L’incanto di Orfeo nell’arte di ogni tempo, da Tiziano al contemporaneo
Dal 20 Marzo 2024 al 08 Settembre 2024
Firenze
Luogo: Palazzo Medici Riccardi
Indirizzo: Via Cavour 9
Orari: ore 9-19. Mercoledì chiuso. La biglietteria e il Bookshop chiudono alle 18
Curatori: Sergio Risaliti e Valentina Zucchi
Costo del biglietto: intero € 10, ridotto € 7
E-Mail info: info@palazzomediciriccardi.it
Sito ufficiale: http://www.palazzomediciriccardi.it/
Si intitola “L’incanto di Orfeo” la grande mostra - a cura di Sergio Risaliti e Valentina Zucchi, responsabile scientifico di Palazzo Medici Riccardi,nata da un progetto del direttore artistico del Museo Novecento, promossa da Città Metropolitana di Firenze e organizzata da MUS.E - che, a partire dal 20 marzo e fino all'8 settembre 2024, vedrà Palazzo Medici Riccardi ospitare circa 60 opere d’arte dedicate a una delle più importanti e immortali figure del mito classico.
Dipinti e sculture, disegni e manoscritti, installazioni e film, che spaziano dall’antichità ai nostri giorni.
A partire dallo splendido rilievo marmoreo neoattico con Orfeo, Euridice ed Hermes, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che raffigura il secondo e definitivo distacco del cantore dalla sua amata - fonte d’ispirazione per il poeta Rainer Maria Rilke, autore dei ‘Sonetti a Orfeo’ - fino alle opere di Tiziano, Parmigianino, van Honthorst, Bruegel il Vecchio, Rembrandt, Delacroix, Moreau, Redon, Feuerbach, De Chirico, Cocteau, Savinio, Melotti, Twombly e Paladino provenienti da prestigiose istituzioni culturali italiane e internazionali - dalle Gallerie degli Uffizi al Musée du Louvre di Parigi, dal Mart di Trento e Rovereto al Kunsthistorisches Museum e al Belvedere di Vienna, dal MANN e dal Palazzo Reale di Napoli ai Musées de Beaux-arts di Blois e di Marsiglia, dal Museo Nazionale del Bargello all’Accademia Carrara di Bergamo, dal Museo di San Marco alle Biblioteche Laurenziana e Riccardiana di Firenze - oltre che da collezioni private e grazie a una speciale collaborazione con l’Archivio del Teatro del Maggio Fiorentino.
“Siamo immersi nelle realtà virtuali e digitali, si costruiscono sul web città che non esistono (ma fino a un certo punto), veniamo a contatto con avatar. C’è come un assordante rumore di fondo che accompagna le nostre giornate – ha detto Letizia Perini, consigliera della Città Metropolitana delegata alla Cultura - La scelta di aprire uno spazio per contemplare il senso della vita, grazie a una mostra originalissima e unica nel suo genere su L’incanto di Orfeo, porta con sé un messaggio. Quando Orfeo canta, infatti, tutto il mondo si ferma; si arresta quello che gli antichi greci (ma non solo loro) temevano: il divenire, il tempo che cambia le cose. L’incanto di Orfeo ci porta per certi versi sulla soglia sospesa in cui Orfeo e Euridice si guardano per l’ultima volta e poi tutto è affidato alla speranza o, se vogliamo, alla disperazione di potersi ritrovare. Oggi abbiamo bisogno di pause perché tutto ci sollecita continuativamente a non fermarci, a non cogliere l’incanto. Le sessanta opere scelte per l’esposizione in Palazzo Medici Riccardi ci riportano su quella soglia con cui tutti devono fare in qualche modo i conti, magari per ascoltare quel canto che si è addormentato dentro di loro, dentro di noi”.
