Dal 7 dicembre al 4 marzo
Voglia di Italia: Roma, una coppia statunitense e la passione per il collezionismo internazionale
John Singer Sargent, At Torre Galli. Ladies in a Garden, 1910, olio su tela, 91.5 x 71.1 cm, Londra, The Royal Academy of Arts
Samantha De Martin
13/12/2017
Roma - Quando George Wurst ed Henrietta Tower rientrarono in Italia dopo il loro viaggio di nozze, stabilendosi tra Palazzo Antici Mattei e Villa Sciarra, Roma stava definitivamente cambiando volto. Questo processo di radicale trasformazione che vedeva nel Vittoriano - e nell’esposizione internazionale del 1911 - la sua massima espressione, dovette essere percepito dai due coniugi - giovane diplomatico originario di Philadelphia, con la passione per il collezionismo lui, ricca ereditiera di una delle famiglie emergenti di Philadelphia lei - e fu allo stesso tempo incrementato grazie all’evergetismo di questa ricca coppia innamorata dell’arte. Basti pensare al denaro versato da George Wurst per la costruzione della chiesa di San Paolo entro le mura.
Fino al 4 marzo, Palazzo Venezia e le Gallerie Sacconi del Vittoriano svelano al pubblico - per la prima volta in modo organico - la vastissima raccolta che i coniugi Wurst misero insieme tra il XIX e il XX secolo e che poi donarono allo Stato italiano, per l’esattezza al museo di Palazzo Venezia, dove tuttora è conservata.
Alla base della mostra - che illumina i visitatori sulle dinamiche del collezionismo, soprattutto anglo-americano, e sul mercato internazionale, sullo sfondo dei radicali cambiamenti vissuti in quegli anni dalla giovane nazione italiana e dalla sua nuova capitale - vi è comunque anche la volontà di restituire il contesto di questa preziosa raccolta. E cioè quella particolare forma di collezionismo che tra Ottocento e Novecento fu intimamente connesso all’Italia.
Tuttavia nella collezione Wurts l’acquisto dei pezzi era fortemente connesso a una questione di rappresentanza e soprattutto di vicenda biografica. Il forte legame tra collezionismo e diplomazia, infatti, lasciava quasi immaginare che l’accumulare oggetti d’arte fosse un elemento connaturato alla carica.
Come una mappa o un diario che racchiude luoghi e città attraversati dal diplomatico nel corso della sua carriera, la collezione Wurts - costruita proprio attraverso l’acquisto di oggetti rappresentativi dei paesi in cui George aveva lavorato - rappresenta lo specchio della vivacità del mercato antiquario italiano e internazionale del tempo.
Oltre alle balalaike e agli abiti popolari, alle statuette in bronzo raffiguranti ussari a cavallo, alle stoffe finemente decorate, ai paraventi laccati e ai piccoli netsuke - sculture tradizionali giapponesi, di solito in avorio o in legno - la collezione Wurst racchiude soprattutto oggetti per arredare la casa. Pezzi orientali in prevalenza giapponesi, porcellane e bronzi di varia datazione e provenienza, cofanetti in avorio, strumenti musicali, piatti, disposti secondo un criterio di horror vacui tipico di molte collezioni di quegli anni, davano forma e una vera e propria dimora-museo. In questa sorta di Wunderkammer, gli oggetti esposti, curiosi e disparati, continuano a invitare l’osservatore alla meraviglia.
E anche se non si hanno sufficienti notizie circa la provenienza e l’acquisto da parte di Wurst degli oggetti da collezione, è certo che se il tondo del Della Robbia figura accanto alla balalaika, questa collezione, priva un criterio tematico, rispondeva piuttosto alla volontà di acquisire qualcosa di tipicamente italiano. Come i merletti o i vetri di Murano, le scatole in pastiglia, le maioliche, i cassoni e le sedie.
Quando il 25 gennaio del 1928 George Wurts morì a Roma, Villa Sciarra venne donata al Comune con l’esplicita clausola che ne venisse fatto un centro di studi germanici. Cinque anni più tardi, nel 1933, alla morte di Henrietta Tower Wurts, il suo testamento, oltre a disporre la vendita di diamanti e gioielli, prevedeva la donazione allo Stato italiano di quella collezione di curiosità, che la donna riconduceva all’opera del marito, dimostrando poca o nessuna responsabilità nella sua costruzione. Queste e altre interessanti notizie emergono dal denso e illuiminante saggio, in cui lo storico dell’arte Emanuele Pellegrini, che è anche il curatore della mostra, si sofferma sugli aspetti di questa collezione, sui motivi che l’hanno generata, sugli oggetti che la caratterizzano.
Il percorso espositivo, caratterizzato da “due anime” che si compensano e si completano, e che si sviluppa anche in ambienti solitamente non accessibili al pubblico e appena restaurati, vede Palazzo Venezia ospitare le opere più significative della raccolta - portate fuori dai depositi, studiate e restaurate per l’occasione - e le Gallerie Sacconi del Vittoriano ripercorrere il contesto entro cui maturò la passione dei Wurst per il collezionismo.
Ad enfatizzare questo ponte poetico, questo dialogo astratto tra i due palazzi dirimpettai, che condividono l’affaccio su Piazza Venezia, la coreografia di luci descritta da un faro al centro del Vittoriano, che si accende dal calar del sole, quasi a voler richiamare il pubblico all’appuntamento con l’arte che lega i due storici edifici.
Un mondo fatto di aste e di mercanti emerge con vigore assieme agli oggetti provenienti da prestigiosi musei e collezioni private italiane ed estere - oltre che dal Museo di Palazzo Venezia - dalla terracotta invetriata di Luca Della Robbia, alla Madonna col Bambino di Lorenzetti, dal Paravento giapponese di De Nittis a una copia romana del Ritratto di Socrate e ancora agli arazzi, ai pannelli laccati realizzati da artisti giapponesi.
