Federico Perin. LIMINALE
Courtesy Federico Perin
Dal 7 November 2025 al 5 December 2025
Villorba | Treviso
Luogo: Casa Funeraria Ivan Trevisin
Indirizzo: Viale G. G. Felissent 58
Orari: Lun - Sab 8.30 - 18 | Dom e Festivi 9 - 12
Telefono per informazioni: +39 0422 1283179
E-Mail info: info@ivantrevisin.it
Sito ufficiale: http://www.ivantrevisin.it
La scelta del luogo non è mai casuale. Ho voluto portare il mio lavoro in una casa funeraria perché questo spazio moderno, porta con sé un peso simbolico impossibile da ignorare. Il memento mori non è più un tema iconografico da rappresentare - è il pavimento su cui camminiamo, l'aria che respiriamo mentre guardiamo le opere.
La Morte del Colore come Principio Fisico
Lavoro con una resina cristallina che tiene in sospensione pigmenti in polvere. È una lunga preparazione che si esaurisce in un attimo, in un gesto. Non è solo una scelta estetica: la resina è un legante fluido che cristallizza il momento dell'incontro tra due colori. Ma cosa vediamo davvero quando guardiamo un quadro? La fisica ci insegna che percepiamo solo ciò che la superficie rigetta, rifiuta, respinge verso i nostri occhi. È letteralmente la morte del colore: ciò che vediamo è ciò che l'opera espelle.
Van Gogh conosceva perfettamente questa teoria. Studiava i trattati sul colore con la stessa intensità con cui mescolava i pigmenti. Anche lui "uccideva" i colori allo stesso modo - li respingeva verso di noi. Ogni quadro è dunque una lapide cromatica, un epitaffio visivo per pigmenti che muoiono nell'atto stesso di mostrarsi.
Il Blu che Scalda: Oltre gli Stereotipi
Qui entra in gioco uno degli aspetti più significativi del mio lavoro: utilizzo il blu egiziano, un pigmento antico quanto la civiltà stessa. Tutti lo classificherebbero come "colore freddo" - è uno degli stereotipi più radicati nella percezione cromatica. Ma la chimica rivela un paradosso straordinario: quando questo blu viene irradiato con luce LED, priva di raggi infrarossi, il pigmento stesso emette raggi infrarossi a bassa intensità, benevoli per il corpo umano.
Il blu che dovrebbe raffreddare, in realtà scalda. Il colore considerato distante, diventa presenza fisica, calore misurato scientificamente. Cade così uno degli stereotipi fondamentali: il blu non è detto che sia freddo. Come nella chimica dei colori, anche la chimica delle interazioni umane è influenzabile da vari aspetti e contesti. Nulla è dato per scontato, tutto dipende dalle condizioni, dall'ambiente, dalla luce che scegliamo di proiettare.
Il Confine Liminale
Ogni opera presenta l'incontro - o lo scontro - tra due colori. Il loro confine di mescolanza è il punto liminale: quella soglia dove un'entità cessa di essere se stessa per diventare altro, o forse per diventare entrambe le cose insieme. È un conflitto, sì, ma anche un gioco, una danza tra pigmenti sospesi in un medium che li tiene eternamente in bilico. Il limen latino è la soglia della casa, lo spazio tra dentro e fuori. In una casa funeraria, diventa la soglia tra vita e morte. I miei colori abitano questo spazio intermedio, rifiutano di scegliere, esistono nella sospensione - letteralmente, chimicamente, filosoficamente.
Wilde come Epitaffio: Quando il Linguaggio Seppellisce
In una serie di opere ho scelto di inserire una frase “strappata dalla prefazione de Il ritratto di Dorian Gray. Wilde sosteneva che l'arte è completamente inutile, che non ha fini morali e deve esistere solo per la propria bellezza. L'artista, scriveva, deve celare se stesso e rivelare solo l'arte.
Ma nel contesto di una casa funeraria, queste frasi diventano epitaffi. Sono come iscrizioni su lapidi che commemorano la morte dell'arte ogni volta che il linguaggio cerca di circoscriverla, di definirla, di costringerla entro confini concettuali. Le parole di Wilde - che volevano liberare l'arte dalla morale vittoriana - qui diventano gabbie, tentano di fermare ciò che è fluido, di nominare ciò che sfugge alla nomenclatura. È il paradosso che mi interessa: l'arte sembra morta e il quadro diventa una lapide per i colori. Ma è davvero morta, o è il linguaggio che la uccide ogni volta che prova a spiegarla?