“Questa mostra è un nuovo, importante progetto che valorizza le meraviglie custodite in Palazzo Medici Riccardi – spiega Valentina Zucchi, responsabile scientifico di Palazzo Medici Riccardi e curatrice della mostra -: è questa la volta del gruppo scultoreo di Orfeo che incanta Cerbero di Baccio Bandinelli, perno visivo del cortile del palazzo e di questa esposizione, che da quest'opera prende avvio e che a lei ritorna, nel canto senza fine del poeta. Il mito di Orfeo, in effetti, attraversa il tempo perché tocca le corde fondanti del nostro essere umano: il viaggio e il pericolo, l'amore e la perdita, il dolore e il coraggio, il desiderio e la paura, la morte, ciò che c'è oltre e ciò che le sopravvive. I mitemi di Orfeo sono gli elementi che accompagnano ciascuno di noi, in cui ritrovarci e su cui interrogarci. Ma sopra tutto questo, il racconto di Orfeo è un inno all'arte, capace di superare ogni ostacolo, di muovere ogni resistenza e di sublimare ogni fragilità: quando Orfeo canta, accompagnato dalla cetra, ammalia uomini e donne, animali selvatici e fiere, alberi di ogni specie, persino le rocce e i fiumi; la sua poesia lascia financo Cerbero con le sue tre bocche spalancate e fa inumidire le guance alle Furie. In un gioco di specchi, è proprio ciò che avviene con questa mostra: le bellissime opere esposte - che spaziano dalla classicità all'oggi, dalla pittura al video - hanno il potere di incantare e di sedurre, conducendo nei meandri di una storia che è anche la nostra storia. I grandi capolavori dell'arte trovano qui il senso pieno del loro esserci; e anche noi, qui, possiamo trovare un po' di noi”.
“Qualche anno fa con la Città Metropolitana di Firenze e MUS.E si era pensato ad una serie di mostre che nascessero dalla storia e dall’arte di Palazzo Medici. Non poteva mancare a questo punto un progetto con al centro la figura mitica di Orfeo, cantore, musico, filosofo e sapiente, la cui storia ha attraversato i secoli dall’antichità remota ai nostri giorni - dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, a cui si deve il progetto della mostra -. Leggiamo infatti le sue incredibili storie in Virgilio e Ovidio, ne parlano Platone, Boezio, Ficino e Pico della Mirandola, entrambi di casa in questo palazzo nel Quattrocento; ne sono rimasti affascinati Rainer Maria Rilke che scrive i Sonetti ad Orfeo e Jean Cocteau che gli dedica i film, Orfeo e Il testamento di Orfeo. E se non bastasse, dopo Calvino e Bufalino, anche Vecchioni, ai nostri giorni ha scritto una canzone dedicata a Euridice, la sfortunata consorte del poeta che per lei ebbe il coraggio di scendere negli inferi. La sorte è nota: Orfeo disobbedisce all’ordine di Ade e Proserpina e si volta a guardare Euridice, che immediatamente svanisce, rapita di nuovo dal nero Erebo. Queste sono le mostre che amiamo e riteniamo utili a un’esperienza alta e profonda dell’arte: sono viaggi nel tempo e nello spazio delle arti, percorsi iniziatici alla comprensione dell’attualità sempiterna del mito. Questa di Orfeo è una storia di amore e di ombre, di divieti crudeli e dilanianti passioni, di insostenibile perdita e inconsolabile tristezza, ma è pure la favola che nasconde misteri esoterici e indicazioni sapienziali. Le opere bellissime di Tiziano e di Rembrandt, di Savinio e de Chirico, quelle di Feuerbach e di Redon, di Moreau e di Delacroix, dialogano con le moderne rinascite di Orfeo a firma di Arturo Martini e Fausto Melotti, di Mimmo Paladino e Cy Twombly. Insieme ci ricordano che Orfeo non muore e che il suo canto continua a incantare i cuori degli amanti, degli animali e delle piante. A Firenze, a Palazzo Medici, la sua storia e la sua figura hanno avuto un ruolo importante alla pari di quelle di Ercole, David e Giuditta. Ne sono lampante testimonianza la formella di Luca della Robbia per il Campanile di Giotto e la statua di Orfeo nel cortile di questo palazzo. Perfino Cosimo I de’ Medici volle farsi ritrarre da Agnolo Bronzino nelle vesti di Orfeo, cioè come portatore di pace e armonia nel mondo. Al sostanziale connubio di Orfeo con il mondo della musica e della poesia saranno altresì dedicati una serie di concerti e reading poetici nei mesi estivi. Perché dire Orfeo è recitar cantando. Pensiamo a Monteverdi, Gluck e poi a Stravinskij e a tanti altri compositori che hanno saputo far rinascere l’Incanto di Orfeo e le sue dolcissime, dolenti note nel corso dei secoli”.
Una mostra che affonda le radici nei tempi più antichi del mito e ruota attorno alla figura multiforme e metamorfica di Orfeo, poeta, musico e cantore, compagno di viaggio degli Argonauti, sposo prima infelice e poi disperato di Euridice, inconsolabile vedovo dilaniato dalle Baccanti.
