioco dei birilli. Siamo nel 1934, un’epoca decisamente inadatta ai colori sgargianti e agli allegri personaggi in calzoncini intenti a giocare. Il totale scollamento dal contesto diventa ancora più evidente nel Postribolo dove Ziveri dipinge una storia veritiera di quegli anni, non più appannaggio di un classicismo ricercato. L’opera viene accostata accezionalmente ad alcuni disegni preparatori della GAM.


Arnaldo Badodi, Caffè, 1940, Olio su compensato, 58 x 48 cm | Foto: © Studio Vandrasch | Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

Dal primo piano della Galleria romana, popolato dal crudo realismo di una carnalità pesante, priva di idealizzazione, con i pennelli della Scuola di via Cavour e di alcune delle personalità che via via hanno definito variamente la “scuola romana”, il percorso prosegue al secondo piano dove protagonista è la città di Torino con il Gruppo dei Sei. Questa “pattuglia giovane di anni e giovane di spirito” riunita attorno al carisma di Felice Casorati e alle personalità di Edoardo Persico e Lionello Venturi viene presentata in mostra attraverso le opere di Chessa, Galante, Levi, Menzio, e di artisti come Spazzapan e Sobrero, con la loro pittura di chiara ispirazione “francofona”, incentrata sul colore, ispirata dalle ricerche impressioniste e postimpressioniste d’oltralpe. In Carlo Levi la linea viene meno per lasciare spazio al colore, come si evince dal gruppo di ritratti con le mani arrossate. Questa sezione sfodera anche le due più recenti acquisizioni della Collezione Giuseppe Iannaccone, gli oli su tela, entrambi del 1929, Nudo sdraiato di Gigi Chessa e Figura in blu (e vaso verde) di Francesco Menzio.

Dalla forza compulsiva del colore anarchico ed eccentrico, estraneo ad ogni partitura naturalista, si approda all’ultima tappa del percorso espositivo. A introdurlo è il Nudo in piedi di Lucio Fontana del 1939, scultura in gesso dipinto e cera attraverso cui l'artista sperimenta la ricerca umana e la costruzione coloristica attraverso la cera. Chiude il percorso il gruppo Corrente, protagonista dal 1938, a Milano, di un vigoroso e appassionato espressionismo lirico. Il gruppo di giovani artisti coordinati da Edoardo Persico (Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti e molti altri come Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore, Franchina, che partecipano più o meno assiduamente alle attività della rivista e della Bottega omonime) esprimono una pittura inquieta ed emozionata, capace di parlare alla gente di cose vive. Bellissimi i ritratti che Guttuso dedica agli intellettuali Mario Alicata, Antonio Santangelo che vivono il dolore del loro tempo, come anche i circhi, le ballerine, i biliardi e i caffè, i ginecei di Arnaldo Badodi. Siamo intorno agli anni Quaranta e, ci informano gli artisti, attori e saltimbanchi riescono a essere se stessi solo dentro la scena, per poi precipitare, nella vita vera, nel silenzio e nella rassegnazione.
Sembra di intravedere i personaggi di James Ensor, nella grande commedia umana popolata da maschere dove la pittura resta l'ultimo strumento di opposizione.


Emilio Sobrero, Colosseo, 1927-1935, Olio su tela, 89 x 68 cm, Roma, Galleria d’Arte Moderna

Lo sguardo si posa sulla monumentale Battaglia dei tre cavalieri di Aligi Sassu, denuncia dell’inutilità della guerra.

Le novità della Galleria d'arte moderna proseguono en plein air con un’installazione ambientale che dialoga con il complesso monumentale dell’ex monastero di San Giuseppe a Capo le Case, sede della Galleria. Laura VdB Facchini ha studiato a lungo l'ex convento delle Carmelitane Scalze a San Giuseppe a Capo le Case, effettuando una lettura accurata dello spazio, dei colori e della luce. Il risultato è un’installazione site-specific, un gigantesco ricamo, lavorato e intrecciato annodando strisce di polietilene bianco e trasparente, ispirato al ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo contesto e che in una parte del complesso monumentale ancora sono presenti.

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