Come ha sottolineato la direttrice del Polo, Edith Gabrielli «La mostra si pone come un momento chiave nella strategia del Polo Museale del Lazio. Rigorosamente site-specific e contraddistinta da un rimarchevole impegno culturale, sottolinea il rientro nel circuito del grande pubblico di Palazzo Venezia e del Vittoriano».
Leggi anche:
• Voglia di Italia. Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano
• A Palazzo Venezia una nuova luce brilla sulle fatiche di Ercole
Fino al 4 marzo, Palazzo Venezia e le Gallerie Sacconi del Vittoriano svelano al pubblico - per la prima volta in modo organico - la vastissima raccolta che i coniugi Wurst misero insieme tra il XIX e il XX secolo e che poi donarono allo Stato italiano, per l’esattezza al museo di Palazzo Venezia, dove tuttora è conservata.
Alla base della mostra - che illumina i visitatori sulle dinamiche del collezionismo, soprattutto anglo-americano, e sul mercato internazionale, sullo sfondo dei radicali cambiamenti vissuti in quegli anni dalla giovane nazione italiana e dalla sua nuova capitale - vi è comunque anche la volontà di restituire il contesto di questa preziosa raccolta. E cioè quella particolare forma di collezionismo che tra Ottocento e Novecento fu intimamente connesso all’Italia.
Tuttavia nella collezione Wurts l’acquisto dei pezzi era fortemente connesso a una questione di rappresentanza e soprattutto di vicenda biografica. Il forte legame tra collezionismo e diplomazia, infatti, lasciava quasi immaginare che l’accumulare oggetti d’arte fosse un elemento connaturato alla carica.
Come una mappa o un diario che racchiude luoghi e città attraversati dal diplomatico nel corso della sua carriera, la collezione Wurts - costruita proprio attraverso l’acquisto di oggetti rappresentativi dei paesi in cui George aveva lavorato - rappresenta lo specchio della vivacità del mercato antiquario italiano e internazionale del tempo.
Oltre alle balalaike e agli abiti popolari, alle statuette in bronzo raffiguranti ussari a cavallo, alle stoffe finemente decorate, ai paraventi laccati e ai piccoli netsuke - sculture tradizionali giapponesi, di solito in avorio o in legno - la collezione Wurst racchiude soprattutto oggetti per arredare la casa. Pezzi orientali in prevalenza giapponesi, porcellane e bronzi di varia datazione e provenienza, cofanetti in avorio, strumenti musicali, piatti, disposti secondo un criterio di horror vacui tipico di molte collezioni di quegli anni, davano forma e una vera e propria dimora-museo. In questa sorta di Wunderkammer, gli oggetti esposti, curiosi e disparati, continuano a invitare l’osservatore alla meraviglia.
E anche se non si hanno sufficienti notizie circa la provenienza e l’acquisto da parte di Wurst degli oggetti da collezione, è certo che se il tondo del Della Robbia figura accanto alla balalaika, questa collezione, priva un criterio tematico, rispondeva piuttosto alla volontà di acquisire qualcosa di tipicamente italiano. Come i merletti o i vetri di Murano, le scatole in pastiglia, le maioliche, i cassoni e le sedie.
Quando il 25 gennaio del 1928 George Wurts morì a Roma, Villa Sciarra venne donata al Comune con l’esplicita clausola che ne venisse fatto un centro di studi germanici. Cinque anni più tardi, nel 1933, alla morte di Henrietta Tower Wurts, il suo testamento, oltre a disporre la vendita di diamanti e gioielli, prevedeva la donazione allo Stato italiano di quella collezione di curiosità, che la donna riconduceva all’opera del marito, dimostrando poca o nessuna responsabilità nella sua costruzione. Queste e altre interessanti notizie emergono dal denso e illuiminante saggio, in cui lo storico dell’arte Emanuele Pellegrini, che è anche il curatore della mostra, si sofferma sugli aspetti di questa collezione, sui motivi che l’hanno generata, sugli oggetti che la caratterizzano.
Il percorso espositivo, caratterizzato da “due anime” che si compensano e si completano, e che si sviluppa anche in ambienti solitamente non accessibili al pubblico e appena restaurati, vede Palazzo Venezia ospitare le opere più significative della raccolta - portate fuori dai depositi, studiate e restaurate per l’occasione - e le Gallerie Sacconi del Vittoriano ripercorrere il contesto entro cui maturò la passione dei Wurst per il collezionismo.
Ad enfatizzare questo ponte poetico, questo dialogo astratto tra i due palazzi dirimpettai, che condividono l’affaccio su Piazza Venezia, la coreografia di luci descritta da un faro al centro del Vittoriano, che si accende dal calar del sole, quasi a voler richiamare il pubblico all’appuntamento con l’arte che lega i due storici edifici.
Un mondo fatto di aste e di mercanti emerge con vigore assieme agli oggetti provenienti da prestigiosi musei e collezioni private italiane ed estere - oltre che dal Museo di Palazzo Venezia - dalla terracotta invetriata di Luca Della Robbia, alla Madonna col Bambino di Lorenzetti, dal Paravento giapponese di De Nittis a una copia romana del Ritratto di Socrate e ancora agli arazzi, ai pannelli laccati realizzati da artisti giapponesi.
Come ha sottolineato la direttrice del Polo, Edith Gabrielli «La mostra si pone come un momento chiave nella strategia del Polo Museale del Lazio. Rigorosamente site-specific e contraddistinta da un rimarchevole impegno culturale, sottolinea il rientro nel circuito del grande pubblico di Palazzo Venezia e del Vittoriano».
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