La sua figura domina e risplende in Palazzo Medici Riccardi: il progetto espositivo nasce infatti dalla presenza del meraviglioso gruppo marmoreo di Orfeo che incanta Cerbero di Baccio Bandinelli - un tempo accompagnato da una lira - nel cortile principale del palazzo di via Larga, dedicando un’attenzione particolare al suo risalto a Firenze e dispiegando fra le sale le vicende del mito. Orfeo è stato infatti soggetto privilegiato dell’arte e della cultura fiorentina a fianco delle emblematiche figure di Ercole, David e Giuditta; presente già nel Quattrocento in una delle formelle di Luca della Robbia del Campanile di Giotto, il figlio della musa Calliope e del re della Tracia Eagro (o di Apollo, secondo altre versioni del mito) ebbe un posto di particolare rilievo nello studio e nell’interpretazione della classicità in età rinascimentale, con sottolineature letterarie, filosofiche e politiche. Tale interesse - che si sviluppò proprio intorno a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo il Magnifico grazie agli artisti, ai letterati, ai pensatori e ai poeti vicini ai Medici - è testimoniato da una molteplicità di opere.
A questa straordinaria stagione di filologia e di sperimentazione delle arti e delle lettere risale per esempio la teatrale Fabula di Orpheo di Agnolo Poliziano, stretto amico del Magnifico e traduttore in latino anche delle Argonautiche orfiche, presente in mostra grazie a un prezioso esemplare di entourage mediceo(Biblioteca Riccardiana), affiancato peraltro da una raffinata silloge miniata degli Inni orfici del Quattrocento maturo, segno dell’interesse culturale e religioso maturato nello stesso periodo in ambito neoplatonico.Furono Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino a riconoscere in Orfeo uno dei padri fondatori della prisca philosophia - incrocio sapienziale di teologia, filosofia e poesia - e a dedicarsi alla lettura sia degli Inni Orfici che delle fonti antiche, tra cui Virgilio e Ovidio, oltre a Platone, interpreti e divulgatori classici delle vicende di Orfeo dopo le prime più frammentarie testimonianze (basti pensare ai riferimenti dei grandi Eschilo ed Euripide). Il richiamo di Orfeo nell’entourage mediceo riemerse agli inizi del Cinquecento quando il colto papa Leone X, grazie all’intermediazione del cardinale Giulio de’ Medici, governatore di Firenze, commissionò a Baccio Bandinelli la statua oggi conservata nel cortile del palazzo, perno di questa mostra, emblema di pacificazione e concordia nel delicato clima di restaurazione medicea in città. Perfino Cosimo I de’ Medici non sfuggì al fascino di Orfeo e volle farsi ritrarre da Agnolo Bronzino nelle sue vesti, trasferendo idealmente su di sé il potere ammaliatore e civilizzatore appartenuto al poeta tracio. Già Ovidio ci racconta infatti che il suo canto, accompagnato dalla sua kithara, riuscisse ad ammaliare gli animi delle fiere, gli alberi ma anche ad attirare a sé le pietre, conducendo ad armonia e soavità l’intero mondo terreno: non è un caso che fra le sue prime imprese, narrate da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, Orfeo riesca a incantare financo le Sirene, e che persino le Furie sentirono per la prima volta inumidirsi le guance per il suo canto.
Vicino al dio Apollo - a lui si deve il dono della preziosa lira - Orfeo è sin dalle origini prossimo anche a Dioniso e ai culti misterici, conoscitore dei segreti della natura e dell’anima, aderente al mondo conio e ai suoi misteri, in grado persino di attraversarne le viscere: lo si descrive come psicopompo, essendosi addentrato nel regno delle tenebre per cantare davanti a Ade e Persefone, con la preghiera di riportare in vita la sua sposa Euridice.
La definitiva perdita di Euridice sulla soglia della luce, non avendo resistito a rivolgerle lo sguardo, è fra le immagini più note della civiltà occidentale, infinitamente rappresentata e interpretata: è qui utile ricordare che Euridice, il melodramma musicato da Jacopo Peri e da Giulio Caccini su libretto di Ottavio Rinuccini e il cui libretto è esposto in mostra, venne messo in scena la prima volta a Palazzo Pitti nel 1600, in occasione dei festeggiamenti tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia; tutti i critici sono concordi a ravvisare in queste forme di poemi cantati gli albori della grande opera lirica che culminerà con l’Orfeo di Gluck nel Settecento. L’eco di questo evento fu tanto grande da ispirare celebri sculture dedicate a Orfeo, tra cui l’ammiratissima opera di Pierre de Franqueville, realizzata per il fiorentino Girolamo Gondi in Francia, poi trasferita nientedimeno che a Versailles e oggi presente in mostra.