Il Contesto come Opera Totale
Il contesto gioca un ruolo fondamentale nella comprensione dell'opera d'arte. È una verità che l'arte contemporanea ha esplorato in ogni modo possibile, ma che qui assume un peso letterale, quasi brutale. Fuori da questo spazio - immaginate le stesse opere in una galleria convenzionale, in un museo, in un salotto borghese - assumerebbero significati completamente diversi. Potrebbero essere lette come esercizi formali, ricerche sul colore, minimal painting.
È il gioco dell'artista: sapere che l'opera non ha un significato fisso, ma molteplici vite possibili. Duchamp l'aveva capito quando mise un orinatoio in una galleria. Io metto quadri in una casa funeraria. Il ready-made non è l'oggetto - è il gesto di spostarlo, di ri-contestualizzarlo.
Contro la Categorizzazione
I colori giocano, si mescolano, si rifiutano di stare fermi nelle loro categorie. Il blu che scalda invece di raffreddare è la prova vivente che chiunque voglia costringere a categorizzare i colori non li comprende appieno. La realtà chimica, fisica, percettiva è molto più complessa e sfuggente di qualsiasi schema.
Lo stesso vale per le relazioni umane, per i significati che attribuiamo alle cose, per i confini che tracciamo tra vita e morte, arte e non-arte, caldo e freddo. Tutto dipende dal contesto, dalla luce che proiettiamo, dallo spazio in cui scegliamo di collocarci.
L'Inutilità Necessaria
Torno a Wilde: "Tutta l'arte è completamente inutile". In una casa funeraria, questa affermazione risuona con un'eco particolare. Cos'è più inutile dell'arte di fronte alla morte? Eppure, è proprio questa inutilità che la rende necessaria.
I miei quadri non consolano, non spiegano, non offrono risposte. Stanno lì, sospesi come i pigmenti nella resina, esistono nel loro essere puramente visivo.
L'opera esiste solo nel momento dello sguardo, in quel punto liminale tra l'occhio dello spettatore e la superficie del quadro, tra la vita di chi guarda e la morte del pigmento che si rivela morendo. È un incontro breve, fugace, irripetibile - come ogni incontro umano, in fondo.
LIMINALE non è una mostra che cerca di piacere o di scandalizzare. È un invito a sostare sulla soglia, a non attraversarla troppo in fretta, a piegarsi con rispetto come suggeriva Carlo Scarpa, osservare cosa succede quando i confini diventano porosi, quando le categorie si dissolvono, quando il blu diventa caldo e il linguaggio tace di fronte al colore. È il mio modo di dire che l'arte, come la vita, esiste negli spazi intermedi - e che forse è proprio lì che dovremmo imparare ad abitare con i colori.
Federico Perin
La Morte del Colore come Principio Fisico
Lavoro con una resina cristallina che tiene in sospensione pigmenti in polvere. È una lunga preparazione che si esaurisce in un attimo, in un gesto. Non è solo una scelta estetica: la resina è un legante fluido che cristallizza il momento dell'incontro tra due colori. Ma cosa vediamo davvero quando guardiamo un quadro? La fisica ci insegna che percepiamo solo ciò che la superficie rigetta, rifiuta, respinge verso i nostri occhi. È letteralmente la morte del colore: ciò che vediamo è ciò che l'opera espelle.
Van Gogh conosceva perfettamente questa teoria. Studiava i trattati sul colore con la stessa intensità con cui mescolava i pigmenti. Anche lui "uccideva" i colori allo stesso modo - li respingeva verso di noi. Ogni quadro è dunque una lapide cromatica, un epitaffio visivo per pigmenti che muoiono nell'atto stesso di mostrarsi.
Il Blu che Scalda: Oltre gli Stereotipi
Qui entra in gioco uno degli aspetti più significativi del mio lavoro: utilizzo il blu egiziano, un pigmento antico quanto la civiltà stessa. Tutti lo classificherebbero come "colore freddo" - è uno degli stereotipi più radicati nella percezione cromatica. Ma la chimica rivela un paradosso straordinario: quando questo blu viene irradiato con luce LED, priva di raggi infrarossi, il pigmento stesso emette raggi infrarossi a bassa intensità, benevoli per il corpo umano.
Il blu che dovrebbe raffreddare, in realtà scalda. Il colore considerato distante, diventa presenza fisica, calore misurato scientificamente. Cade così uno degli stereotipi fondamentali: il blu non è detto che sia freddo. Come nella chimica dei colori, anche la chimica delle interazioni umane è influenzabile da vari aspetti e contesti. Nulla è dato per scontato, tutto dipende dalle condizioni, dall'ambiente, dalla luce che scegliamo di proiettare.