Le apparizioni di Orfeo, emblema sublime del potere delle arti ma anche di debolezze, desideri e follie tutte umane, sono proseguite nei secoli: le sue vicende incarnano in effetti i passaggi fondanti della vita, che si dipana fra amore e morte, tra aspirazione e ispirazione, tra accettazione e sfida, tra sublimazione e fallimento. Orfeo è quindi figura complessa e archetipica, cantore e musico ma anche sacerdote di sacri misteri, traghettatore delle anime dal regno dei vivi a quello dei morti; dietro al velo delle sue commoventi parole si nascondono perle di sapienza, verità gnostiche, rivelazioni ermetiche. Egli non muore definitivamente dilaniato e decapitato dalle Baccanti, che non apprezzarono di essere rifiutate dopo la morte di Euridice, perché il mito di Orfeo attraversa il tempo, protagonista assoluto nella musica di Monteverdi e nelle allegorie dipinte barocche, poi nel Settecento e ancora nel Romanticismo, quando si accentuano gli aspetti sublimi dell’amore tra Orfeo e Euridice (è sufficiente apprezzare, in mostra, lo struggente dipinto di Ary Scheffer), assieme a quelli oscuri, tenebrosi della mitica discesa nell’Ade e perturbanti della sua fine violenta per mano delle seguaci di Dioniso; per poi diventare oggetto di interesse con il Simbolismo, suscitando l’ammirazione di Redon e Moreau, e di Apollinaire che farà rinascere Orfismo e Ermetismo a Parigi, patria delle avanguardie del XX secolo.
Non meno fascinazione eserciterà Orfeo su Jean Cocteau, che gli dedicherà molti disegni, un’opera teatrale e soprattutto due film, Orfeo del 1950 e Il testamento di Orfeo del 1959. E dall’orfismo sarà affascinato anche Igor Stravinskij, che nel 1947 comporrà uno struggente Orpheus, affiancato dal coreografo George Balanchine. Un magnetismo a cui cederanno anche artisti come Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, Fausto Melotti ed Ettore Colla, le cui opere sono esposte in mostra, ma anche poeti come il già citato Rilke e Dino Campana, a testimoniare le molteplici rinascite di Orfeo e dell’Orfismo, giunte fino ai nostri tempi visto che Calvino, Pavese, Bufalino si sono cimentati con la sua storia, mentre un cantautore di oggi, Roberto Vecchioni, sembra volerci ricordare che: “ogni volta sempre è Orfeo quando c’è canto” (R.M. Rilke).
La mostra permetterà di ripercorrere e attraversare il mito di Orfeo grazie a una ricca selezione di capolavori dell’arte di ogni tempo, a cominciare dal bellissimo dipinto di Gerrit van Honthorst, assunto a icona della mostra. Fra le sale si snoderanno quindi le sue avventure con gli Argonauti e si diffonde il potere del suo canto, in grado di ammaliare gli animali più vari, fino alla morte di Euridice, morsa dal serpente e pianta dal poeta - esemplificata dai superbi dipinti di Tiziano, Delacroix e Moreau - fino alla scenografica discesa agli Inferi, al successivo ritorno sulla terra (potentissima ne è l’interpretazione di Anselm Feuerbach) e alla seconda perdita dell’amata, al suo ultimo canto e alla furia bestiale delle Baccanti, testimoniata dalla testa decapitata di Orfeo di Odilon Redon.
Alle opere figurative saranno accostati preziosi manoscritti provenienti dalla Biblioteca Riccardiana e dalla Biblioteca Laurenziana - fra cui, oltre agli esemplari già citati, una versione istoriata delle Metamorfosi di Ovidio, di ambito mediceo e annotata da Poliziano - e saranno ricordate anche le opere in musica ispirate al mito di Orfeo, evidenziando come esso abbia permeato i diversi ambiti culturali nei tempi ponendosi come figura emblematica non solo della civiltà classica ma anche di quella rinascimentale, moderna e contemporanea. Una speciale sezione della mostra è dedicata alle scenografie, figurini e maschere di artisti che hanno collaborato con il Maggio Musicale Fiorentino, esemplificate in mostra dalle superbe creazioni di Giorgio De Chirico.
In occasione della mostra sarà realizzato un volume, edito da Silvana, con saggi dei curatori e di autori specialisti in varie discipline, per restituire al pubblico la vastità degli argomenti e delle molteplici riflessioni e interpretazioni del mito in arte, letteratura, musica, filosofia, cinema e teatro.
Dipinti e sculture, disegni e manoscritti, installazioni e film, che spaziano dall’antichità ai nostri giorni.
A partire dallo splendido rilievo marmoreo neoattico con Orfeo, Euridice ed Hermes, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che raffigura il secondo e definitivo distacco del cantore dalla sua amata - fonte d’ispirazione per il poeta Rainer Maria Rilke, autore dei ‘Sonetti a Orfeo’ - fino alle opere di Tiziano, Parmigianino, van Honthorst, Bruegel il Vecchio, Rembrandt, Delacroix, Moreau, Redon, Feuerbach, De Chirico, Cocteau, Savinio, Melotti, Twombly e Paladino provenienti da prestigiose istituzioni culturali italiane e internazionali - dalle Gallerie degli Uffizi al Musée du Louvre di Parigi, dal Mart di Trento e Rovereto al Kunsthistorisches Museum e al Belvedere di Vienna, dal MANN e dal Palazzo Reale di Napoli ai Musées de Beaux-arts di Blois e di Marsiglia, dal Museo Nazionale del Bargello all’Accademia Carrara di Bergamo, dal Museo di San Marco alle Biblioteche Laurenziana e Riccardiana di Firenze - oltre che da collezioni private e grazie a una speciale collaborazione con l’Archivio del Teatro del Maggio Fiorentino.
“Siamo immersi nelle realtà virtuali e digitali, si costruiscono sul web città che non esistono (ma fino a un certo punto), veniamo a contatto con avatar. C’è come un assordante rumore di fondo che accompagna le nostre giornate – ha detto Letizia Perini, consigliera della Città Metropolitana delegata alla Cultura - La scelta di aprire uno spazio per contemplare il senso della vita, grazie a una mostra originalissima e unica nel suo genere su L’incanto di Orfeo, porta con sé un messaggio. Quando Orfeo canta, infatti, tutto il mondo si ferma; si arresta quello che gli antichi greci (ma non solo loro) temevano: il divenire, il tempo che cambia le cose. L’incanto di Orfeo ci porta per certi versi sulla soglia sospesa in cui Orfeo e Euridice si guardano per l’ultima volta e poi tutto è affidato alla speranza o, se vogliamo, alla disperazione di potersi ritrovare. Oggi abbiamo bisogno di pause perché tutto ci sollecita continuativamente a non fermarci, a non cogliere l’incanto. Le sessanta opere scelte per l’esposizione in Palazzo Medici Riccardi ci riportano su quella soglia con cui tutti devono fare in qualche modo i conti, magari per ascoltare quel canto che si è addormentato dentro di loro, dentro di noi”.
“Questa mostra è un nuovo, importante progetto che valorizza le meraviglie custodite in Palazzo Medici Riccardi – spiega Valentina Zucchi, responsabile scientifico di Palazzo Medici Riccardi e curatrice della mostra -: è questa la volta del gruppo scultoreo di Orfeo che incanta Cerbero di Baccio Bandinelli, perno visivo del cortile del palazzo e di questa esposizione, che da quest'opera prende avvio e che a lei ritorna, nel canto senza fine del poeta. Il mito di Orfeo, in effetti, attraversa il tempo perché tocca le corde fondanti del nostro essere umano: il viaggio e il pericolo, l'amore e la perdita, il dolore e il coraggio, il desiderio e la paura, la morte, ciò che c'è oltre e ciò che le sopravvive. I mitemi di Orfeo sono gli elementi che accompagnano ciascuno di noi, in cui ritrovarci e su cui interrogarci. Ma sopra tutto questo, il racconto di Orfeo è un inno all'arte, capace di superare ogni ostacolo, di muovere ogni resistenza e di sublimare ogni fragilità: quando Orfeo canta, accompagnato dalla cetra, ammalia uomini e donne, animali selvatici e fiere, alberi di ogni specie, persino le rocce e i fiumi; la sua poesia lascia financo Cerbero con le sue tre bocche spalancate e fa inumidire le guance alle Furie. In un gioco di specchi, è proprio ciò che avviene con questa mostra: le bellissime opere esposte - che spaziano dalla classicità all'oggi, dalla pittura al video - hanno il potere di incantare e di sedurre, conducendo nei meandri di una storia che è anche la nostra storia. I grandi capolavori dell'arte trovano qui il senso pieno del loro esserci; e anche noi, qui, possiamo trovare un po' di noi”.