Il Confine Liminale
Ogni opera presenta l'incontro - o lo scontro - tra due colori. Il loro confine di mescolanza è il punto liminale: quella soglia dove un'entità cessa di essere se stessa per diventare altro, o forse per diventare entrambe le cose insieme. È un conflitto, sì, ma anche un gioco, una danza tra pigmenti sospesi in un medium che li tiene eternamente in bilico. Il limen latino è la soglia della casa, lo spazio tra dentro e fuori. In una casa funeraria, diventa la soglia tra vita e morte. I miei colori abitano questo spazio intermedio, rifiutano di scegliere, esistono nella sospensione - letteralmente, chimicamente, filosoficamente.
Wilde come Epitaffio: Quando il Linguaggio Seppellisce
In una serie di opere ho scelto di inserire una frase “strappata dalla prefazione de Il ritratto di Dorian Gray. Wilde sosteneva che l'arte è completamente inutile, che non ha fini morali e deve esistere solo per la propria bellezza. L'artista, scriveva, deve celare se stesso e rivelare solo l'arte.
Ma nel contesto di una casa funeraria, queste frasi diventano epitaffi. Sono come iscrizioni su lapidi che commemorano la morte dell'arte ogni volta che il linguaggio cerca di circoscriverla, di definirla, di costringerla entro confini concettuali. Le parole di Wilde - che volevano liberare l'arte dalla morale vittoriana - qui diventano gabbie, tentano di fermare ciò che è fluido, di nominare ciò che sfugge alla nomenclatura. È il paradosso che mi interessa: l'arte sembra morta e il quadro diventa una lapide per i colori. Ma è davvero morta, o è il linguaggio che la uccide ogni volta che prova a spiegarla?
Il Contesto come Opera Totale
Il contesto gioca un ruolo fondamentale nella comprensione dell'opera d'arte. È una verità che l'arte contemporanea ha esplorato in ogni modo possibile, ma che qui assume un peso letterale, quasi brutale. Fuori da questo spazio - immaginate le stesse opere in una galleria convenzionale, in un museo, in un salotto borghese - assumerebbero significati completamente diversi. Potrebbero essere lette come esercizi formali, ricerche sul colore, minimal painting.
È il gioco dell'artista: sapere che l'opera non ha un significato fisso, ma molteplici vite possibili. Duchamp l'aveva capito quando mise un orinatoio in una galleria. Io metto quadri in una casa funeraria. Il ready-made non è l'oggetto - è il gesto di spostarlo, di ri-contestualizzarlo.
Contro la Categorizzazione
I colori giocano, si mescolano, si rifiutano di stare fermi nelle loro categorie. Il blu che scalda invece di raffreddare è la prova vivente che chiunque voglia costringere a categorizzare i colori non li comprende appieno. La realtà chimica, fisica, percettiva è molto più complessa e sfuggente di qualsiasi schema.
Lo stesso vale per le relazioni umane, per i significati che attribuiamo alle cose, per i confini che tracciamo tra vita e morte, arte e non-arte, caldo e freddo. Tutto dipende dal contesto, dalla luce che proiettiamo, dallo spazio in cui scegliamo di collocarci.
L'Inutilità Necessaria
Torno a Wilde: "Tutta l'arte è completamente inutile". In una casa funeraria, questa affermazione risuona con un'eco particolare. Cos'è più inutile dell'arte di fronte alla morte? Eppure, è proprio questa inutilità che la rende necessaria.
I miei quadri non consolano, non spiegano, non offrono risposte. Stanno lì, sospesi come i pigmenti nella resina, esistono nel loro essere puramente visivo.
L'opera esiste solo nel momento dello sguardo, in quel punto liminale tra l'occhio dello spettatore e la superficie del quadro, tra la vita di chi guarda e la morte del pigmento che si rivela morendo. È un incontro breve, fugace, irripetibile - come ogni incontro umano, in fondo.
LIMINALE non è una mostra che cerca di piacere o di scandalizzare. È un invito a sostare sulla soglia, a non attraversarla troppo in fretta, a piegarsi con rispetto come suggeriva Carlo Scarpa, osservare cosa succede quando i confini diventano porosi, quando le categorie si dissolvono, quando il blu diventa caldo e il linguaggio tace di fronte al colore. È il mio modo di dire che l'arte, come la vita, esiste negli spazi intermedi - e che forse è proprio lì che dovremmo imparare ad abitare con i colori.
Federico Perin
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