“Qualche anno fa con la Città Metropolitana di Firenze e MUS.E si era pensato ad una serie di mostre che nascessero dalla storia e dall’arte di Palazzo Medici. Non poteva mancare a questo punto un progetto con al centro la figura mitica di Orfeo, cantore, musico, filosofo e sapiente, la cui storia ha attraversato i secoli dall’antichità remota ai nostri giorni - dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, a cui si deve il progetto della mostra -. Leggiamo infatti le sue incredibili storie in Virgilio e Ovidio, ne parlano Platone, Boezio, Ficino e Pico della Mirandola, entrambi di casa in questo palazzo nel Quattrocento; ne sono rimasti affascinati Rainer Maria Rilke che scrive i Sonetti ad Orfeo e Jean Cocteau che gli dedica i film, Orfeo e Il testamento di Orfeo. E se non bastasse, dopo Calvino e Bufalino, anche Vecchioni, ai nostri giorni ha scritto una canzone dedicata a Euridice, la sfortunata consorte del poeta che per lei ebbe il coraggio di scendere negli inferi. La sorte è nota: Orfeo disobbedisce all’ordine di Ade e Proserpina e si volta a guardare Euridice, che immediatamente svanisce, rapita di nuovo dal nero Erebo. Queste sono le mostre che amiamo e riteniamo utili a un’esperienza alta e profonda dell’arte: sono viaggi nel tempo e nello spazio delle arti, percorsi iniziatici alla comprensione dell’attualità sempiterna del mito. Questa di Orfeo è una storia di amore e di ombre, di divieti crudeli e dilanianti passioni, di insostenibile perdita e inconsolabile tristezza, ma è pure la favola che nasconde misteri esoterici e indicazioni sapienziali. Le opere bellissime di Tiziano e di Rembrandt, di Savinio e de Chirico, quelle di Feuerbach e di Redon, di Moreau e di Delacroix, dialogano con le moderne rinascite di Orfeo a firma di Arturo Martini e Fausto Melotti, di Mimmo Paladino e Cy Twombly. Insieme ci ricordano che Orfeo non muore e che il suo canto continua a incantare i cuori degli amanti, degli animali e delle piante. A Firenze, a Palazzo Medici, la sua storia e la sua figura hanno avuto un ruolo importante alla pari di quelle di Ercole, David e Giuditta. Ne sono lampante testimonianza la formella di Luca della Robbia per il Campanile di Giotto e la statua di Orfeo nel cortile di questo palazzo. Perfino Cosimo I de’ Medici volle farsi ritrarre da Agnolo Bronzino nelle vesti di Orfeo, cioè come portatore di pace e armonia nel mondo. Al sostanziale connubio di Orfeo con il mondo della musica e della poesia saranno altresì dedicati una serie di concerti e reading poetici nei mesi estivi. Perché dire Orfeo è recitar cantando. Pensiamo a Monteverdi, Gluck e poi a Stravinskij e a tanti altri compositori che hanno saputo far rinascere l’Incanto di Orfeo e le sue dolcissime, dolenti note nel corso dei secoli”.
Una mostra che affonda le radici nei tempi più antichi del mito e ruota attorno alla figura multiforme e metamorfica di Orfeo, poeta, musico e cantore, compagno di viaggio degli Argonauti, sposo prima infelice e poi disperato di Euridice, inconsolabile vedovo dilaniato dalle Baccanti.
La sua figura domina e risplende in Palazzo Medici Riccardi: il progetto espositivo nasce infatti dalla presenza del meraviglioso gruppo marmoreo di Orfeo che incanta Cerbero di Baccio Bandinelli - un tempo accompagnato da una lira - nel cortile principale del palazzo di via Larga, dedicando un’attenzione particolare al suo risalto a Firenze e dispiegando fra le sale le vicende del mito. Orfeo è stato infatti soggetto privilegiato dell’arte e della cultura fiorentina a fianco delle emblematiche figure di Ercole, David e Giuditta; presente già nel Quattrocento in una delle formelle di Luca della Robbia del Campanile di Giotto, il figlio della musa Calliope e del re della Tracia Eagro (o di Apollo, secondo altre versioni del mito) ebbe un posto di particolare rilievo nello studio e nell’interpretazione della classicità in età rinascimentale, con sottolineature letterarie, filosofiche e politiche. Tale interesse - che si sviluppò proprio intorno a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo il Magnifico grazie agli artisti, ai letterati, ai pensatori e ai poeti vicini ai Medici - è testimoniato da una molteplicità di opere.
A questa straordinaria stagione di filologia e di sperimentazione delle arti e delle lettere risale per esempio la teatrale Fabula di Orpheo di Agnolo Poliziano, stretto amico del Magnifico e traduttore in latino anche delle Argonautiche orfiche, presente in mostra grazie a un prezioso esemplare di entourage mediceo(Biblioteca Riccardiana), affiancato peraltro da una raffinata silloge miniata degli Inni orfici del Quattrocento maturo, segno dell’interesse culturale e religioso maturato nello stesso periodo in ambito neoplatonico.Furono Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino a riconoscere in Orfeo uno dei padri fondatori della prisca philosophia - incrocio sapienziale di teologia, filosofia e poesia - e a dedicarsi alla lettura sia degli Inni Orfici che delle fonti antiche, tra cui Virgilio e Ovidio, oltre a Platone, interpreti e divulgatori classici delle vicende di Orfeo dopo le prime più frammentarie testimonianze (basti pensare ai riferimenti dei grandi Eschilo ed Euripide). Il richiamo di Orfeo nell’entourage mediceo riemerse agli inizi del Cinquecento quando il colto papa Leone X, grazie all’intermediazione del cardinale Giulio de’ Medici, governatore di Firenze, commissionò a Baccio Bandinelli la statua oggi conservata nel cortile del palazzo, perno di questa mostra, emblema di pacificazione e concordia nel delicato clima di restaurazione medicea in città. Perfino Cosimo I de’ Medici non sfuggì al fascino di Orfeo e volle farsi ritrarre da Agnolo Bronzino nelle sue vesti, trasferendo idealmente su di sé il potere ammaliatore e civilizzatore appartenuto al poeta tracio. Già Ovidio ci racconta infatti che il suo canto, accompagnato dalla sua kithara, riuscisse ad ammaliare gli animi delle fiere, gli alberi ma anche ad attirare a sé le pietre, conducendo ad armonia e soavità l’intero mondo terreno: non è un caso che fra le sue prime imprese, narrate da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, Orfeo riesca a incantare financo le Sirene, e che persino le Furie sentirono per la prima volta inumidirsi le guance per il suo canto.
Vicino al dio Apollo - a lui si deve il dono della preziosa lira - Orfeo è sin dalle origini prossimo anche a Dioniso e ai culti misterici, conoscitore dei segreti della natura e dell’anima, aderente al mondo conio e ai suoi misteri, in grado persino di attraversarne le viscere: lo si descrive come psicopompo, essendosi addentrato nel regno delle tenebre per cantare davanti a Ade e Persefone, con la preghiera di riportare in vita la sua sposa Euridice.
La definitiva perdita di Euridice sulla soglia della luce, non avendo resistito a rivolgerle lo sguardo, è fra le immagini più note della civiltà occidentale, infinitamente rappresentata e interpretata: è qui utile ricordare che Euridice, il melodramma musicato da Jacopo Peri e da Giulio Caccini su libretto di Ottavio Rinuccini e il cui libretto è esposto in mostra, venne messo in scena la prima volta a Palazzo Pitti nel 1600, in occasione dei festeggiamenti tra Maria de’ Medici ed Enrico IV di Francia; tutti i critici sono concordi a ravvisare in queste forme di poemi cantati gli albori della grande opera lirica che culminerà con l’Orfeo di Gluck nel Settecento. L’eco di questo evento fu tanto grande da ispirare celebri sculture dedicate a Orfeo, tra cui l’ammiratissima opera di Pierre de Franqueville, realizzata per il fiorentino Girolamo Gondi in Francia, poi trasferita nientedimeno che a Versailles e oggi presente in mostra.
Le apparizioni di Orfeo, emblema sublime del potere delle arti ma anche di debolezze, desideri e follie tutte umane, sono proseguite nei secoli: le sue vicende incarnano in effetti i passaggi fondanti della vita, che si dipana fra amore e morte, tra aspirazione e ispirazione, tra accettazione e sfida, tra sublimazione e fallimento. Orfeo è quindi figura complessa e archetipica, cantore e musico ma anche sacerdote di sacri misteri, traghettatore delle anime dal regno dei vivi a quello dei morti; dietro al velo delle sue commoventi parole si nascondono perle di sapienza, verità gnostiche, rivelazioni ermetiche. Egli non muore definitivamente dilaniato e decapitato dalle Baccanti, che non apprezzarono di essere rifiutate dopo la morte di Euridice, perché il mito di Orfeo attraversa il tempo, protagonista assoluto nella musica di Monteverdi e nelle allegorie dipinte barocche, poi nel Settecento e ancora nel Romanticismo, quando si accentuano gli aspetti sublimi dell’amore tra Orfeo e Euridice (è sufficiente apprezzare, in mostra, lo struggente dipinto di Ary Scheffer), assieme a quelli oscuri, tenebrosi della mitica discesa nell’Ade e perturbanti della sua fine violenta per mano delle seguaci di Dioniso; per poi diventare oggetto di interesse con il Simbolismo, suscitando l’ammirazione di Redon e Moreau, e di Apollinaire che farà rinascere Orfismo e Ermetismo a Parigi, patria delle avanguardie del XX secolo.
Non meno fascinazione eserciterà Orfeo su Jean Cocteau, che gli dedicherà molti disegni, un’opera teatrale e soprattutto due film, Orfeo del 1950 e Il testamento di Orfeo del 1959. E dall’orfismo sarà affascinato anche Igor Stravinskij, che nel 1947 comporrà uno struggente Orpheus, affiancato dal coreografo George Balanchine. Un magnetismo a cui cederanno anche artisti come Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, Fausto Melotti ed Ettore Colla, le cui opere sono esposte in mostra, ma anche poeti come il già citato Rilke e Dino Campana, a testimoniare le molteplici rinascite di Orfeo e dell’Orfismo, giunte fino ai nostri tempi visto che Calvino, Pavese, Bufalino si sono cimentati con la sua storia, mentre un cantautore di oggi, Roberto Vecchioni, sembra volerci ricordare che: “ogni volta sempre è Orfeo quando c’è canto” (R.M. Rilke).
La mostra permetterà di ripercorrere e attraversare il mito di Orfeo grazie a una ricca selezione di capolavori dell’arte di ogni tempo, a cominciare dal bellissimo dipinto di Gerrit van Honthorst, assunto a icona della mostra. Fra le sale si snoderanno quindi le sue avventure con gli Argonauti e si diffonde il potere del suo canto, in grado di ammaliare gli animali più vari, fino alla morte di Euridice, morsa dal serpente e pianta dal poeta - esemplificata dai superbi dipinti di Tiziano, Delacroix e Moreau - fino alla scenografica discesa agli Inferi, al successivo ritorno sulla terra (potentissima ne è l’interpretazione di Anselm Feuerbach) e alla seconda perdita dell’amata, al suo ultimo canto e alla furia bestiale delle Baccanti, testimoniata dalla testa decapitata di Orfeo di Odilon Redon.
Alle opere figurative saranno accostati preziosi manoscritti provenienti dalla Biblioteca Riccardiana e dalla Biblioteca Laurenziana - fra cui, oltre agli esemplari già citati, una versione istoriata delle Metamorfosi di Ovidio, di ambito mediceo e annotata da Poliziano - e saranno ricordate anche le opere in musica ispirate al mito di Orfeo, evidenziando come esso abbia permeato i diversi ambiti culturali nei tempi ponendosi come figura emblematica non solo della civiltà classica ma anche di quella rinascimentale, moderna e contemporanea. Una speciale sezione della mostra è dedicata alle scenografie, figurini e maschere di artisti che hanno collaborato con il Maggio Musicale Fiorentino, esemplificate in mostra dalle superbe creazioni di Giorgio De Chirico.
In occasione della mostra sarà realizzato un volume, edito da Silvana, con saggi dei curatori e di autori specialisti in varie discipline, per restituire al pubblico la vastità degli argomenti e delle molteplici riflessioni e interpretazioni del mito in arte, letteratura, musica, filosofia, cinema e teatro.
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